Morfologia del lupo mannaro

Come diventare un lupo mannaro del celebre ghostbuster irlandese Elliott O’Donnell, operetta del 1912 ora riesumata da Mattioli 1885 in una bellissima veste editoriale (ogni tanto ci capita ancora la fortuna di avere per le mani libri di cui lo si possa dire sinceramente), è, come l’argomento di cui si occupa, di non immediata classificazione. Nella comoda cornice del trattato scientifico dedicato a un particolare aspetto del soprannaturale si innesta infatti un perfetto libro di fiabe che, come tutte le fiabe che si rispettino, ci racconta una storia per parlarci di qualcos’altro. All’insegna dell’affermazione di una libertà di opinione libera da dogmi, O’Donnell si impegna a delineare un quadro il più possibile completo della licantropia, dall’origine del fenomeno alle sue spiegazioni ai casi specifici, senza austerità e anzi con un certo sorrisetto compiaciuto che traspare tra le righe; e, già che c’è, ne approfitta per raccontarci storie su storie mentre ci accompagna alla scoperta del folklore licantropico su e giù per il Vecchio Continente.

Ammetto, per inciso, di esserci rimasto un po’ male, una volta scoperto che, dalla panoramica geografico-folkloristica di O’Donnell, manca proprio il Bel paese. Francia, Spagna, Inghilterra, Irlanda, Germania, Belgio, Russia, persino la Lapponia, insomma: tutta Europa sembra avere i propri licantropi (tali per scelta o per maledizione), così come i propri specifici rituali, ruscelli, fiori, incantesimi e formule magiche con cui acquisire la poco invidiabile proprietà di trasformarsi in lupo, tranne l’Italia. Che quindi, in mancanza d’altro, si dovrà accontentare del Lupo mannaro di Carlo Lucarelli (anche più inquietante, del resto, dei suoi colleghi teriomorfi).

In ogni caso, terminato il libro e superato l’eventuale shock campanilistico con cui si vede privato il nostro paese di una leggenda peraltro fiorita ovunque, la prima domanda che ci si pone non è tanto Come diventare un lupo mannaro, quanto semmai perché.

A differenza del vampiro, mostro aristocratico e proiettato, dalla sua più illustre incarnazione, in un’eterna dimensione nobiliare, il lupo mannaro rappresenta, nella sua ferinità, la forza terribile e primordiale della natura in unione simbiotica con la specie che quella stessa natura si è trovata a dominare. Un mix senz’altro esplosivo, che rende il licantropo uno dei mostri, se non più celebri al pubblico o frequentati dalla letteratura, certo più spaventosi per l’immaginario. Eppure, i racconti che O’Donnell mette in scena nei diversi palcoscenici attraverso cui ci accompagna ci mostrano (non sempre, ma spesso) qualcosa di più spaventoso del licantropo stesso; creature che, prive di emozioni o responsabilità o di qualsivoglia virtù, sacrificherebbero chiunque e qualunque cosa pur di salvare se stesse e le proprie passioni. Queste creature siamo noi: come scrive Nicola Manuppelli nella postfazione, “veri protagonisti di questo libro sono gli uomini… Sono loro i veri mostri”.

Dalla madre che getta giù dalla carrozza, uno per uno, i suoi tre figli per salvare il cavallo che la deve portare in salvo; alla donna che fugge felice di aver incontrato non un ladro che voglia i suoi diamanti, ma un licantropo che divora il suo grasso marito; al conte capo della polizia di Magdeburgo che si rifiuta di ascoltare una testimone dei rapimenti di bambini perché è povera, e quindi “Che diritto ha lei di avere figli”? Una teoria di individui perversi, nel senso etimologico del termine: persone che indirizzano i propri desideri, aspirazioni, affetti, fuori dalla retta via. Tanto malvagie o licenziose, a volte, che può persino capitare di trovare lupi mannari migliori di loro, come nel caso della storia dell’abate Gibert.

Perché dunque diventare lupi mannari, quando l’uomo, nella sua piccolezza, nella sua avidità, riesce spesso capace di una malvagità così tanto più grande (perché cosciente e consapevole) di quelle stesse creature soprannaturali a cui non di rado ambisce di somigliare? Nei racconti di O’Donnell, la distinzione tra uomo e bestia non è sempre netta, e capita anzi di leggere di un marito che accusa la moglie, assassina dei suoi figli, di essere “peggio di una bestia”. Pur nella costante, sottile ironia, non c’è pietà nell’evidenziare, di ogni vittima, il vizio, di ogni situazione l’anomalia: come nei più classici film dell’orrore, si identifica subito chi morirà prima della fine del racconto. Ma soprattutto, se ne capisce subito il perché: ed è proprio per questo che, nella sua semplicità ed efficacia, i racconti di O’Donnell si guadagnano senza sforzo il posto vicino alle fiabe tradizionali.

Titolo: Come diventare un lupo mannaro
Autore: Elliott D’Donnell
Editore: Mattioli 1885
Dati: 2010, pp. 203, € 18,00

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