Capire l’India moderna grazie a un racconto fanta–reale

È solo una questione di pazienza. Alcuni libri non catturano subito l’attenzione del lettore. Ma, come succede anche nella vita, spesso sono i migliori. Le prime cento pagine de I figli della mezzanotte, infatti, non scorrono. Si ha la sensazione di trovarsi davanti a una serie di dettagli inutili, troppo precisi per chi ancora non sia nel bel mezzo della storia. Ma Rushdie è uno scrittore magico: ogni minuzia trova la propria spiegazione un centinaio di pagine più in là e il lettore paziente viene premiato da un romanzo appassionante, umanamente ricco, spiazzante. Il libro racconta le vicende dei mille bambini nati il 15 agosto 1947, a mezzanotte. La stessa data in cui l’India proclamò l’indipendenza dall’Impero britannico. A distinguerli dagli altri, sono le loro doti straordinarie: c’è chi possiede una forza erculea, chi sa viaggiare nel tempo, chi riesce a far sparire le persone e chi, come il protagonista, è in grado di leggere nella mente altrui.

È proprio Salem Sinai che, in punto di morte, racconta il prima, il durante e il dopo questa data-spartiacque, inserendo nel fiume di parole centinaia di particolari apparentemente inspiegabili, ma collegati l’uno all’altro da un filo invisibile, di cui ci si rende conto solo proseguendo con la lettura e non scoraggiandosi al primo ostacolo. Perché gli indiani hanno la splendida capacità di trovare collegamenti tra tutte le cose e un senso anche laddove non sembra ci sia. La loro cultura è olistica, omnicomprensiva, enciclopedica; non è soggetta alle leggi occidentali della linearità. Per questo, credo che leggere I figli della mezzanotte sia soprattutto un’esperienza per la mente, una spinta a ragionare in modo diverso, utile a chiunque voglia penetrare i segreti di una storia, di una nazione e, perché no, della vita senza troppi punti e virgole, ma abbandonandosi al vortice logorroico di Rushdie.

I figli della mezzanotte è come una giungla, apparentemente ostile, ma generosa con chiunque riesca ad attraversarla. Il flusso di pensieri dell’autore-protagonista (rimane sempre il dubbio che la storia non sia del tutto inventata) è paragonabile a un racconto per immagini. Molte, infatti, le metafore cinematografiche. E come potrebbe essere altrimenti? Non dimentichiamo che l’India è anche Bollywood. Infatti la storia si svolge principalmente a Bombay, dove Salman va spesso al cinema e ha modo di ammirare divi e dive, non solo sullo schermo, ma anche per la strada e tra i suoi parenti, tra cui lo zio adorato e la moglie, attrice melodrammatica. Non solo: il famoso Pioneer Cafè è luogo di soste a metà tra il deluso e lo speranzoso delle tante comparse in attesa di un ingaggio.

Il linguaggio stesso è cinematografico: molti i primi piani, i dettagli e i flashback. Termini talvolta utilizzati esplicitamente ma più spesso suggeriti dal modo di procedere, che lascia la sensazione di essere al cinema, più che sul divano di casa. Sconsigliato a chi si aspetta una storia immediatamente comprensibile. Consigliato, invece, a chi è disposto ad affrontare centinaia di pagine per godersi alla fine uno splendido panorama.

Titolo: I figli della mezzanotte
Autore: Salman Rushdie
Editore: Mondadori
Dati: 2007, XVI-525 pp., 9,40 €

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Le foto sono di Mario e Thomas, viaggiatori. Qui il loro blog