The Ideal Crash of Rhinos

Quando troppo e quando niente. Ci sono periodi in cui è veramente difficile decidere su cosa scrivere e se scrivere. A volte gli stimoli mancano, ti giri attorno e proprio non ne vedi.  Altre volte, invece, come in questo momento, non sai scegliere di cosa parlare: un libro che ti ha colpito, un festival, un concerto, diversi dischi che sembrano tutti egualmente validi. Hai un ventaglio di possibilità che si apre davanti a te. E tu che fai? Scegli a caso? Peschi nel mucchio? Oppure cerchi di parlare di tutto, anche se in maniera stringata? Non ho, devo dirvi, una strategia ben precisa per questi momenti. Seguo la pancia che decide, adesso, di soffermarsi su un disco. Perché questo disco è stato proprio come un diretto in pieno stomaco, fin dal primo ascolto. E ora, dopo una settimana continuativa di repeat su winamp, è ancora lì, in cima ai miei ascolti e non c’è novità che tenga né vecchie glorie, almeno per il momento. Loro sono i Crash of Rhinos e il disco in questione è il loro di esordio, Distal.

Inizio subito col dire che la band di Derby non fa musica che normalmente ascolto. Il loro suono, composto di chitarre e cambi di ritmo repentini, di voci urlate e batterie pestate, è lontano dal pop sul quale, ormai da un po’ di tempo, mi sono adagiato. E quindi: non conosco la scena, non conosco i nomi di riferimento, non conosco il periodo a cui questa musica si sarebbe dovuta legare, in pratica non so nulla. L’unica cosa di cui sono certo è che questo disco mi piace un bel po’. In giro ho letto tutte recensioni lusinghiere ma che ineluttabilmente si dedicavano alla trattazione con piglio retrò, come se questo disco  avesse scatenato tsunami di nostalgia. Ora, lo noto da un po’ di tempo: c’è una patina di malinconia che pervade tutti gli oggetti culturali che ci accingiamo recensire/consigliare/esaminare, una patina che ci sta a comunicare la mancanza di un futuro immediatamente percepibile, come a dire “hey dietro l’orizzonte pare non esserci nulla” e ci fa aggrappare con tenacia allo stesso tempo reazionaria e resistente a  un passato che, forse, ci ha reso più felici. Sì, è vero, siamo una generazione (generazione? Mah) disgraziata per una miriade di motivazioni che non ho assolutamente voglia di tirare in ballo qui e ora e questo ci porta a rinchiuderci in noi stessi idealizzando un’età dell’oro che forse realmente non c’è mai stata. Ora cosa voglio dire con questo? Niente, che mi sono stancato. Che se questo disco dei Crash of Rhinos mi è piaciuto, a me che vado a sentire i Belle and Sebastian e gli Shout Out Louds, è perché a me piace adesso, ora, per quello che sono diventato, e non per quello che  ero dieci anni fa. Il senno di prima non posso conoscerlo. So che ascoltavo i Nirvana e il grunge (le note positive) più altra robaccia di cui mi vergogno, come è capitato a molti credo. Col senno di prima non mi va di parlare più. Prendetela come una presuntuosa scelta poetica, ma semplicemente voglio riappropriarmi del mio tempo: il senso è nel presente, il passato, almeno per un po’, lasciamolo stare.

Ma torniamo al disco che sennò poi fa notte. Caratteristica principale: l’energia. Distal sprigiona una forza fin dal primo accordo che ti trascina dritto nel vortice di chitarre e batteria che costituiscono l’occhio del ciclone. L’incitazione di apertura di Big Sea, il primo pezzo, è un chiaro segnale di quello che dovremmo aspettarci e incredibilmente predispone. Sì, perché dopo quell’”ok, now!” hai già capito che i Crash Of Rhinos ti domandano sudore e che tu questo sudore glielo devi dare. Big Sea è un caleidoscopio di suoni e ritmi, sembra di ascoltare quattro canzoni diverse, tutte bellissime, tutte dal centro della tempesta. Sei minuti di furore e aperture, di marosi e improvvisa quiete. Una bomba. Ma non finisce qui. Si alzano i cavalloni con Stiltwalker mentre si sfiora il pop (anche se rigorosamente urlato) con Wide Awake. Roba Triste (proprio come l’etichetta italiana per cui escono) sono Lifewood e la finale Asleep. Ma poi si ritorna a combattere contro la corrente con Gold on red (sette minuti di schitarrate) e la bellissima Closure il cui ritornello si apre proprio come il mare si divise di fronte a Mosè: miracoli che di questi tempi solo le chitarre possono. Insomma quaranta minuti di mazzate divisi in sette pezzi da ascoltare uno dopo l’altro e rigorosamente a tutto volume per arrivare in fondo a) senza voce e b) senza udito. Tra l’altro il disco lo si può comprare a offerta libera su Bandcamp quindi che altro dirvi per incitarvi? Nulla se non ascoltarlo ché quella è la cosa fondamentale e vale certamente più delle mille parole che io ho sprecato per dire quanto  mi è piaciuto un disco scritto e suonato proprio come ai vecchi tempi.

Ecco, lo sapevo, ci sono cascato anch’io.

http://bandcamp.com/EmbeddedPlayer/v=2/album=1782745021/size=grande3/bgcol=FFFFFF/linkcol=4285BB/

4 thoughts on “The Ideal Crash of Rhinos

I Commenti sono chiusi.