Odette e Odile, ovvero la mortificazione della carne

Il lago dei cigni
Odette è stata trasformata in cigno dal malvagio Rothbart. L’incantesimo può essere sciolto solo con una promessa di matrimonio fatta in punto di morte. Il principe Siegfried si innamora di Odette e vuole chiederla in moglie, ma Rothbath lo inganna, dando alla figlia, Odile, le sembianze di Odette. Siegfried si lascia ingannare, sceglie Odile. Odette muore.

Il lago dei cigni, capolavoro di Pëtr Il’ic Tchaikovskji, è una favola crudele. Conosce la magia nera, tradisce una visione manichea del bene e del male, crea l’illusione del vero amore. Finisce in tragedia.

Così Darren Aronofsky ci regala una fiaba moderna, in cui il bene e il male non sono imputabili ad incantesimi e mondi  magici, ma sono le due anime della stessa persona. Creatura angelica, interpretata da una perfetta Natalie Portman, Nina è alla ricerca affannosa del suo lato oscuro, della sua Odile. L’espediente per cambiar vita è l’interpretazione del Cigno nero: la tecnica, l’impegno, l’appiattimento della propria vita al ballo, non sono sufficienti. La perfezione si può raggiungere solo con la perdita di controllo e la capacità di sedurre il pubblico.

La narrazione procede per stadi successivi verso la totale emancipazione di Nina, focalizzandosi sulle dicotomie: il bene e il male, necessari in ogni essere umano. Il mondo del balletto, aggressivo, competitivo, estraniante, e la vita domestica di Nina, tra pareti rosa e peluche, una madre disturbata e dinamiche relazionali morbose. Nina vive tutto sul proprio corpo. Fino alla resa, bellissima, della trasformazione finale e compiaciuta da cigno bianco in cigno nero, letteralmente un cambio di pelle.

Difficile non pensare a The Wrestler, il precedente film di Aronofsky, che ha regalato l’Oscar a Mickey Rourke. Anche qui la carne è terreno di scontro e strumento, nella sua mortificazione più estrema, per l’affermazione stessa della persona. Tuttavia, ne Il cigno nero Aronofsky passa dal realismo crudo all’inquietudine visionaria. Il pensiero corre veloce al David Cronenberg de Il pasto nudo e al David Lynch di Inland Empire, nelle scene oniriche e distorte create dalla mente della protagonista. Se tuttavia Lynch ha fatto dell’estetica allucinogena il nucleo della (non) narrazione, Darren Aronofsky gioca con le sue ossessioni, passando da immagini “terrene”, legate alla quotidianità, ad improvvise immersioni nell’assurdo.

Gioca pure con lo spettatore, trascinandolo in un vortice di tensione, che non accenna a smorzarsi.  L’uso della camera a mano che segue le piroette in maniera compulsiva, crea disagio fisico. Ma è l’utilizzo continuo dei classici espedienti da b-movie a impedire, volutamente, allo spettatore di rilassarsi: dietro ogni specchio, dietro ogni porta, quando la musica raggiunge il suo apice, ti aspetti che succeda qualcosa.

Il primo tempo è giocato tutto su una serie di colpi di scena “telefonati”, che nulla tolgono al pathos ma che, probabilmente, impediscono una visione fluida e immersiva. Il crescendo della tensione vuole trasmettere, per immagini, lo stato d’animo di Nina e insinuare il dubbio sulla sua sanità mentale. Chi guarda è chiamato a vivere sulla propria pelle – ancora una volta – una continua distorsione della realtà e a chiedersi se e quanto si tratti di allucinazione.

La seconda parte del film, pur senza abbassare i toni, dà per assodate una serie di affermazioni e partendo da qui cresce di livello. I riferimenti simbolici sono evidenti e ben resi grazie all’ottima fotografia e alla coreografia. Nonché all’interpretazione degli attori: Natalie Portman (vincitrice del premio Oscar come migliore attrice) e il suo “doppio”, una bravissima Mila Kunis, ballerina disinibita. Winona Rider nel ruolo della stella decaduta. La madre di Nina, Barbara Hershey, sospesa tra l’amore per la figlia e l’invidia per quello che lei non sarà mai. Vincent Cassel, coreografo e burattinaio.

La prima scena si apre proprio con l’introduzione del lago dei cigni: Nina sogna l’avvicendarsi tra il bianco e il nero. La scena finale è l’ultimo atto del balletto, con le ali nere che spuntano dolorosamente dalla pelle diafana della Portman e la riappropriazione di sè solo in punto di morte.

Il cigno nero (Black Swan)
di Darren Aronofsky
Produzione: USA, 2010
Genere: Drammatico/Psicologico
durata: 103′
Sceneggiatura: Mark Heyman, Andres Heinz, John McLaughing
Fotografia: Matthew Libatique
Colonna Sonora: Clint Mansell

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2 thoughts on “Odette e Odile, ovvero la mortificazione della carne

  • Marzo 2, 2011 alle 8:16 pm
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    Bella recensione, ma non posso trattenermi dall’esprimere anche qui la critica con cui sto ammorbando tutti, scontrandomi ahimé con l’unanimità di plauso incondizionato che tutti tributano al film.
    (tutti tranne l’Academy Awards Committee, fortunatamente)

    Maria parla, giustamente, di espedienti da b-movie utilizzati a piene mani dal regista, soprattutto nel primo tempo. Un continuo _fastidioso_ di prevedibilissimi “botti” da film horror di serie Z, messi lì non si sa perché. Perché appunto la cosa che non mi da pace è questa: “perché”?!?

    Cosa aggiunge il mostro che fa “BU’!” dietro l’angolo a ogni piè sospinto, ogni 5 minuti? Io l’ho trovato fastidioso, alla fine sinceramente irritente.

    Fate un esperimento: provate a immaginare l’intero film SENZA tutti i flash di gente morta col colpo d’orchestra incorporato, senza i mostri all’improvviso, senza gente che si gira di scatto guardando in camera con il “TA-DAAA!!” a tutto volume. Lasciate tutto il resto com’è, lasciate le inquietudini più o meno suggerite, le musiche di tensione, le cose “fuori posto”, le trasformazioni fisiche e mentali, lasciate tutto e togliete SOLO i mostri che saltano fuori da dietro la porta.

    Non vi pare che ne guadagni parecchio?

    No, eh….?

    • Marzo 3, 2011 alle 1:01 pm
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      Non ho (ancora) visto il film, quindi di puro pregiudizio ipotizzo che se sono stati inseriti degli espedienti narrativi di dubbio gusto (e indubbiamente di scarsissimo ingengo) probabibilmente il motivo è che qualcuno (di solito i produttori) aveva ritenuto il tutto un po’ soporifero.

      Comunque, per chiarire, io ODIO quel tipo di espedienti.

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