A summer in the Suburbs

Quest’estate io l’ho dedicata agli Arcade Fire. Ad agosto è uscito il loro terzo disco, The Suburbs, e per tutto il mese mi sono preparato al loro concerto tenutosi la settimana scorsa all’Arena Parco Nord di Bologna. Poco importa che con loro ci fossero altri quattro gruppi, tra cui Fanfarlo e Modest Mouse, e che si trattasse di un festival ma quel 2 settembre sarà ricordato da me come dagli altri spettatori come il secondo concerto degli Arcade Fire in Italia. In rete fioriscono le recensioni del disco come del concerto, molti aspettavano questo momento e si sono preparati, ne hanno scritto, ne hanno dibattuto. Io, invece, fino al giorno prima avevo fatto solo delle valutazioni estemporanee con qualche amico, per il resto cuffie nelle orecchie e ascolti interminabili. Ora dopo una settimana dal concerto forse sono pronto per dire anch’io la mia. Non che sia indispensabile eh, ma lo faccio lo stesso.

All’inizio, come molti, sono rimasto un po’ frastornato. Il primo ascolto di The Suburbs non è stato facile: non riuscivo ad entrare in confidenza con la materia musicale e narrativa, mi sentivo lontano, come se in questi anni di lontananza dalle scene musicali (Neon Bible è uscito nel 2007) io mi fossi disabituato ad ascoltarli, investito dalla marea di roba che in tre anni la rete ti propone, plasmando il gusto verso orizzonti differenti da quelli che avevi all’inizio. Insomma durante il primo ascolto non mi sentivo a casa, bensì ero letteralmente spaesato. Dov’erano finiti gli Arcade Fire pomposi, quelli con mille strumenti, coi fiati  e gli organi a canne, con i finali delle canzoni in levare e dal ritmo decisamente sostenuto? Non riuscivo a capire la musica, quella malinconia di fondo, quelle atmosfere post-catastrofe (non nucleare bensì umana) che pervadono tutto l’album. Cioè bei pezzi per carità ma mi mancava qualcosa, sapevo che mi stavo perdendo il nesso.

Poi, da bravo, ho fatto i compiti. Ho preso il booklet e, mentre ascoltavo, mi sono letto tutti i testi e, meraviglia delle meraviglie, un altro mondo si apriva di fronte a me. E’ stato come entrare in qualcosa di diverso. Prima avevo solo sbirciato dalla cancellata quello c’era dentro. Adesso, dopo aver suonato e chiesto educatamente di entrare, potevo capire che le prime erano solo suggestioni e che se non avessi letto i testi non sarei riuscito mai ad apprezzare pienamente nessun pezzo del nuovo disco. Sì, indubbiamente ci sono alcuni brani che si spingono da soli (vedi The Suburbs, Ready to Start, Rococo, Suburban war, We Used to wait e Sprawl II – Mountains Beyond Monuntains – e comunque sono già sei pezzi su sedici) ma per gli altri non si percepiscono quei cambiamenti e quelle aperture che la conoscenza del testo ci permette. Non vorrei sembrare biblico quando affermo una cosa del genere ma devo dire che l’impressione netta che ho, rispetto agli altri dischi, è che qui siano le liriche a segnare il passo. Ma non solo per la storia personale degli Arcade Fire, ma anche per il mondo del rock in genere. Le tematiche si spostano e dai giovani che con la loro musica potevano cambiare il mondo si passa ai trentenni che rimpiangono la propria adolescenza, di quando le cose sembravano più genuine e alla portata di mano.

C’è una macchina in copertina, è parcheggiata di fronte a una staccionata, in quello che dovrebbe essere il suo posto all’interno delle villette a schiera tipiche delle periferie americane e canadesi. La guardiamo di spalle e al di là di quella staccionata c’è un’altra casa ma prima, proprio di fronte a noi, la figura di un albero si staglia prepotente. Poche foglie sui suoi rami, siamo in autunno forse, l’idea è che ci troviamo in una stagione in cui le cose iniziano a sfiorire, a perdere la propria bellezza. Allora che facciamo? Prendiamo le chiavi di nostra madre e ci andiamo a fare un giro. La macchina si muove e noi guidiamo nei posti in cui da ragazzi per tanto tempo abbiamo giocato. Ma vi ricordate quanti amici? E quante ore perse distesi sui prati a non fare niente? O a nasconderci dietro gli alberi per rubare dei timidi baci alla ragazzina a cui andavamo dietro e che adesso ha tre figli e lavora al bancone gastronomia del supermarket? Oppure tutto il tempo perso a scrivere lettere e ad aspettare che lei rispondesse, vi ricordate quel tempo lì, in mezzo, quell’ E dove sono finiti tutti? All my old friends they don’t know me now. Perché quando li incontro mi guardano in modo strano? Andiamo avanti e osserviamo la città scorrere dai finestrini, le strade deserte sono illuminati da luci arancioni, guidiamo per ore, quartieri e quartieri senza anima viva, ma quanto è cresciuta la città? Dead shopping malls rise like mountains beyond mountains and there’s no end in sight. Le cose cambiano in fretta, sentiamo la purezza scapparci dalle dita, sappiamo che forse questa è l’ultima stagione in cui possiamo considerarci giovani. I pensieri e le preoccupazioni aumentano, si fanno pressanti, perché non siamo più ragazzi? Sometimes I can’t believe it, I’m moving past the feeling. E perché quelli di oggi non sono come noi, non hanno la nostra purezza ma si gonfiano il petto con parole di cui non conoscono neanche il significato? Si credono forti ma non lo sono. They seem wild but they are so tame. O mio dio ma come parlo, che sto dicendo, sono come loro, quelli che ci hanno portato a questo punto, sto invecchiando. La verità è che ho quasi trent’anni e penso che l’età migliore sia già passata, non va bene così, ho sicuramente perso tempo da qualche parte, solo che non ricordo dove. Ho quasi trent’anni e penso di essere già vecchio, c’è qualcosa che non va. I wait my turn I’m the modern man, makes me feel like… something don’t feel right. Ma d’altronde siamo sempre stati così, ecco guarda lì, costruiscono ancora, guarda il paesaggio è come montagne su montagne; dicevo, siamo sempre stati così, abbiamo per anni aspettato e poi l’unica cosa che si è presentata alle nostre porte è stata la consapevolezza che forse avremmo dovuto fare qualcosa e non stare lì, fermi, con le mani in mano.  Ma ormai è fatta, io sono così, noi siamo così e probabilmente se avessi avuto di nuovo a disposizione il tempo che ho buttato nel cesso mi sarei comportato allo stesso modo, speriamo solo che qualcosa di puro rimanga in questo mondo disperato.

The Suburbs è un giro in macchina, the Suburbs è la riflessione un po’ nostalgica sulla nostra generazione, the Suburbs chiude i conti con un periodo della vita che non tornerà più, ma, più di tutto, coglie nel segno su quello che siamo noi oggi, un nugolo di ingenui e svagati sognatori che all’improvviso si è svegliato perché la realtà ci ha preso a schiaffi talmente forte che ci è parso essere quello il significato della parola crescere. They say we’re the chosen ones but we’re wasted.

Per quanto mi riguarda The Suburbs si presenta nel posto giusto al momento giusto e forse mi trovo a caricare di significato eccessivo un disco che per altri rimarrà solo un buon disco. Per me invece no, sarà qualcosa tipo uno spartiacque, una staccionata appunto, come quella in copertina, al di là della quale probabilmente le cose non saranno più le stesse. Gli Arcade Fire sono il gruppo della mia matura giovinezza e credo di poter tranquillamente affermare di non essere solo, visto anche la partecipazione del pubblico al concerto.

Ah, già, il concerto, quasi dimenticavo. Ma come volete che sia stato? Esaltante come minimo. Eravamo tanti (quattromila, cinquemila, diecimila che importa, per me eravamo veramente tanti – si ptrebbero perdere ore a parlare del fatto che tipo in Francia al Rock en Seine, la sera della loro performance, c’erano 35000 persone ma, per il momento, lasciamo perdere) e loro, gentili come due anni fa a Ferrara, hanno imbracciato gli strumenti e hanno suonato come pochi gruppi ormai sanno fare. Ma il merito non era solo il loro, anche noi, il pubblico, li abbiamo aiutati a creare unpo spettacolo di cui ci ricorderemo. I cori fioccavano, tutti conoscevano le canzoni, anche quelle nuove e si è avuto la sensazione di far parte di qualcosa di speciale e di irripetibile, di unico.

Dalla prima canzone, Ready to start, all’ultima prima del bis, Rebellion, abbiamo ballato e cantato a squarciagola. E così una dietro l’altra sono volate Month of May, Tunnels, Crown of love, Sprawl II, The Suburbs, Suburban war, Intervention, Modern man, No cars go, Haiti, We used to wait, Power Out e la già citata Rebellion, vero inno generazionale, alla fine della quale Règine (sempre splendida sul palco) e soci si sono presi una piccola pausa prima del dovuto e richiestissimo bis (è stato commovente vedere migliaia di persone richiamare sul palco i propri beniamini intonando il coro finale di Rebellion): ed ecco allora altri due pezzi, Keep the car running e la portentosa Wake Up con la quale la band canadese si è congedata dal pubblico bolognese promettendo un loro immediato ritorno, magari durante il tour invernale europeo che proprio in questi giorni sta prendendo forma. Io non posso che sperare perché, anche a questo giro, farò di tutto per esserci e lo consiglio vivamente anche a tutti voi.

Perché sono sicuro che tra qualche decennio ci guarderemo e negli occhi e ci diremo: ti ricordi quando eravamo ragazzi e ascoltavamo gli Arcade Fire?

http://embed.arcadefire.com/widget/ArcadeFire_Vinyl.swf?v=full