Great American Nude

Dopo la veloce rassegna nostrana spostiamoci negli Usa perché anche lì pare ci sia fermento. E questa, di certo, non è una novità. Solo che, francamente, non ci si aspettava un inizio anno così folgorante, soprattutto da un punto di vista qualitativo. La crisi alla musica ci fa un baffo.

I primi della lista sono i Bears, duo indie pop di stanza a Cleveland. Attirato dalla presenza nella band di Craig Ramsey, autore da me molto apprezzato di Parting Gift for a Party Girl (Self Released, 2010) – soffice disco pop di ormai due anni fa – mi sono avvicinato a questo Greater Lakes, sempre autoprodotto e che vedrà la luce il giorno di San Valentino, con curiosità. E il disco, devo dire, non ha deluso nessuna delle mie aspettative, accrescendo la stima che provavo per Craig Ramsey ed estendendola anche al suo compagno di band e co-autore di tutte le canzoni (nonché co-cantante) Charlie MacArthur. Le sonorità sono quelle più tipicamente indie pop con coretti, chitarre acustiche e melodie pulite, capaci di riscaldare (Eleven a.m., Your Going, Wash my hands, Until the very end), accarezzare (More left out, I don’t have you in my mind, I can’t make things right) e consolare (From good to bad, Don’t Wait, The city still) senza disdegnare fughe in territori all’apparenza lontani, come il surf di Perfect Girl. Un disco maturo e ben equilibrato, che si lascia ascoltare con estrema piacevolezza. Godetevelo nelle giornate di freddo intenso, magari con una tazza di tè fumante in una mano e l’altra a stringere un plaid. Cliché? Forse, ma chi ha detto che a noi non stiano bene?

[soundcloud url=”http://api.soundcloud.com/tracks/32221506″]

Cambio di scenario, spostiamoci in Texas, Austin per la precisione. Alziamo il gain un bel po’, così come i bpm, aggiungiamoci qualche graffio low-fi tenedoci però le melodie limpide, shakeriamo con forza ed ecco qui i Literature e il loro album d’esordio Arab Spring (Voice Academy Records , 2012), in free download sulla loro pagina bandcamp. Idealmente a metà strada tra Pains of Being Pure at Heart e Strokes, la band di Austin ha tirato fuori un disco da ascoltare ad alto volume, lasciandosi sorprendere, così come ho fatto io, dalla qualità incredibile della scaletta, in cui a una possibile hit segue un’altra possibile hit, senza alcuna soluzione di continuità. Si parte con 14 seconds, morbido indie rock dalle venature retro, per poi proseguire con, in fila, Lily, Push up bra, Criminal kids, Arab spring e Grifted, una serie di pezzi che metterebbe k.o. qualsiasi dancefloor (chiaramente esagero). Il grosso è passato ma nei successivi quattro brani non è che si scenda troppo, è solo che la serie precedentemente ascoltata era impressionante. Fatevi un favore, questo disco, non lasciatevelo scappare.

http://bandcamp.com/EmbeddedPlayer/v=2/album=3558801572/size=venti/bgcol=FFFFFF/linkcol=4285BB/

Torniamo a Cleveland perché è il momento di occuparsi dei Cloud Nothings. La band capitanata da Dylan Baldi ci aveva abituato, nelle sue precedenti produzioni, a un punk lo-fi e melodico, à la Wavves del primo periodo tanto per intenderci. Bene, adesso scordatevelo, perché Attack on memory (Carpark, 2012) è un disco grunge. Fin dalla prima nota si intuisce che le atmosfere scanzonate dei lavori precedenti hanno ceduto il passo a paesaggi più cupi e claustrofobici, e la produzione, diretta da Steve Albini, non può che accentuare questa caratteristica. Il disco si apre con una doppietta mozzafiato, due pezzi, No future/No past e Wasted Days, che ti riportano direttamente indietro, all’inizio degli anni ’90, quando Kurt Cobain urlava nei microfoni di Seattle. Ora, capisco che il paragone sia quantomeno irrispettoso, ma c’è da dire che l’influenza diretta, almeno quella che io sento più distintamente, della band è proprio quella dei Nirvana, sia per come Baldi si approccia al cantato, trascinando la cadenza rauca, proprio come Kurt usava fare;  sia per l’andamento dei pezzi,  chiusi e cupi prima, per poi esplodere in un universo di rabbia nei ritornelli. Il disco però non è uniforme. Dopo la spettinata di Wasted Days, lo ammetto, sarebbe difficile per tutti riprendere le redini di un discorso e infatti Attack on memory è un po’ come se si sfaldasse: perde quella forza verace, autentica che sembra avere nelle prime tracce e si sposta verso altri lidi. Almeno momentaneamente. Infatti le seguenti Fall In e Stay Useless (nonostante i titoli loser) ricordano più da vicino il vecchio stile dei Cloud Nothings, quello più smaccatamente punk. La band prova a recuperare le atmosfere dei primi due pezzi più volte, riuscendoci forse solo con No sentiment e Our Plans. Ora, non è che le altre canzoni siano brutte, no, ma è come se fossero fuori fuoco rispetto al “la” dato al disco dai primi due brani. A parte la musica, ciò che viene fuori con forza da questo album è la rabbia, che matura per tutta la durata delle singole canzoni per poi deflagrare potente e fragorosa. E certo, si può ragionare sul fatto che tutto questo non suoni nuovo, che riprenda vecchi stilemi, mode del passato, ma questa sensazione, almeno qui, in No Future/No Past e in Wasted Days, e cioè che tutto sia guidato da una certa maniera, io non l’ho avuta. Ciò che esce fuori dai pezzi dei Cloud Nothings è rabbia autentica, genuina e autentica. Anger is back in town dunque, e questo non può che essere positivo.

[vimeo http://www.vimeo.com/34974222 w=400&h=183]

Cloud Nothings – “No Future / No Past” Official Video from Urban Outfitters on Vimeo.