Nel vortice dei Cold Pumas

Era scontato che dovesse arrivare. L’album che scompagina le cose, quello imprevisto, quello che ti fa alzare dalla sedia e dire: Fermi tutti, cosa sta succedendo. Tu eri lì buono, buono, pronto con le tue classifiche di fine anno già belle compilate; dovevi giusto limare gli ultimi dettagli e invece, sul filo di lana, arriva lui a sparigliare le tue faticose certezze. E nulla, devi ricominciare tutto daccapo, dannazione. Però prima ti prendi una pausa, respiri, metti play e ti concedi per l’ennesima volta l’ascolto di questo disco stupendo che è Persistant Malaise (Italian Beach Babes/Faux Discx/Gringo, 2012) dei Cold Pumas.
Chi sono questi tipi qui che si fanno chiamare Cold Pumas? Da dove spuntano fuori? Prima di dare alle stampe questo LP in realtà il trio di Brighton si era già fatto notare per un paio di split insieme a Male Bonding prima e Women poi. E l’influenza di questi ultimi si nota immediatamente: dalla prima traccia i droni di chitarra sembrano farla da padrone anche se le atmosfere e i suoni ricordano molto anche lo sferragliare dei Sonic Youth in Daydream Nation. Sono le melodie vocali però a solcare una differenza nei modelli: Patrick Fisher, voce della band, racconta con riverberato trasporto tutto il suo malessere dovuto alla fine di una intensa relazione. E così a contrasto delle parti strumentali, sempre decise e incisive, lunghe e intense, quasi una jam, grazie al cantato eccoci invece entrare in luoghi decisamente più pop. E anche la copertina, una sorta di incrocio fra i disegni di Hopper e i colori dei Fauves, sembra spingere nella direzione del crocevia, di qualcosa di nuovo che nasce da vecchi riferimenti.

La tripletta iniziale è folgorante: Versatile Gift con i suoi cambi di tempo e le aperture; Fog Cutter, col suo incedere incalzante; e Sherry Island in cui la filosofia del gruppo – repetition, repetition, repetition – è portata ai livelli più mimetici, tanto da non distinguersi il cambio che a metà fa cambiare rotta al pezzo (ma se lo ascolti a tutto volume, il mal di mare, te lo assicuro, lo senti), hanno tutti e tre il carattere del singolo. Variety Lights, unico pezzo strumentale, si piazza nel mezzo del disco come a dividerlo in due distinte parti. Ma l’identità di suono è compatta, tanto che anche le belle The Modernist Crown e Pruce Moment appartengono a quel post punk “ripetitivo” di cui sopra. La sola Rayon Gris sembra descrivere atmosfere più soffuse e dilatate, nonostante il sound spinga deciso come sempre: il risultato è notevole, e il pezzo prende forma come uno dei più intensi del disco. Il gran finale poi è affidato alla psichedelia di Vanishing Point, che, come da titolo, ben si presta a sfumare in una lunga coda rumorosa, come una barca che piano scompare all’orizzonte: unica scia, le onde che ancora schiumose, tra loro si infrangono.
La sensazione che rimane è quella di essere entrati dentro un vortice, un’esperienza che ti fa girare in tondo e ti lascia frastornato. Alcuni potrebbero storcere il naso e nella ripetizione di riff e movimenti intravedere la noia. Per altri insistere su uno schema non significa altro che perdersi al suo interno per poi transitare in altri luoghi e alla fine liberarsi.

Ascolta qui tutto il disco

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