Donne spezzate nel paese del femminicidio

“Il furore mi possedeva. Tirai fuori il coltello. Avrei voluto che avesse paura e mi chiedesse grazia, ma quella donna era un demonio. ‘Per l’ultima volta’ gridai, vuoi restare con me?’, ‘No, no, no!’ disse pestando i piedi e si sfilò dal dito un anello che le avevo regalato e lo gettò tra i cespugli. La colpii due volte. Avevo preso il coltello del Guercio perché il mio si era rotto. Cadde al secondo colpo senza un grido”. Carmen è uccisa da don José nella novella omonima di Prosper Merimée (che ispirò l’opera musicata da George Bizet) perché l’uomo non accetta  d’esser lasciato. Quante tragiche Carmen ci raccontano le cronache ostinandosi ancora a usare l’espressione ‘delitto passionale’ o parlando di ‘raptus di gelosia’ come se le passioni (presunte) legittimassero gli omicidi. È una mattanza silenziosa quella provocata in Italia da uomini ‘di famiglia’, accettata altrettanto silenziosamente dalle istituzioni. Non appena si parla di femminicidio come è giusto, la mente collettiva si chiude: il femminicidio è questione che riguarda popoli di altre culture, arcaiche, primitive, brutali, afflitti da religioni dogmatiche, patriarcali e maschiliste. Invece la violenza sulle donne è proprio faccenda di casa nostra, un fenomeno in preoccupante aumento. I dati più recenti sono quelli della storica Associazione Telefono Rosa che a inizio luglio ha presentato il rapporto ‘Le voci segrete della violenza’. In nome dell’amore, amore malato e feroce che si tramuta in violenza assassina: solo nei primi 6 mesi del 2012 sono state uccise 71 donne. Si possono citare numeri a fiumi, una casistica inquietante, ( l’Istat ha rilevato che tra il 2005 e il 2010 sono state vittime di omicidio in Italia 650 donne) ma si ha sempre la stessa terribile conferma: padri, mariti e compagni si trasformano da care presenze in implacabili omicidi; la casa talvolta non è il nido sognato ma il luogo dove si consumano agguati mortali; la famiglia è un’aggregazione spesso insidiosa e perversa. Un libro certo non fa miracoli ma può aiutare a tirare le fila di una questione attuale, specie se chi lo scrive assiste e aiuta donne. Donne spezzate. La violenza tra le mura domestiche (Curcio editore, 2009,  € 12,90) è  un testo di agevole lettura scritto da Milena Milone, sessuologa, consulente di coppia e mediatore familiare, con l’intento di testimoniare la propria lunga esperienza: “nella mia pratica lavorativa – scrive l’autrice – mi è capitato di vedere decine di donne coperte di lividi e le storie che mi sono state raccontate sono tutte abbastanza simili”.

Il libro è dedicato alle donne ma è anche un severo monito: inquieta più di tutto per l’autrice la cortina di silenzio, l’adattamento alle violenze, psicologiche, morali, fisiche subìte, che ci rendono complici dei responsabili. A volte il femminicidio è l’ultimo atto di una lunga sequenza fatta di abusi e maltrattamenti mai denunciati. La violenza può essere declinata in tanti modi, tutti da non sottovalutare. È ‘metafisica’ quando è vessazione occulta che possono usare entrambi i partner, in forma di strategia del silenzio, di rifiuto sessuale, o facendo leva sulle debolezze dell’altro per incrinarne l’autostima. La violenza metafisica destabilizza la psiche della vittima pur non producendo un danno almeno apparente. La sopraffazione morale e psichica si manifesta attraverso un’ampia casistica del ricatto, dalla gestione dei soldi fino al caso in cui l’uomo non sopporta d’essere lasciato, che sia marito o fidanzato. Allora agisce come il don José della Carmen; purtroppo però le tragedie che si consumano sono reali. L’aggiornamento legislativo non è sinonimo di svolta culturale e di cambiamento di dinamiche mentali secolari. Ricorda infatti l’autrice che la prima riforma del diritto di famiglia risale al 1975; fino a quella data al ‘pater familias’ era consentito percuotere sia la moglie che i figli a fini ‘educativi’  e il cosiddetto ‘delitto d’onore’ commesso dall’uomo era punito con pene leggere; solo nel 1996 l’ordinamento giuridico italiano ha riconosciuto lo stupro come reato contro la persona e non contro la morale quale era; aggiungiamo che la legge sul divorzio è del 1970, che lo stalking in Italia è reato dal 2009. “Con il passaggio dal famigerato codice Rocco alla già citata legge 151 del 19 maggio 1975, il comportamento del maschio all’interno della famiglia sarebbe dovuto cambiare in modo netto e inequivocabile. Purtroppo le statistiche che fornisce l’Istat circa i gravi maltrattamenti che le donne subiscono, oggi forse addirittura più di ieri, dimostra invece che per ottenere cambiamenti nel comportamento dell’uomo bisogna che cambi la mentalità: la legge che pure è necessaria, non basta. Dirò anzi, sempre riferendomi al nuovo diritto di famiglia che l’aggressività che un tempo il maschio poteva manifestare pubblicamente nei confronti della propria moglie non è scomparsa ma si è trasferita, nascondendosi, più virulenta, all’interno della casa, dove cioè nessuno può vedere quello che succede, a meno che chi è aggredito non renda pubblica la vessazione che subisce”. Ma la violenza domestica non è denunciata.

La complicità femminile con una modalità deteriore d’essere del maschile comincia dall’educazione materna dei figli maschi fino al tacere sui delitti compiuti dai mariti contro i figli, maschi e femmine.  Secondo una nota criminologa americana Diana Russell, “la morte della donna rappresenta l’esito/la conseguenza di atteggiamenti o pratiche sociali misogine”. Le donne sono uccise in quanto donne, perché colpevoli di aver esercitato l’autodeterminazione, aver trasgredito al cliché di femminilità che l’immaginario maschile ha introiettato e impone: la donna obbediente, brava madre e moglie, la Madonna di pazienza e sopportazione ma sessualmente disponibile, l’Eva  tentatrice a comando. Prendersi la libertà di decidere cosa fare delle proprie vite, sottrarsi  al potere e al controllo del proprio padre, partner, compagno, amante può essere pagato a caro prezzo. La violenza è universale e tutte le società patriarcali hanno usato, e continuano a usare, il femminicidio come forma di punizione e controllo sociale sulle donne. Milone ricorda l’inesistenza e invisibilità della donna per secoli e millenni, se non come corpo di procreazione, di piacere, consolazione, o su cui agire la violenza perché origine del peccato e di ogni male. Ricorda da che razza di storia ‘recente’ veniamo:dal XIV al XVII secolo imperversò in Europa la caccia alle streghe e attraverso il libro di due frati domenicani, Kramer e Sprenger, il Malleus Maleficarum (Il martello delle streghe), con l’appoggio incondizionato della chiesa si realizzò una persecuzione e carneficina di donne; pensatori e filosofi sono stati convinti per secoli che la donna non avesse l’anima; nel 1900 Paul Julius Mobius, medico neurologo scriveva un trattato ritenuto credibile su L’inferiorità mentale della donna, e ancora Sigmund Freud  era convinto che per le donne “l’anatomia è destino”.

Allora ci rendiamo conto che il processo di emancipazione è solo agli esordi e che il condizionamento culturale  basato sulla  dicotomia sessuale è tutt’oggi molto pressante, che il problema non è di quote o cromatismi. Le contromisure femminili alla violenza subita possono arrivare fino a esercitare il poter biologico, in senso tragico e deteriore: Medea uccide i figli. O adeguarsi alle modalità maschili: il caso della ‘Circe della Versilia’, Maria Luigia Redoli uccise il marito. Al tema del condizionamento l’autrice dedica un capitolo a parte. Con questi presupposti esplicativi, ci si sarebbe aspettati di trovare nel testo un riferimento preciso al quadro italiano di assuefazione a un maschilismo sempre più becero e brutale e alla rappresentazione delle donne come oggetto sessuale. Veniamo da anni di veline, escort (termine oggi di moda),donne esibite come corpi in tv, e corpo femminile come mezzo per accedere a tutto anche alla politica, e non ne siamo usciti. Questo ha prodotto solo un grave arretramento culturale che non può non incidere sulla mentalità maschile. L’attuale governo deve ancora firmare la Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e il contrasto della violenza sulle donne e la violenza domestica. Il rapporto di Rashida Manjoo, relatrice speciale dell’Onu sulla violenza di genere, è stato molto chiaro nel ritratto impietoso ma reale del nostro paese:  in Italia “nel 54% dei casi di femminicidio, l’autore è stato un partner o ex partner e in solo il 4 % dei casi è un autore sconosciuto alla vittima. La maggior parte dei casi di violenza sono non denunciate nel contesto di una società patriarcale, dove la violenza domestica non viene sempre percepita come un crimine; dove le vittime sono in gran parte economicamente dipendenti dagli autori della violenza; e dove persiste la percezione che le risposte dello Stato non sono appropriate o sufficienti. La violenza domestica, che precede circa il 70% dei femmicidi in Italia e in Europa persiste e aumenta, e si fa sempre più pericolosa perché una donna può trovare la morte in casa con troppa frequenza”. Come sempre il problema è politico e istituzionale: restano inascoltate le raccomandazioni delle Nazioni Unite che hanno fatto più volte presente al governo italiano passato e presente, di non rispettare la Convenzione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione della donna  pur avendola ratificata.

Come pensare che ci siano cambiamenti se non è riconosciuta la gravità della violenza domestica, e se una donna che viene stuprata deve sottoporsi a esami invasivi per dimostrare che non era consenziente allo stupro subito, o se i centri antiviolenza non hanno risorse? Ammonisce l’esperta Onu sull’Italia: “il mio report sottolinea la questione della responsabilità dello Stato nella risposta data al contrasto della violenza, si analizza l’impunità e l’aspetto della violenza istituzionale in merito agli omicidi di donne (femicidio) causati da azioni o omissioni dello Stato. Femmicidio e femminicidio sono crimini di Stato tollerati dalle pubbliche istituzioni per incapacità di prevenire, proteggere e tutelare la vita delle donne, che vivono diverse forme di discriminazioni e di violenza durante la loro vita”. A quanto pare le sole sollecitazioni di organismi sovranazionali prese in considerazione dalle nostre istituzioni sono di tipo economico-finanziario. Sta a vedere che se c’è un femminicidio al giorno è anche colpa delle donne che si emancipano troppo.

Titolo: Donne spezzate. La violenza tra le mura domestiche
Autore: Milena Milone
Editore: Curcio (collana Rosso ciliegia)
Data di Pubblicazione: Aprile 2009, Pagine 191, Prezzo: 12,90 €