50 anni senza Jung: nel Liber Novus la via che conduce all’Anima

Dar vita a cose antichissime in un’epoca nuova significa creare. È la creazione del nuovo ed essa mi redime”. E poi: “Noi viviamo anche nei nostri sogni, non viviamo soltanto durante il giorno. Talvolta compiamo in sogno le nostre maggiori imprese”. Nel Liber Novus, il Libro Rosso, libro privatissimo e segreto custodito per circa 23 anni nelle casseforti delle banche svizzere secondo la volontà degli eredi, (di recente pubblicato per la prima volta in Italia da Bollati Boringhieri), Carl Gustav Jung, discepolo geniale e “infedele” di Sigmund Freud, quindi padre fondatore della psicologia analitica, compie una traversata notturna, perigliosa e solitaria, senza precedenti. Va nell’ignoto, scende negli “inferi” della psiche, si addentra nell’inconscio per svelare in una forma più letteraria e artistica che scientifica (secondo parametri convenzionali), attraverso incredibili mandala e disegni preziosi di sua creazione, resoconti di sogni, di visioni, talvolta di deliri, usando l’immaginazione attiva che poi diventerà privilegiato metodo terapeutico, di che pasta è fatta la realtà vera.  “50 anni senza Jung” è il titolo dell’ “esoterico” e al tempo stesso “essoterico” (per esperti e per profani) convegno che il Centro studi di Psicologia e Letteratura, fondato da Aldo Carotenuto e presieduto da Giorgio Antonelli, ha dedicato al grande eterodosso della psicoanalisi per fare il punto su questo documento unico, imprescindibile per gli specialisti della psiche che si ispirino o no alla sua lezione, e per tutti coloro che non si accontentino di una visione materiale della realtà e si muovano nella vita come cercatori della pietra filosofale, da nostalgici della patria perduta. Jung morì nel 1961. Da allora la sua lezione non è “invecchiata” né si è aggrinzita, casomai disorienta e “spaventa” per la sua straordinaria forza di decifrare tanto più questo presente opaco, oltre il velo di illusioni o mistificazioni della cultura.

Più che l’esposizione di una teoria psicologica, il Libro Rosso è una filosofia globale, una cosmologia che fonda un’era nuova. Volta pagina senza soccombere, lasciandosi volutamente alle spalle un’era durata troppo a lungo, dominata dal cristianesimo di stampo neotestamentario e da un pensiero logico-razionale che ha estremizzato il dualismo e le scissioni prodotti dalla filosofia occidentale da Platone a Cartesio in poi, compromettendo la  possibilità di una piena identità individuale e di una percezione non separata della realtà. Perso l’Uno, persa la totalità, nelle macerie  lasciate dalla crisi di ideologie politiche e religiose, Jung ripristina l’Unione (quell’Unione respirata solo nelle filosofie orientali), apparentemente restando all’interno del sistema di riferimento culturale occidentale. Come può essere? Come riesce? Certo non ricorrendo a una trascendenza staccata e distante, bensì rintracciando il divino nelle profondità interiori dell’uomo, se saprà e vorrà compiere la sua rivoluzione interiore (come Jung di persona ha fatto scendendo nell’abisso), dispiegando la potenza creativa e la sua facoltà “divina” di creare immagini. Lo ha evidenziato Giorgio Antonelli ad apertura convegno, trattando il tema: Cos’è Nuovo nel Liber Novus? Ammesso e non concesso che il nostro concetto di nuovo è inquinato da un’impostazione ormai mercificata dell’esistere, ammesso che il nuovo non significa l’inedito, Antonelli ha svelato le radici antichissime del Liber Novus: il pensiero e l’immaginazione gnostici per cui la salvezza dell’anima non avviene attraverso la fede ma per mezzo del sapere inteso come prassi, frutto di una ricerca personale della verità, né più né meno di quel che Jung fa alla ricerca di una nuova “paternità interiore” dopo la morte di Dio preannunciata da Nietzsche a cui si richiama superandolo. Il maestro del sospetto, infatti, resta imprigionato da ultimo cristiano in un mondo al tramonto e soccombe. Jung invece risale in superficie: dopo aver fatto esplodere il “magma fluido e incandescente” dell’inconscio può proporre nuovi “misteri”. “Non è più figlio di suo padre, né figlio del padre celeste – ha annotato Antonelli – né tantomeno di padre Freud. Nel Liber Novus, Jung è in altri termini l’orfano che si rivolge a orfani che non sanno ancora di esserlo. Il Liber Novus diventa insomma la versione che Jung offre della propria Vita Nova” che include, secondo la modalità degli antichi culti misterici, il percorso dal morire al rinascere.

Si rinasce per mezzo delle immagini interiori, sogni compresi. È un vangelo questo libro: dà la lieta novella, annuncia un’era nuova che risponde alla morte di Dio ripristinando la funzione trascendente nella psiche, perché la psiche è spirito, lo spirito è psiche. Antonelli ha sottolineato  la continuità di questo “Vangelo della solitudine abbandonata da Dio”  con i vangeli gnostici (“Vangelo di Basilide non pervenuto, Vangelo di Giuda pervenuto”). Non a caso, Freud in un suo epistolario accenna irritato a un “Vangelo di Jung”, pur senza sapere del libro rosso, e a Ferenczi Jung appare come un “fondatore di religioni” che può rinnegare la fede in Cristo,  “tradire” ogni sapere precedente, persino la stessa psicoanalisi “consegnandola ad altri domini” o vivendola quale via privilegiata per far rinascere la sapienza antica, la “sophia” gnostica. Ferenczi conia anche l’espressione “teopsicologia junghiana”.  “Per Jung – ha detto Antonelli – l’inconscio è Totenland, terra dei morti” e delle forme sospese. Il Liber Novus è anche il Libro occidentale dei morti. Intriso di presenze, spiriti, trapassati. Però Jung supera gli gnostici approdando all’alchimia, ecco la “novità”: Dio “può nascere solo attraverso lo spirito dell’uomo” perché lo spirito dell’uomo, “è un utero capace di concepire Dio”.  In questa scia si è inserito l’intervento della filosofa Luisa de Paula, Il Liber Novus tra passato e futuro, che ha rintracciato i riferimenti culturali della filosofia di Jung nei due sistemi di pensiero fondamentali dell’Occidente, entrambi concepiti per la liberazione dell’uomo: il cristianesimo e il marxismo. Senza negare l’ampia gamma di forti implicazioni d’altre tradizioni: le Upanishad indiane, le leggende nordiche, il libro tibetano dei morti, i miti babilonesi. Attingere a una saggezza antica è per Jung cercare la rigenerazione restituendo all’uomo la sua centralità. Se il cristianesimo ufficiale, bardato dal suo nuovo testamento, annichilisce l’uomo, prospetta una salvezza in una dimensione separata, (Dio c’è ma altrove, qui e ora si soffre in dimensione ristretta), teme le immagini e i sogni come trappole del demonio, al contrario Jung con la sua filosofia della prassi fa scendere Dio dalle supreme altezze per collocarlo nelle cose vili e quotidiane, nel cuore dell’uomo. Ritorna a quell’uomo dell’antico testamento creato guarda un po’ proprio a immagine e somiglianza di Dio. E Dio si fa leggero, ma oltre Nietzsche è leggero perché sta anche nelle profondità: solo l’immaginazione onirica può creare il contatto tra un dio e un uomo. I sogni sono il linguaggio dell’anima, non ”un mero soddisfacimento di desiderio”, sono rivelazione della trascendenza. “Non sono i sogni ad appartenere a noi, ma siamo noi ad appartenere ai sogni, poiché essi sono la manifestazione della presenza di Dio nell’uomo”, ha chiarito de Paula. “Espressione del mistero, ciò che accade nella nostra mente reca in sé il marchio del divino”. Anche la follia, a cui il cristianesimo ha “rinunciato” per far quadrare i suoi conti, contempla il divino.

Sogni, pensieri, fantasie, produzioni psichiche sono per Jung “entità oggettive, reali, al punto da annetterle al mondo esteriore”, così come lo erano per gli antichi greci, gli stessi cristiani prima di abdicare alla libertà individuale, e lo sono da sempre per i popoli in ascolto dell’anima. In quanto al marxismo, Luisa de Paula ha notato che il maestro zurighese riprende lo stesso schema dialettico fondando un’etica non interessata però tanto al processo di liberazione dell’uomo dall’altro uomo, quanto del Sé dall’io. Solo riscattando la dimensione interiore, la qualità delle relazioni umane si eleva. Diventare sé stessi è compiere il processo d’individuazione, quindi il riscatto personale sarà anche riscatto sociale. Ognuno porta in sé tutte le epoche, l’inconscio collettivo: scoprire il nuovo è travasare nel proprio tempo ciò che la saggezza mitologica e religiosa delle grandi civiltà ha sempre saputo e ha rivelato in varie forme. La psicoterapeuta Virginia Salles ha riflettuto sul fatto che il Liber Novus segni “l’inizio di una nuova era per la psicologia del profondo”. La dicono lunga i 70 anni di ritardo nella pubblicazione del libro; forse il mondo ne impiegherà almeno altri 70 a intenderne il senso e mettersi al passo con la portata del suo messaggio. Intanto però, ora che è stato pubblicato, è un monito che costringe a una riflessione sui limiti personali e culturali, “sull’esasperata unilateralità del nostro modello psicologico-culturale di riferimento e sui suoi invalicabili confini”, sulla direzione in cui va la psicologia, spesso protesa a una crescente “medicalizzazione” di ogni disturbo che è atteggiamento di una cultura che ha paura e si arrocca a difesa propria, mentre quest’altra psicologia “apre una porta verso la ricerca e l’esplorazione del mondo interiore e delle potenzialità esperienziali e evolutive dell’uomo”.

La psicologia di Jung prevede una trasformazione psico-spirituale, qualcosa di ben diverso “dall’atteggiamento psicologico occidentale centrato sulla personalità” e dalla “nostra cultura caratterizzata dal culto dell’io”. Il processo d’individuazione sta nel riappropriarsi della propria anima, è un risveglio spirituale. Terreno minato: una qualsivoglia crisi spirituale nella nostra società passa spesso per psicosi; il misticismo slitta facilmente nella psicopatologia. “Romanticizzare o idealizzare stati psicotici che potrebbero rappresentare l’espressione di un serio problema medico, sarebbe un grave errore”. Ma Jung con la sua esperienza diretta sta a insegnare che certi stati “disturbati” possono essere un processo di auto guarigione verso stati di coscienza più elevati. Amedeo Caruso ha voluto ricordare che il maestro zurighese di fatto ha praticato l’ipnosi come mezzo per arrivare all’anima. Che poi l’ipnosi abbia assunto nomi diversi, e sia stata definita immaginazione attiva è irrilevante. Freud “sentiva di dover controllare completamente il setting – peraltro da lui escogitato – per ottenere gli effetti terapeutici desiderati”, ha ricordato Caruso. Al contrario Jung, vedeva possibilità di “guarigione” proprio quando si perde il controllo, l’inconscio è liberato, si lasciano accadere le fantasie del paziente in modi anche imprevedibili, misteriosi, incontrollabili. Il grande fenomenologo Bruno Callieri e l’analista Simonetta Putti in un intervento congiunto che meriterebbe una trattazione a parte (e mi scuso anche per gli interventi altrettanto apprezzabili non citati) hanno rinvenuto l’eredità nascosta di Jung negli stimoli critici e relativistici da applicare al presente. Una terapia della psiche che sia cura e incontro, deve rinunciare a  “verità totali o totalizzanti e adattare all’individualità dell’ammalato, all’uomo sofferente nella sua unicità il metodo di cura” al di là di chiusure difensive e pregiudizi di stampo materialistico. Il terapeuta deve essere aperto alla comunicazione in ogni sua forma, stare in contatto innanzitutto con il proprio inconscio per aiutare quello altrui a esistere in un mondo che riduce gli individui a anonimi detentori di un torbido io. Allora si diventa altro da sé. Come successe a Jung che a seguito di potenti visioni scrisse: “Da allora cessai di appartenere solo a me stesso, ne persi il diritto; da quel momento la mia vita appartenne a tutti”.

** Gli atti del convegno si trovano nel 12esimo numero del Giornale storico del centro studi psicologia e letteratura **