Biancaneve e Rosarossa: la via dell’armonia

Quale sorpresa è aggirarsi per una volta in una fiaba che non si distingue per crudezza e brutalità.  Spande armonia, ‘Biancaneve e Rosarossa’ nel trattamento dei fratelli Grimm, ed è assai più di un racconto di folclore germanico, troppo antico per datarlo. È una navigazione nei simboli della psiche, come sempre accade quando si ha a che fare con la fiaba, genere letterario che pare pretesto per trascrivere miti, sogni, ed esercitare un’immaginazione molto attiva che dà indicazioni esistenziali. A tal proposito, è bene ricordare che secondo Jung le fiabe sono “l’espressione più pura dei processi psichici dell’inconscio collettivo e rappresentano gli archetipi in forma semplice e concisa“. Secondo l’interpretazione che Eugen Drewermann, teologo e psicoanalista  fa nel bel libro pubblicato da Magi, corredato da note e illustrazioni d’arte,  Biancaneve e Rosarossa (da non confondere con Biancaneve e i sette nani), è la storia di una crescita, il racconto simbolico di un itinerario femminile dall’infanzia all’età adulta, passando per la pubertà. Sta a indicare come sia possibile diventare donna e attraverso un’armonia dinamica riuscire a conservare interiormente la propria natura infantile.

La fiaba racconta la storia di due sorelle, Biancaneve e Rosarossa che vivono con la madre, una povera vedova, in una capanna davanti la quale crescono due rosai. Le sorelle si vogliono molto bene, vivono in pace e concordia pur essendo diverse di carattere, una più vivace, l’altra più silenziosa. Sono di casa anche nel bosco, al punto che la mamma non si preoccupa se restano a dormirci. Tuttavia una volta al risveglio, si accorgono di aver dormito sull’orlo di un abisso, vegliate da un angelo. Una sera bussa alla porta un orso: chiede ospitalità per scaldarsi al fuoco del camino. Le bambine sono colte da spavento, ma la mamma le rassicura e accoglie l’orso. Così dopo l’iniziale timore, diventa il loro compagno di giochi. L’orso torna ogni sera finché in primavera annuncia che deve allontanarsi per difendere i suoi tesori dai nani cattivi che escono dalle tane e li rubano. Infatti quando vanno nel bosco le bambine si imbattono in un nano che si dimena perché la sua barba è rimasta impigliata nel tronco di un albero. Biancaneve lo libera tagliando la barba con una forbicina, ma il nano se ne va, furioso e ingrato, con un sacco d’oro in spalla. Lo stesso nano lo rincontrano in uno stagno mentre cerca di pescare un grosso pesce che invece lo tira dentro l’acqua. Di nuovo Biancaneve gli taglia un altro pezzetto di barba impigliata nella lenza e lo salva, ma lui sempre più irriconoscente se ne va, stavolta con un sacco pieno di perle. Quando la mamma chiede alle bambine di andare in città a comprare ago e filo, per la terza volta si imbattono nel nano: è stato catturato da una grossa aquila. Riescono a liberarlo dagli artigli, ma lui si lamenta della giacca tutta lacerata e se ne va con un sacco pieno di pietre preziose.

Sulla strada del ritorno, vedono il nano spargere sul prato tutti i suoi tesori. A quel punto un grosso orso balza fuori dalla foresta e lo afferra; il nano implora pietà e cerca di convincere la bestia a risparmiarlo, chiede che mangi le due ragazze al posto suo. Invece l’orso gli dà una zampata e lo uccide. Biancaneve e Rosarossa si spaventano, ma quando l’orso inizia a parlare riconoscono il loro vecchio amico che si trasforma in un bel giovanetto vestito d’oro e confessa d’essere il figlio del re, costretto a vagare nella foresta in quelle sembianze per essere stato stregato dal nano cattivo che ha rubato tutti i suoi tesori. Biancaneve sposa il principe, Rosarossa il fratello, e la madre delle fanciulle vive con loro ancora per molti anni.

Un bel concentrato di simboli in una fiaba, non c’è che dire. Seguendo l’interpretazione sulla base della psicologia del profondo che Drewermann elabora, ogni cosa ha la sua ragione d’essere ed è inserita in un percorso iniziatico. È evidente che Rosarossa e Biancaneve sono personificazioni mitiche di due stagioni dell’anno, opposte e contrarie, estate e inverno, e anche di due aspetti fondamentali della psiche, estroversione e introversione d’ascendenza junghiana, progressione e regressione. Le sorelle, sia pure tanto diverse, non si contrastano mai, anzi sanno ben integrarsi in quanto figlie di Madre Natura, la grande dea. Non c’è attrito tra loro perché nel grembo della natura ognuna delle due è accolta e si completa in funzione dell’altra.  Il mondo è un luogo sicuro finché si resta in patria: nella casa di Madre Natura e si vive cercando il completamento reciproco e l’integrazione con gli altri esseri viventi. Le bambine dividono tutto e hanno una continuità immediata con gli animali. Segno di questa adesione al mondo della natura e alla terra, è la presenza di due rosai davanti la capanna, dal colore bianco e rosso da cui deriva il nome delle bambine. C’è una perfetta continuità tra piante e bambine, non sono innaturali nel loro essere umane. Un sentimento del vivere perso dalla civiltà occidentale (Drewermann ricorda l’eccezione di san Francesco) con l’avvento di una logica di dominio e sfruttamento dell’uomo sulla natura. E la fiaba sta lì a ricordare un sentimento sacro che impronta la vita umana nella natura,  un sentire animistico e panteista,  quale è stato anche degli indiani d’America. In quanto colori dell’anima, sfumature interiori, il rosso e il bianco rappresentano contrasti estremi tra vitalità e riserbo, accensione e ritrosia. Eppure le due sorelle, conciliano gli opposti e si scambiano la promessa di non separarsi mai per la vita. Inoltre, rende possibile il loro sviluppo armonico, nell’armonia già esistente per la loro integrazione nella natura, l’assenza di paura. O meglio, quando la paura arriva, le cure materne fanno sì che possa essere scalzata, sostituita da un atteggiamento aperto e fiducioso.  Drewermann considera questa fiaba ‘pia’ più di ogni altra perché “tratteggia  per noi il paradiso dell’infanzia perduta, al fine di ricordarci per cosa siamo fatti e come potrebbe essere la nostra vita se soltanto fosse retta dalla fiducia originaria e dalla spensieratezza dei veri figli dell’invisibile regno fatto di sicurezze e quiete, invece che dalle preoccupazioni e dall’ansia tipiche del mondo adulto”. Un bel sogno che ci parla di una crescita non nevrotica, ma equilibrata, all’insegna di un equilibrio dinamico.

Il primo risveglio al senso del pericolo, che anch’esso componente del mondo, avviene quando le bambine dopo essersi addormentate nel bosco si accorgono di aver dormito sull’orlo di un abisso. Un bambino in veste bianca le ha protette, è l’io infantile, ma è tempo che l’infanzia finisca. La rassicurante armonia pare interrompersi con l’arrivo una sera d’inverno di un orso: nell’universo finora tutto femminile, nella triade di dee, fa la sua comparsa per la prima volta il maschile, ovvero la sessualità al suo manifestarsi. Ed è ancora l’atteggiamento materno che permette ai nuovi impulsi di non essere rimossi, ma di venire accolti nel calore della casa e di esser vissuti con gioia e piacere: l’orso diviene il compagno di giochi quotidiano delle bambine. Entrambe imparano ad affrontare la loro sessualità nascente. Così non accade in Cappuccetto Rosso dove “l’energia istintuale respinta, repressa e ansiogena diventa pericolosa e feroce”. Sottratti al dominio delle paure, es e Super io, istinto e morale possono vivere nella casa dell’io.

Il percorso però non è mai lineare. È necessario anche superare la fase dei giochi sessuali infantili. L’orso deve andarsene per dar la caccia a nani malvagi. Non siamo in Biancaneve e i sette nani: qui il nano è uno solo, sottrae tesori ed è a causa sua che per un incantesimo il principe appare in sembianze di orso. Il nano è brontolone, polemico, litigioso: tre volte le fanciulle gli salvano la vita: non basta perché mitighi la scontrosità e la cupidigia che lo caratterizzano. Questa creatura è una reincarnazione dello spirito infantile, è l’io nano che crea ogni sorta di disturbo, è la coscienza dell’infanzia ferma a uno stadio poco sviluppato, preoccupata solo di apparire e di rubare i tesori altrui, carente di una moralità autentica. Le due fanciulle non subiscono l’io bambino, anzi sanno affrontarlo, non prendendo alla lettera le sue pretese, le invettive sbraitanti, neutralizzandolo anche a colpi di umorismo. La paura anche stavolta viene sconfitta attraverso le armi del gioco e dell’umorismo. Se Biancaneve gli taglia la barba è perché le vecchie pretese vanno ‘potate’. Pur emancipandosi dal folletto maldestro, le fanciulle lo salvano, perché sanno che in natura sono necessari passaggi graduali: “una morte troppo precoce della coscienza infantile significherebbe senza dubbio che l’orso non sarebbe più capace di umanizzarsi”. Il pesce è simbolo fallico, invisibile nell’acqua, che può trascinare a fondo: non si possono tenere a freno le forze istintive dell’inconscio finché il nano esercita le sue pretese: la barba è tagliata un altro po’. Infine lo salvano dall’aquila mentre sono in cammino verso la città, luogo della civiltà. Rischierebbero di veder portate via da un’aquila, simbolo di intelligenza arrogante e superba, la parte umana nana prima di essere  diventate completamente adulte. Per questo salvano ancora una volta il loro io bambino, restando ancorate a terra. Quando il nano rovescia il sacco pieno di pietre preziose, sopraggiunge l’orso nero. L’es irrompe mentre le fanciulle sono in disparte e assistono alla scena.

Stavolta però l’orso non è più solo inconscio informe ma, ucciso il residuo infantile con una zampata, diventa un principe vestito d’oro: rotto l’incantesimo, affiora l’aspetto regale della psiche. Attraverso passaggi graduali, quando i tempi sono maturi “dalle forze istintive della sessualità, nasce ora un amore umano”. Diventano donne nel momento in cui sanno fare dialogare es e super Io, non più forze oscure o trascinanti, nella dimensione dell’io e del tu. Il matrimonio finale, il vincolo d’amore, è simbolo riepilogativo di unificazione degli opposti. L’orso a cui si unisce Biancaneve ha un fratello che sposa Rosarossa, A illuminare il quadro, resta ancora la presenza di Madre Natura. Integrati uomo e natura, coscienza e inconscio, passato e presente, uomo e donna, si realizza il miracolo dell’armonia che preserva anche l’integrità infantile, l’unità mai perduta, l’essere.  Non a caso la fiaba si chiude con l’immagine  di apertura: i due rosai continuano a crescere offrendo le rose più belle. Così belle da sembrare a chi è invischiato in ordinari contrasti interiori e mondani, separato dal cosmo e ignaro della Natura, in una società depressiva e depressa, rose irraggiungibili, tanto è  semplice e ‘naturale’ la loro fioritura spirituale.

 

 

Biancaneve e Rosarossa. Un’interpretazione della fiaba dei fratelli Grimm sulla base della psicologia del profondo
di Eugen Drewermann – Ma. Gi. – 2006
Prezzo: € 16.00