Trasfigurazioni

Stesse “Trasfigurazioni”: dalla carne allo spirito e ritorno secondo un principio circolare. Stesso affondo nella carne, nella materia più dura e compatta per cercare il varco. Stesso gioco di luci e ombre. Stessa carica emozionale e plasticità delle figure. Stesso uso del quotidiano e della corporeità come simboli di un accadimento universale, atemporale. Michelangelo Merisi detto il Caravaggio e Bill Viola: quattrocento anni di distanza e non sentirli. L’arte è comunicazione simbolica e vive di misteriose correnti sotterranee che favoriscono ricongiungimenti e filiazioni sorprendenti a dispetto del tempo, delle realtà umane e delle biografie differenti. Il pittore italiano che ha rivoluzionato l’arte con il suo realismo drammatico e la scandalosa sacralità della carne, e il più sofisticato rappresentante della video arte da 40 anni a questa parte, si incontrano. Caravaggio rivive nelle video installazioni al plasma dell’artista newyorkese che isolano sulla scena figure estatiche o tormentate, impresse nell’atto di vivere e nell’imprevisto dell’istante o nell’apice drammatico della vicenda umana. Parti di una narrazione che è immessa in un ciclo cosmico, spesso contrassegnato da acqua e inondazioni come segni di ritorno al sé, palingenesi o tracollo.
Succede a Napoli, terra estrema, come alla fine del mondo, capace di coniugare gli opposti; luogo caravaggesco non solo perché Michelangelo Merisi visse e soggiornò ai quartieri spagnoli (1606-1607), ma anche perché è città fatta di ipogei, gallerie sotterranee, improvvisi sbocchi al mare e aperture all’infinito; tanto sprofondata nella danza macabra della terra da essere prossima al cielo. Per la prima volta Viola espone nella sala Causa del museo di Capodimonte sei capolavori in movimento, di cui 5 mai visti, installazioni che dialogano con Caravaggio di cui nello stesso museo si trovano opere di forza drammatica quali la celeberrima Flagellazione di Cristo. Il progetto è stato promosso dalla soprintendenza speciale per il patrimonio storico, artistico, etnoantropologico e per il polo museale della città di Napoli nell’ambito delle manifestazioni per il quarto centenario della morte di Caravaggio. Le videoinstallazioni dalla forza ipnotica sono una riflessione sulla vita e sulla morte, sulla sofferenza e sulla speranza. Hanno durata diversa, si osservano in religioso silenzio perché ci catapultano in una dimensione tanto umana da essere soprannaturale e fuori del tempo. Sono proiettate in sale buie dotate di schermi ad alta risoluzione e un sistema di suono ad alto impatto emotivo. Si è calati in un’esperienza tanto sensoriale da essere mistica, un po’ come nei templi tibetani. Viola utilizza la tecnica del ralenti per raccontare precisi momenti di vita, tormenti, angosce, stupore, sofferenze umane colti nel volto e nella corporeità. Come popolani caravaggeschi, protagonisti della sua video arte sono persone comuni impressionati nell’apoteosi emotiva, quando la dimensione ordinaria dell’esistenza è scossa da un accidente catastrofico, apocalittico o straordinario.
Viola solleva il velo delle illusioni e va a pungolare l’incredulo spettatore che trova nell’opera la sua storia umana: al punto dove la vita di ognuno di noi devia, dove accade qualcosa di non funzionale alla logica comune, dove tutto prende una piega diversa, che ha a che fare con il sacro o la dimensione trascendente. C’è il richiamo a Caravaggio nella costruzione delle immagini, con l’uso dello sfondo neutro e in primo piano personaggi impressi nel gioco di luci e ombre, carne e colori su cui incombe una forza metafisica, ma ci sono anche continui rimandi alla storia dell’arte europea, oltre che alle filosofie che l’artista ha introiettato in modo non convenzionale: il buddismo Zen, il sufismo islamico. Utilizzando in modo magistrale le sofisticate tecnologie multimediali, Viola esplora gli aspetti spirituali e percettivi dell’esperienza umana, ponendo l’attenzione su temi universali: nascita, morte, scoperta della consapevolezza del sé.


Nel primo video, assistiamo a moderne sacre conversazioni (The Quintet of the Astonished, 2000), in cui colorati santi moderni vengono trafitti dal dolore e dalla compassione. Sono esplorate le emozioni umane universale attraverso le dinamiche gestuali e mimiche di cinque personaggi. Un tecnologico dittico che richiama quelli fiamminghi del XVI secolo (Union, 2000), racconta l’anelito umano alla completezza e all’unione cosmica. Un uomo e una donna sono ripresi su due schermi diversi nella loro titanica lotta per superare il disagio esistenziale, il limite corporeo e mentale dell’esistere. Arriveranno alla cessazione della sofferenza, seppure svuotati  e come  stravolti dall’esperienza avuta. L’acqua è archetipo e motivo narrativo per eccellenza di Viola: da una cascata d’acqua si creano forme umane, avanzano verso di noi, e se ne tornano da dove sono venute. Accade a un giovane di oggi (Transfiguration, 2007), plasmato e poi dissolto nell’acqua, fino alla sparizione e al ritorno del buio, forse il buio primordiale; o a tre spettrali figure femminili di diverse età (ricordano Canova, ma anche Klimt nell’abbraccio), che si affacciano alla vita come fosse un passaggio fulmineo e nulla più, scelgono repentinamente di ritornare da dove sono venute (Three Women, 2008), che sia la dimensione della morte o un altro stato dell’essere. Un affaccio veloce e violento alla vita, prima di sparire di nuovo. Sono le due opere del ciclo della Trasfigurazione. L’acqua permette di creare un effetto tridimensionale, le figure sono come sbalzate fuori dalla cornice.

Ancora l’acqua come elemento catartico, occasione di passaggio da uno stato all’altro, sconvolgente forza riequilibratrice, caratterizza The raft (2004), un’installazione video sonora di fortissimo impatto in cui la routine di 19 persone, uomini e donne, di diverse etnie e status socioeconomico,  tutti annoiati o comunque assorti nei propri pensieri a una fermata di autobus,  è sconvolta dall’impatto con una sorta di diluvio. Le persone sono investite all’improvviso da potenti getti invalidanti che le atterranno, le rendono impotenti, le fanno contorcere,  stravolgono le fisionomie. Tutto accade, secondo la marca stilistica di Viola, al rallentatore ad enfatizzare la “fine della civiltà”, di un modello di civiltà e degli inganni collettivi. Evidente qui il richiamo al terrore metropolitano di Ground Zero, degli attentati di Madrid e Londra, di eventi della nostra storia contemporanea che hanno sradicato definitivamente l’essere umano dalle sue illusioni di sicurezza, mal’hanno fatto scoprire o riscoprire per una volta solidale. C’è anche il richiamo all’antinomia sempre più netta in quest’epoca ipertecnologica tra l’uomo e la natura.

Le persone che si scoprono parte di una stessa umanità sono le stesse che Viola mette in fila, avanzano verso di noi, desiderose di scorgere qualcosa che li commuove, li sconcerta, li turba (Observance, 2002) appena fuori dal campo visivo, sotto il margine dell’inquadratura. Si danno la mano, si toccano, come a comporre una catena umana, e quando arrivano in prima fila guardano esterrefatte verso di noi per poi arretrare. Cosa guardano? Cosa è che le sconvolge? Dai loro volti traspare commozione e dolore. Forse c’è un feretro. Il cadavere delle illusioni, o del falso sé. Forse si celebra il funerale della falsa personalità che ci sovrasta e non riusciamo ad abbattere nel tempo della vita. Forse osservano qualcosa che li riporta alla vera essenza. Forse in quel momento c’è stata una epifania o è avvenuta una trasfigurazione secondo la definizione che ne dà lo stesso Viola: “In termini fisici, una trasfigurazione altro non è che un cambiamento della forma, un ‘rimodellamento’ dell’aspetto esteriore. Tale vocabolo deriva dal greco antico ‘metemorphoth’ o ‘metamorphosis’, che evoca l’idea di una formazione totalmente nuova. In ogni caso, a livello spirituale la parola assume il suo più pieno significato quando si riferisce al momento in cui una persona o un oggetto non si trasformano attraverso mezzi esterni bensì da dentro. Il cambiamento che ne risulta è assoluto e totale e coinvolge sia il cuore che l’anima del soggetto interessato. Sebbene nel corso di questo processo l’aspetto esteriore possa talvolta risultare anche alterato, non è necessario che ciò accada. Una trasformazione più profonda e completa avviene all’interno, lontano dalla vista, e nel caso di una persona essa riformula la fibra stessa della sua essenza, irradiandosi infine verso l’esterno – e coinvolgendo tutto ciò che la circonda”.

BILL VIOLA per Capodimonte
30 ottobre 2010 – 23 gennaio 2011

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