L’altra riforma: insegnanti “a lezione” da Pokemon e Ben10 per prevenire bullismo e illegalità

Se c’è qualcosa che desideriamo cambiare nel bambino, dovremmo prima esaminarlo bene e vedere se non è qualcosa che faremmo meglio a cambiare in noi stessi.
Carl Gustav Jung

Ero un bambino, cioè uno di quei mostri che gli adulti fabbricano con i loro rimpianti.
Jean Paul Sartre

CHE I BAMBINI SIANO LIBERI DI FARE IL LORO MESTIERE: GIOCARE CON LE MANI IN PASTA

Il bullo nasce nella testa dei genitori. E dove, se no? Inoltre, bene che vada, nella realtà capovolta ci si sta comunque a pieno titolo. Si vedono bambini adulti e adulti bambini nelle nostre contrade. Oppure, adulti bambini e bambini scaraventati nel fiume della casualità e nel mare delle merci. Scherzi della post-modernità che, certe volte, anzi molte volte, non riescono. E ci scappa il bullo. Come fosse un guasto di produzione, un difetto di fabbrica, ma in casi frequenti finisce per essere l’orgoglio, il trofeo di mamma e papà.

Non parla di bulli, non usa neanche il fatidico vocabolo, se non alla fine di un lungo, coinvolgente e vulcanico argomentare, Marina D’Amato, docente di Sociologia dell’Educazione presso la Facoltà di Scienze della Formazione all’Università di Roma Tre. La D’Amato, argento vivo addosso e intelligenza luminosissima, è stata invitata da Maria Zeno, preside del liceo scientifico Galileo Galilei di Civitavecchia a tenere un seminario sul tema “Identità, solidarietà e corresponsabilità: costruire una cultura della legalità”.

Non a caso è stata invitata nella scuola che fa da capofila a un progetto dell’ente Provincia contro il bullismo e a favore della legalità. Da una parte una serie di seminari rivolti ai docenti per affrontare il tema e avviare un dialogo in classe. Dall’altra, si è chiesto e si chiederà ai ragazzi di descrivere la propria identità; ma non è il temino ficcanaso e classista di altre stagioni. È esigenza sentita di sapere come si percepiscono, gli adolescenti, che cosa significa per loro appartenere a un territorio, “quale è il punto di svolta nella costruzione del sé”, se c’è o c’è mai stato un principio d’individuazione del sé. A testimonianza dell’avvio del progetto, sono stati presenti al battesimo del progetto anche l’assessore provinciale alle Politiche della Scuola, Paola Rita Stella, Maria Assunta Peci e Maurizio Arena, della direzione dell’ufficio scolastico regionale, Vera Cuzzocrea, psicologa giuridica e membro dell’osservatorio regionale permanente sul bullismo. Tra il pubblico più insegnanti che genitori, spia eloquente di un gran contegno diffuso. Mio figlio un possibile bullo? Macché, non scherziamo! Io genitore portatore sano di bullismo? Giammai. Critica e autocritica: vade retro. Sono sempre gli altri e gli altri, ovviamente, non siamo noi.

Marina D’Amato è diretta, provocatoria, efficace. Educatori, attenzione, cosa sapete realmente dell’immaginario dei ragazzini che vi proponete di educare? Forse poco e niente. Forse l’ansia di andare avanti con il programma e di rincorrere brani antologici piuttosto che griglie testuali fa dimenticare tutto il resto, e il resto non è il niente, al contrario è la priorità. È indispensabile secondo la sociologa che si sappia molto bene quale è la cultura di riferimento di queste generazioni, generazioni volubili e volatili che cambiano stato di sei mesi in sei mesi. “Studiare i miti, i valori di comportamento trasmessi ai giovani fino agli anni ’70 è stato facilissimo. Da che la tv ha pervaso il globo, non lo è più. Chi ha capito l’ideologia dei cartoni animati giapponesi? Lo scintoismo, la nuova economia? Devi essere un combattente, fare, produrre, non c’è uno scopo. Le insegnanti non possono non sapere questo, non possono pensare che sia tutto stupido, o che il Piccolo principe sia il libro più venduto al mondo perché così non è più”.

Insegnanti studiate i Pokemon, l’onda di ritorno dei Pokemon, Ben Ten e giubbe affini: troverete molte risposte. “Dobbiamo seguire un mondo in perenne divenire valoriale” E i valori sono quelli di samurai-combattenti che rincorrono la vittoria per la vittoria senza interesse per l’esito: “la loro morte diventa la loro rinascita”. E così finisce che questa impostazione pervade la mente di tutti i ragazzini del pianeta. L’istigazione alla prepotenza, alla sopraffazione è continua. Paradossalmente, osserva la D’Amato, nel nostro paese si fanno grandi discussioni sulla questione della religione a scuola, ma poi nessuno si sofferma “sulle tre ore di scintoismo al giorno riservate ai bambini. Chi lo sa? Che ne sanno i genitori? E gli insegnanti?”. Sottoponiamo i figli al trattamento televisivo quotidiano come fosse elioterapia. Invece dovremmo prendere consapevolezza del cambiamento epocale: dall’etica protestante alla cultura narcisistica americana, siamo approdati infine a un cinismo vuoto e sfondato. Per D’Amato siamo “alla vendita morale del cinismo”. L’Italia “eccelle” in questo. La storia “culturale” del nostro paese ce lo dice. “Siamo la più grande industria di riciclo. Importiamo più di ogni altro paese dell’Occidente oggetti copiati, a fronte di una normativa europea che prevede che dovremmo produrre almeno il 10% dell’immaginario. Mettiamo sul mercato dei programmi per bambini la reificazione dell’essere”.

C’era una volta un tempo in cui le fiabe costruivano l’identità, lo stare al mondo, il senso del bene e l’avversione al male, ti illudevano dell’esistenza di principi e alla fine ti facevano detestare l’azzurro; c’era una volta un tempo in cui il travestimento, l’immedesimazione erano ritualità da farsi una volta l’anno, per acquisire per gioco una identità prescelta e cercare nel frattempo la propria. Oggi la storia cambia nel tempo di settimane e mesi, gli eroi di riferimento anche; resta ferma la caratteristica che “per giocare con gli altri, per far parte del gruppo, si deve comprare, comprare per essere”. Ogni giorno. Quali giochi? La sociologa registra un’altra anomalia italiana: negli ultimi decenni i giochi creati nel nostro paese sono solo due, diametralmente opposti. Didò, nato nel 1984, e creato da un architetto è meraviglioso. Un ottimo motivo, dunque, per essere stralciato dalla pubblicità “perché offre al bambino possibilità di creare e uscire dallo stato di apatia”. Invece, invenzione più recente sono le Winx, fate moderne secondo l’ideatore, “malandrine al cui confronto Barbie è un’educanda”, per la nostra studiosa. Esemplare è comunque il modello di femminilità proposto, la bambola “perversa”. Di fronte a questo panorama che nei casi estremi include anche i reclutamenti satanici di ragazzini attraverso siti e videogiochi (“Immaginario e satanismo, nuovi percorsi di identità giovanile” è l’ultimo libro della sociologa sul tema), è obbligatorio sforzarsi di conoscere l’immaginario simbolico dei ragazzini e mettersi nella condizione di ascolto, capire e conoscere perché un personaggio entri prepotentemente nel loro mondo”. E rischi di non uscirne più. Importa anche sapere come un adolescente si percepisce e chiederlo a lui direttamente in dieci righe è la migliore cosa. Perché nella società liquida dove si è un po’ e un po’ , genitori e figli dei propri figli insieme, dove tutto è possibile, “generazioni di adulti infantili continuano a rendere adulti i bambini trattati come pari, bambini a cui è impedito di fare il loro mestiere: giocare!” Finché la pressione e la tensione saturano l’atmosfera e con o senza l’acne spunta il bullo, che non è figlio del caso, semmai del caos generazionale e delle dimissioni educative dei genitori. “Il bullismo è un segnale grave di una mancanza da parte degli adulti”.

Prima si chiamava devianza minorile ed era correlata con l’emarginazione socio-economica. Oggi si chiama bullismo, è trasversale, a volte associato al benessere, prodotto di una cultura dove “non c’è l’idea del limite”. Un corollario di ciò è la mancanza dell’idea di legalità che non viene introiettata mai. Quando nasce il cittadino? Che si fa per favorirne la nascita? Quali pratiche si attuano per rendere cittadini i bambini? A metà del ‘400 racconta la sociologa “Brunelleschi edificò le logge a misura di bambini. Oggi è difficile trovare anche solo un ristorante che abbia un tavolo o un bagno a misura di bambino”. Non bastano le altalene e le facce buffe per dare cittadinanza ai bambini. Tantomeno i messaggi accattivanti della pubblicità che fanno del bambino non un cittadino ma un precoce consumatore.

Anche Vera Cuzzocrea, di cui è appena uscito il volume “(Al di là del) Bullismo”, Alpes editore, ha sottolineato la necessità della conoscenza. “Come possiamo capire e intercettare il problema, se noi genitori non conosciamo per primi gli strumenti attraverso i quali il bullismo si manifesta? Può cambiare forma, anche utilizzare vari canali, compresi Facebook e Internet. Bisogna formare tutti quelli che si occupano di bullismo e prevenire”. Il bullismo è anche un comportamento a rischio, una relazione disfunzionale “nel momento in cui si mette a repentaglio la stessa salute fisica e psichica del bambino- ragazzo”. Negli altri paesi è considerato un problema di salute pubblica. Può essere un pretesto o una chiave d’accesso per ottenere sostegno, implica una rottura di relazione che va ricomposta. Da qui terapie riparative da concretizzare: allontanamento dei responsabili da scuola, incontri con la famiglia d’origine chiamata a costruire un suo progetto di intervento per riparare il danno, modalità spaziali di vivere la classe alternative, quali la circolarità invece che la solita fila di banchi.

Intanto, regola numero uno, in attesa che fioriscano i nostri figli, (tutti grandi geni e scienziati), figli di un’epoca che è tutta una fioritura tossica algale, permettiamo ai bambini di svolgere il loro mestiere: giocare! Mani in pasta e cuor leggero.