Baba Yaga – la sorprendente alchimia sonora dei Futurebirds

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Voglio raccontarvi una storia, la storia di un disco. Probabilmente Baba Yaga dei Futurebirds passerà quasi inosservato da queste parti, oppure forse no, forse verrà incensato su tutte le riviste di settore, forse diverrà addirittura oggetto da classifica, ma molto più probabilmente no, e a me questa cosa proprio non va giù, per nulla, perché Baba Yaga si è presentato alle mie orecchie, fin da subito,  come una delle opere più belle di questo 2013.

I Futurebirds sono un gruppo folk/rock che ha base ad Athens, in Georgia, USA, composto da sei elementi e che ha pubblicato due dischi, Hampton’s Lullaby, uscito nel 2010, e questo Baba Yaga (Fat Possum, 2013), dato alle stampe proprio qualche settimana fa. Sembra una storia lineare, come quella di qualunque gruppo, a leggerla così, solo che la genesi di questo secondo lavoro è stata lunga e sofferente. Ci sono voluti più di 45 giorni in studio spalmati su sette mesi per chiudere il disco e questo perché, durante le registrazioni, la band ha continuato a suonare in giro incessantemente per finanziarsi, visto che nessuna etichetta si era ancora fatta avanti. E questo andare in giro, questo suonare di spalla per gente come Drive-by-Truckers e Band Of Horses, ha avuto un duplice effetto positivo: 1) i nostri hanno trovato una casa discografica accasandosi presso la Fat Possum; 2) l’approccio live della band si è ben radicato in ognuna delle 13 canzoni che compongono l’album, rendendolo un’opera diretta e spaziosa proprio come quella di un concerto ( e lo sta a dimostrare la lunghezza dei pezzi, che in più di un episodio superano i sei minuti). Il titolo del disco è stato scelto per questo, perché questa seconda opera agli occhi di chi l’ha scritta sembrava proprio come una creatura mitologica nascosta nei boschi, quella Baba Yaga presa a prestito dal folklore slavo (e che nulla, davvero nulla, ha a che fare con le sonorità dei Futurebirds). Ma a parte tutte queste chiacchiere intorno alla realizzazione del disco che cosa possiamo dire della musica?

Be’ Baba Yaga colpisce al cuore, fin dalla prima canzone, Virginia Slims, che alle chitarre riverberate accompagna liriche evocative e narrative secondo la tradizione del migliore songwriting americano. E di una ricerca sulla tradizione, in fondo, si tratta: tutto il disco è pervaso dagli echi di band e numi tutelari della canzone americana quali The Band, Neil Young, Bruce Springsteen, Dylan (periodo elettrico) e Eagles. La miscela è perfetta e si passa dalla carica di Serial Bowls agli spazi vasti e solitari di American Cowboy e Felix Helix, per approdare alla splendida (stunning in inglese forse rende di più) Dig, anima del disco, pesantemente influenzata da quell’approccio live di cui sopra, che inizia in un modo e si sviluppa poi in due, tre, quattro diversi senza mai dare punti di riferimenti all’ascoltatore che, magicamente, si ritrova proiettato in un universo sonoro altro. Ma non è finita qui: Keith & Donna è una ballad elettrica che si perde nel refrain corale e nelle evoluzioni chitarristiche della coda; Death Awaits cresce come il mare durante le maree, che piano piano, con leggerezza, inesorabilmente, copre tutto, in un crescendo incalzante; Heavy Weights ha invece il passo scanzonato del country folk in cui le due voci, quella principale e quella dei controcanti, si intersecano perfettamente andando a ricreare un atmosfera solare, easy like Sunday morning; e poi, a chiudere, c’è la bellissima e straziante St. Summercamp, una ballad tenera e nostalgica come i ricordi, che esplode (si fa per dire, è una questione prettamente emozionale) con la magnifica coda finale strumentale, il cappello perfetto a un disco, fatemelo dire, eccezionale.
Qualcuno potrebbe storcere il naso per tutti questi superlativi e lodi sperticate, qualcuno potrebbe dire dove le novità, quali le innovazioni dei Futurebirds? Di queste cose poco me ne importa quando la classe compositiva, di songwritng e musicale, è così ostentatamente palese . Ce ne fossero di dischi così: classici eppure capaci di colpire al cuore così profondamente. Prendete e diffondetene tutti. Non mi resta che dire viva i Futurebirds, viva Baba Yaga.

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