Alfabeto, in rosa ma non sempre, della vita postmoderna

Per cominciare, una sfilza di no, i no che aiutano a crescere chi non accenna a voler crescere, o che dovrebbero ridestare un barlume di coscienza civica (che non è una parolaccia). “No a ogni tipo di condono, no a chi butta per terra ogni genere di rifiuti, anche una semplice cartaccia. No all’automobilista che parcheggia ovunque, con la scusa che è solo per pochi minuti, no a chi imbratta i muri sentendosi un’artista, no ai parchi invasi dagli stand pubblicitari, no ai bambini maleducati,ancor più no ai ragazzi maleducati che erano bambini maleducati e basta e ora sono diventati teppisti; no a chi non dice per piacere e grazie; no a chi non sa cedere il passo, il posto, la parola; no ai cellulari che squillano sempre e ovunque; (…) no ai governi ladri; (…) no alla televisione tutta tette e culi e falsa scienza; no ai golf di cachemire a 5 euro. C’è spazio per continuare”. Potrebbe diventare un manifesto di insorgenza civile, questo scritto, da appendere in casa, a scuola, negli uffici, nelle deputazioni deputate a decidere della nostra vita e quanta marginalità distribuire. E non solo questo. Funziona dappertutto così l’”Alfabeto del senso e controsenso” di Francesca Martini (Magi edizioni), e verrebbe da aggiungere anche alfabeto del non senso, perché in questo originale breviario di racconti succosi, spartani, concentrati, disposti in ordine alfabetico perché ciascuno prende avvio da una parola chiave che ha cambiato senso, perso di senso; ecco in questo breviario si individua un senso, un controsenso, ma anche il nonsenso dei (mal)costumi imperanti, di mentalità colate nel vuoto pneumatico e  di cervelli al silicone.

Ci vuole una mano (e una mente femminile) a impastare bene l’amalgama di verità che appaiono scontate e non lo sono perché  giacciono sempre sotto, non emergono; ci vuole una mano femminile leggera, arguta, essenziale a rivelarci disfunzioni del vivere elevate a vizi e stravizi con cui ci guastiamo il viaggio. Non si troverà nessuna concessione all’autocompiacimento, nessun vezzo stilistico: bensì la concisione, il rigore mescolati all’arguzia e alla invettiva tagliente di certa precettistica latina, propri di chi va al sodo senza giri di parole e mentre scrive ce le canta sapendo modulare l’insofferenza accumulata. Leggendo questi brevi racconti ci si scopre infelici, trafitti da un certo dolore intercostale perché sono rivelatori della pochezza dei nostri orizzonti consumati dai consumi, di menti vanificate a colpi di superficialità; leggendo questi racconti si scopre l’orizzonte di luce e si assaggia la felicità, di vera  forza epicurea: basta poco per abbracciare la pienezza del vivere, riagganciare il senso, basta pochissimo per essere pienamente esistenti, nascere a sé stessi e scoprirsi creature viventi. La svolta che Francesca Martini indica, che si stia alla voce b di bello e brutto o alla voce p di piedi, o  alla voce s di sentimenti, è una e una sola: aderire alla propria unicità purché coltivata, non lasciarsi contaminare, tornare a essere, frantumare con la forza critica e la leggerezza dello spirito che è cosa altra dalla frivolezza spicciola, l’assuefazione al mercato, agli standard imposti da degradanti modelli televisivi.

Circola nel libro saltando da una lettera alfabetica all’altra un sapere che ha il sapore di un’antica precettistica, una cultura filosofica che risale a Orazio ma subisce il “trattamento” di una trapuntata ironia femminile. L’alfabeto da questo punto di vista è un repertorio di massime e suggerimenti formulato in maniera nitida ed incisiva. In fondo la meta è praticare il buon senso  che talvolta deve diventare senso del limite, oppure senso del ridicolo proprio e altrui, tenendosi invece lontano dalle perversioni di un certo senso comune.  Ci sono racconti che fotografano l’incoscienza del vivere o il vivere sempre fuori da sé, in forma sciatta, quella sciattezza che diventa ignoranza: la signora che al cinema mentre si proietta, un titolo a caso, il film “Il grande silenzio” (che racconta la vita quotidiana in un monastero francese), fa squillare il cellulare e a qualche timida protesta risponde “tanto non c’è niente da sentire” (speriamo che abbia una casa sulla tangenziale è l’auspicio dell’autrice); le ragazze che vanno a fare volontariato in Africa all’ombra di un resort e con la mezza minerale povera di sodio sempre a portata di mano, e poi a casa loro non si applicano a fare una raccolta differenziata manco a pregarle; i maniaci di face book che hanno trasferito tutta la loro vita sulla bacheca virtuale e si vantano di avere migliaia di amicizie e pazienza se sono anime mai viste, mai conosciute, forse neanche esistenti davvero. Episodi in cui anche le migliori intelligenze potranno specchiarsi e sviluppare da quel momento una dissociazione da sé, la vergogna, sì anche il sentimento della vergogna. Alla voce “tempo non libero”, troverete infine immortalata la patologia epocale per eccellenza. Non si dispone del proprio tempo, e si sa, ma non si fa niente per andare al passo col proprio tempo interiore; al contrario non si fa altro che fuggire dal sé e dal proprio ritmo interiore per aderire passivamente ai tanti moduli riempi-tempo che sono fonte di guadagno per chi ha capito che lo scettro del potere in questa società lo ha chi detiene il tempo per organizzare il tempo altrui. Riappropriatevi del vostro tempo, ammonisce Francesca Martini, insegnante e scrittrice, natali a Udine, romana d’adozione, riappropriatevi della vostra vita. Altrimenti niente avrà senso, da qui al carro funebre, quando il tempo deflagrerà in forma irreversibile.

Titolo: Alfabeto del senso e controsenso
Autore: Francesca Martini
Editore:  Ma. Gi.
Dati: 2011,  10,00 €

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