Detroit Sound: Motor city is still burning [podcast]

La cantina del rock dedica una puntata tematica alla Motown. Buon ascolto.

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C’era una volta Detroit: due milioni di abitanti, cuore dell’industria automobilistica, culla del sogno americano a prezzi popolari. Una città che al suo massimo splendore occupava un territorio più vasto di Manhattan, Boston e San Francisco sommate assieme.

Il primo miracolo lo aveva fatto Mr. Henry Ford quando, nel 1914, aveva aumentato il salario degli operai a 5 dollari al giorno, una cifra record, per permettere ai lavoratori di comprare la Ford-T. E a migliaia arrivarono dal sud, dall’Europa, dai paesi arabi, a lavorare nella immensa industria d’auto, targata Ford, Chrysler, General Motors. In prevalenza afroamericani in cerca di benessere e di diritti. Di una vita migliore.

L’alleanza tra l’industria automobilistica e il sindacato, lo United Auto Workers, garantiva uno stipendio tale da condurre una vita agiata e non priva di lussi. Detroit era la terza città USA per yacht immatricolati, vetrina del contratto sociale chiamato Fordismo.

Nel frattempo il coacervo etnico, a prevalenza nera, gettava le basi per una esplosione musicale che avrebbe portato la città a diventare capitale del soul, del rhythm’n blues e della black music, con gli studi della Motown e della Fortune e una produzione discografica sterminata. Ma non solo. Dal blues al jazz, passando per il gospel, fino alla techno e all’hardcore, inestimabile è stato il contributo del Detroit Sound alla musica mondiale.

Nel variegato universo del rock’n’roll le prime tracce risalgono alla metà degli anni ’50 quando con Hank Ballard & The Midnighters, autori di Work with me Annie, un rhythm’n’blues entra in classifica. Una loro b-side The Twist, sarà portata al successo da Chubby Checker, diventando un ballo piuttosto conosciuto. Della Motor City sono originari anche Bill Haley e la sua Rock Around the clock, Jack Scott, chitarrista rockabilly tra i primi a fondere il country con i suoni sporchi del primo rock’n’roll, Del Shannon, autore della hit da classifica Runaway.

All’inizio degli anni ’60 alcuni clubs diventano il punto di riferimento per una nuova generazione di teenager amanti del rock’n’roll. Sono il 5th Dimension di Ann Arbor e  l’Hideout, che fanno da incubatore per la nascita del nuovo sound, finito poi su singoli e full lenght e un decennio più tardi su compilation quali Nuggets e Pebbles. I gruppi si chiamano Underdogs, Woolies, Mitch Ryder & The Detroit Wheels Question Mark & the Mysterians, Pleasure Seekers (con al basso Suzy Quatro, poi in “Happy Days”), Bob Seger, i Rationals di Scott Morgan, gli Amboy Dukes di Ted Nugent, il primo nucleo degli MC5, gli Iguanas di Iggy Pop.

Intanto in città esplodono tensioni razziali, scontri e omicidi che nel 1967 faranno 43 morti. I bianchi si rifugiano nell’area periferica, in quartieri bunker inviolabili per gli afroamericani. In riferimento a queste zone pare che un sindaco una volta abbia affermato: “Se un nero prova a traslocare qui interveniamo più rapidamente che per spegnere un incendio”.

Alla fine degli anni Sessanta Detroit diventa l’epicentro di un nuovo modo di fare musica. Mentre nel resto della scena si celebra l’amore psichedelico, con il suo corollario di droghe lisergiche, nella Motor City si parla di violenza, di una musica sporca, suonata ad alto volume, senza compromessi.

Il posto simbolo di questi anni è la Grande Ballroom da cui Rob Tyner e i suoi MC5 gridano: “I wanna hear some revolution out there, brothers. I wanna hear a little revolution”. Manager della band è John Sinclair, leader del “White Panther Party” e il messaggio del gruppo viaggia su una potenza sonora mai sentita prima, con le chitarre di Wayne Kramer e Fred “Sonic” Smith perennemente in distorsione, una sezione ritmica che picchia duro, canzoni oltraggiose dai testi espliciti.

Assieme a loro, su un versante più nichilista e torbido, ci pensano gli Stooges a  sconvolgere l’America e i buoni pensieri. Iggy Pop e i fratelli Asheton daranno alla luce tre dischi che all’epoca non si filerà nessuno, per poi diventare opere di riferimento assoluto solo più tardi. Il tutto in un orgia di droga, sbandamento ed energia che qualcuno poco dopo chiamerà punk, e che si ascolta deragliante su “Metallic K.O.” album bootleg del loro ultimo concerto.

E pare che a parlare di punk rock per primi siano stati proprio i redattori del magazine Creem, stampato a Detroit da Barry Kramer e Tony Reay, con collaboratori come Rob Tyner, Patti Smith, Cameron Crowe e Lester Bangs.

Sul fronte cittadino, nel 1973 viene eletto il primo sindaco nero. Si chiama Coleman Young e ama definirsi “Motherfucker in charge”, figlio di puttana al potere. E al potere ci rimarrà vent’anni con l’idea fissa di vendicarsi dei bianchi, mentre la sua città diviene la capitale del traffico di droga, con un numero impressionante di omicidi.

Sono gli anni del mainstream, di Alice Cooper e Ted Nugent. Ma anche di un gruppo che, nella migliore tradizione della musica, rimarrà poco noto per essere riscoperto successivamente. Sono la “Sonic Rendezvous Band” di Scott Morgan, Fred Sonic Smith, Scott Asheton e Gary Rasmussen. Un solo 7 pollici all’attivo, City Slang, e una miriade di registrazioni postume.

Tra gli anni Settanta e Ottanta le auto giapponesi invadono il mercato, la crisi energetica comincia a mordere, ma il sistema regge grazie all’alleanza corporativa tra l’industria automobilistica e il sindacato, che premono e ottengono barriere protezionistiche per salvare il mercato dell’auto. Sono gli anni dei “Bad Boys”: Isiah Thomas, Vinnie Johnson, Bill Laimbeer, Joe Dumars, Dennis Rodman e coach Chuck Daly, al titolo NBA nel 1989 e 1990.

Nel mondo underground i Gories di Mick Collins, Dan Kroha (poi con le Demolition Doll Rods) e Peggy O’Neill gettano semi di blues punk che verranno raccolti dai losers di mezzo mondo negli anni successivi. Tra gli anni Novanta e i Duemila Detroit torna a essere fulcro del rock’n’roll con il successo di White Stripes e Dirtbombs. A livello underground  si segnalano altre band di ottimo livello come Paybacks, Detroit Cobras e, più recentemente, Human Eye.

Intanto la crisi del mercato automobilistico, seguita da quella immobiliare, ha messo in ginocchio la Motor City. Il numero degli abitanti, dai 2 milioni degli anni Cinquanta, è sceso ai 790.000 odierni, la disoccupazione imperversa, insieme al fenomeno delle gang che occupano quartieri disabitati. Mentre sembra calare il sipario per sempre su quella che fu la capitale dell’auto e della musica, il sindaco Dave Bing sta conducendo una coraggiosa battaglia per restituire un futuro ai suoi abitanti.

La città viene ristretta drasticamente, abbattendo quartieri e costruendo orti, giardini e boschi a ridosso dei grattacieli, recuperando e bonificando intere aree, creando prospettive per una rivoluzione verde che salvi Detroit dal declino e crei un nuovo sviluppo nel segno della sostenibilità ambientale.

La Cantina del Rock va in onda ogni sabato pomeriggio alle ore 18.30 su Radio Popolare Roma in FM: Radio Popolare Roma FM 103.3 mhz, dovunque in streaming: www.radiopopolareroma.it

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