Lei non potrà svanire e sarà sempre bella, per sempre l’amerai

“Tu, amante audace, non potrai baciare
chi ti è così vicina; però non lamentarti
per la gioia svanita: lei non potrà svanire
e sarà sempre bella, per sempre l’amerai.” (*)

Realizzare un film che ruota intorno alla figura di un poeta adorato come John Keats può rivelarsi un’arma a doppio taglio. Chi potrebbe, infatti, resistere al racconto del grande, disperato amore del più romantico tra i romantici, baciato, con uguale passione, dalle Muse e dalla Nera Signora? Allo stesso tempo, però, il rischio è quello di banalizzare, di lasciare nel pubblico l’impressione di essere passati accanto all’essenziale senza riuscire a coglierlo.

La storia sembrerebbe raccontarsi da sé. Il giovanissimo John Keats (Ben Whishaw), oppresso dalla povertà e dall’ostilità della critica, trova rifugio e conforto nella casa del più fortunato collega Charles Brown (Paul Schneider). Il fratello di John sta morendo di tubercolosi, come già la loro madre, e la malattia ha gettato i suoi semi maligni anche nel nostro poeta. Si dice che la sua costituzione, gracile e poco aitante, lo rendesse timido con le donne e gli facesse preferire, alla compagnia femminile, i pomeriggi trascorsi con Brown e gli altri amici letterati a leggere, scrivere o far nulla.

Ma tutto cambia per Keats quando conosce la sua nuova vicina di casa, Fanny Brawne (Abbie Cornish). Ed è proprio dal punto di vista di lei che Jane Campion (l’autrice Palma D’Oro a Cannes con Lezioni di Piano) sceglie di osservare la storia. Fanny è, apparentemente, agli antipodi di Keats: è elegante, vitale, civettuola, e, per dirla tutta, la poesia non le interessa e non le piace. Almeno finché non si imbatte in quello strano ragazzo malvestito che sembra, allo stesso tempo, così fragile e così intenso. La passione di Fanny è, invece, la sartoria; passione che potrebbe appare quasi ridicola, se confrontata con il dono letterario del suo interlocutore. Se non fosse che, nel 1818, il ricamo era una delle poche forme di creatività consentite alle donne. Fanny, inoltre, non si limita a eseguire schemi o decorare fazzoletti, ma inventa, osa, sperimenta, e, soprattutto, indossa le sue originali creazioni con una disinvoltura che la rende, inevitabilmente, attraente.

Nonostante appartengano a due mondi così distanti, Fanny e John sono immediatamente attratti l’uno dall’altra e si amano con l’inarginabile violenza che caratterizza i primi amori.
Come in tutti i melodrammi che si rispettino, il sentimento tra i due è contrastato da una lunghissima lista di elementi avversi. Innanzitutto le condizioni economiche di Keats non gli permettono di sposare Fanny. La ragazza, infatti, pur non essendo né nobile né particolarmente ricca, gode di una condizione molto più agiata di quella del suo fidanzato, e, nella rigida società inglese del 1800, il matrimonio con un uomo assolutamente privo di mezzi sarebbe per Fanny una degradazione. In secondo luogo, lo stesso Charles Brown si scopre insofferente all’amore tra i due ragazzi. Brown è, probabilmente, geloso di Keats nel momento in cui il poeta gli preferisce la compagnia di Fanny; ma, forse, è geloso anche di Fanny che, al mascolino Brown, ha preferito un poeta malaticcio e squattrinato.
Vedendo nascere e crescere questo sentimento così inaspettato, il pubblico si domanda, con interesse, come reagirà all’amore l’uomo che ha teorizzato la massima empatia del poeta, colui che scriveva: “Il Poeta è la più impoetica delle cose che esistono; perché non ha Identità, è continuamente intento a riempire qualche altro Corpo – il Sole, la Luna, il Mare e gli Uomini e le Donne, che sono creature d’impulso, sono poetiche e c’è in loro qualcosa di immutabile, ma il poeta no; non ha identità, è certamente la più impoetica di tutte le Creature di Dio.” [John Keats, Lettera a Richard Woodhouse del 27 Ottobre 1818]
Immaginiamo che un tale sentimento, in un’indole del genere, non possa che dare vita a un amore puro, assoluto, sublime; un sentimento che sconfina nella pazzia amorosa.

Ma è proprio qui che Jane Campion delude il suo pubblico e si dimostra non all’altezza del suo oggetto di discorso. La sua narrazione non ha alcuna accelerazione, non toglie il fiato, non suscita emozione. Ogni cosa risulta rarefatta e diluita, dai discorsi dei personaggi alle loro azioni, che, troppo spesso, appaiono solo pretesti per mostrare un lezioso virtuosismo fotografico e un’accurata ricostruzione di ambienti e costumi.
Sono davvero pochi i momenti ispirati, quelli che riescono a catturare la scintilla di un amore totalizzante, tanto più intenso in quanto non consumato; una passione ardente fatta solo di parole, di ricordi, di sguardi, di pochi e infantili contatti fisici.

L’intento dell’autrice del film, che lo ha scritto oltre che diretto, sembra quello di suggerire che nemmeno il più ispirato dei poeti può diventare eccelso se il suo cuore non è toccato, almeno una volta, da un amore profondo. È durante la sua relazione con Fanny che Keats comporrà le poesie che lo renderanno celebre: Ode a un Usignolo, Ode su un’Urna Greca, Ode alla Malinconia. Solo l’Amore, dunque, rende l’Arte perfetta, solo l’Amore può condurre alla vera Bellezza. È l’iniziazione all’Amore che consacrerà Keats all’immortalità.
È quasi sconcertante pensare a come sia possibile ricavare un film debole e sostanzialmente insipido da una storia così commovente. Sembra quasi che Campion abbia dimenticato una delle più celebri lezioni di Keats sulla poesia: “Che se la Poesia non viene così naturale come le Foglie dell’albero è meglio che non venga affatto.”. E il difetto principale di questo film sembra proprio quello di non essere sincero. Tuttavia riconosciamo a Jane Campion un grandissimo merito, ovvero quello di aver portato l’interesse del pubblico su questa vicenda bellissima e tristissima.
L’unica vera “fulgida stella” del film sono, infatti, le parole di Keats, i versi delle sue poesie, gli stralci delle sue lettere: illuminano la storia e incantano lo spettatore con il loro splendore
Ma la qualità di una pellicola non coincide con quella del suo argomento.
A questo punto ci permettiamo di suggerire, a chi volesse godere di questa struggente tragedia che la Vita stessa ha composto, di riprendere in mano qualcuna delle odi di John Keats o le sue numerosissime lettere, agli amici o alla stessa Fanny, e di ripercorrere, attraverso di esse, gli ultimi appassionati e disperati tre anni della vita di un artista che la Poesia e l’Amore hanno reso immortale.

(*) da Ode su un’Urna Greca, traduzione di Francesco Dalessandro. Tratto da Sull’indolenza e altre odi, Edizioni Il Labirinto

Bright Star – GB/AUS/FR 2009
di Jane Campion
con Abbie Cornish, Ben Whishaw, Paul Schneider
01 Distribution – 120 min.
nelle sale dal 11 Giugno 2010

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