Siamo esseri condannati alla fretta. Prigionieri di un incatesimo temporale, solo la filosofia può liberarci

“Il tempo non è più che velocità, istantaneità e simultaneità” (Heidegger, Introduzione alla metafisica)

“La nostra storia si è tramutata in una ininterrotta storia della cancellazione istantanea del presente” (Anders, L’uomo è antiquato)

In alto i calici. A fraternità e libertà stiamo messi male, ma l’uguaglianza in terra c’è. Come, non l’avete riconosciuta? Fatto salvo l’essere mortali, noi abitatori del tempo, siamo uguali nel sentimento della fretta che tutti ci pervade e ci corrode. Se c’è una cosa, nell’essere disuguali a oltranza, che ci rende “ugualissimi” oltrepassando ogni barriera, è la percezione della mancanza di tempo, di essere a corto di tempo e quindi la nevrosi della fretta con infiniti risvolti patologici.

Viva, viva, viva, l’epoca postmoderna e i suoi sintomi di sfacelo, individuale e collettivo. Da dove viene questo tempo accelerato, e dove va, se va da qualche parte; e la fretta perché germoglia, quali radici storiche ha, che connotazioni psicologiche assume, lo spiega magnificamente il filosofo Diego Fusaro nel saggio Essere senza tempo, dove essere vale sia come sostantivo che come infinito con tutte le sfumature del caso. E il senza è una spia allarmante. Segno che dall’ “Essere e tempo” di Heidegger in poi qualcosa di grosso è accaduto e ci ha cambiato irreversibilmente i connotati. Il sottotitolo è “accelerazione della storia e della vita”. La trattazione articolata è rispettosa di tutti i riferimenti disciplinari storico-filosofici (sapientemente citati e utilizzati, con un apparato bibliografico molto esaustivo). Però si colora e distingue per il taglio originale, perché capace di tessere una storia del tempo e delle sue metamorfosi non solo attraverso la classica documentazione degli eventi storici e politici, ma anche utilizzando l’intreccio di saperi e una capacità di attingere alla storia delle idee, degli usi e costumi e degli oggetti. Formidabile, ad esempio la storia dei generi voluttuari tramata nella narrazione principale, e la ricostruzione del passaggio dalla pipa alla sigaretta, o dalla cioccolata dell’aristocrazia al caffè, quali prove della frenesia borghese e dell’insonnia metropolitana. C’è anche, oltre alla ricostruzione di un passaggio epocale che scontiamo ogni giorno sulla nostra pelle, il coraggio di prendere posizione e dire la propria: le ideologie attuali al servizio del “turbo capitalismo”, secondo un processo previsto da Marx (non dimentichiamo che Fusaro ha curato l’edizione bilingue di diverse opere di Marx ed è l’autore del saggio Bentornato Marx), hanno espropriato l’uomo da se stesso, quindi della possibilità di disporre del proprio tempo. E il tempo libero non è che un rafforzativo dell’assenza totale di libertà. La fretta è l’unica modalità in cui l’anima schiacciata, persa a sé stessa, reificata, manifesta un residuo d’esistenza propria, uno scatto d’insofferenza, la ribellione soppressa, così come attraverso la distrazione, perché molto altro non resta. La filosofia è l’alternativa, la cura, il farmaco dell’anima, a cominciare dai suoi tempi lenti.

Secondo la lezione dello storico Reinhart Koselleck, Fusaro ritrova l’origine di ciò che siamo diventati, nel passaggio dalla concezione del tempo del mondo antico fondato su un criterio di stabilità e ripetibilità, a una lineare caratterizzata da eventi unici, irripetibili, gravidi di avvenire. A stravolgere i ritmi stabili e ricorsivi del cosmo naturale, con qualche anticipazione secondo alcuni storici nei secoli precedenti, sono state la rivoluzione industriale inglese e la rivoluzione francese. La prima segna l’avvento dell’era tecnico-scientifica, del capitale e dell’homo economicus; la seconda cambia i connotati sociopolitici della realtà. Il grande libro della natura, “cede il passo nella seconda metà del XVIII secolo al poderoso libro della storia”. L’illuminismo nasce dall’esigenza di recuperare i secoli perduti e teorizza la fretta. Comincia la corsa. Perché la modernità non solo è convinta che il tempo abbia preso a scorrere più velocemente, ma istiga e promuove questa accelerazione, di cui l’invenzione del treno che azzera lo spazio è il simbolo per eccellenza. Nasce un’impazienza patologica, nasce la sensazione della fretta, perché l’uomo non coincide più con i cicli cosmici, i ritmi della vita urbana non corrispondono a quelli biologici, e la storia deve correre verso le regioni dell’avvenire e del progresso. Questo processo si è definitivamente chiuso per Fusaro nel 1989 (caduta del muro di Berlino) con l’eclissi della storia, la fine di qualsiasi possibilità di futuro, la resa alla condizione liquida (così definita dal sociologo Bauman) e l’avvento del postmoderno: “Una situazione di accelerazione senza futuro storico, svuotata di ogni passione progettuale e ripiegata autoreferenzialmente su se stessa”.

Dunque le accelerazioni, secondo Fusaro sono state tre in simultanea nell’epoca moderna: del progresso tecnico-scientifico, del progresso sociopolitico e del tempo della vita. Se l’uomo antico era stato padrone del suo tempo, quello moderno lo subisce, ma lo subisce in vista di “una consolante prospettiva del futuro”, che sia conforme alla morale umana secondo la lezione di Kant che aggiusta l’ottimismo futurologico degli illuministi. Intanto però il loro sogno di rendere tutti i popoli contemporanei al presente si realizza perché la borghesia “con la sua esigenza di trovare sempre nuovi sbocchi per le proprie merci, ha esportato l’accelerazione della storia in tutto il globo,costringendo le zone più remote del pianeta ad assumere una forma di produzione e di esistenza di tipo capitalistico”. E così, l’analisi marxiana, malgrado l’interpretazione unilaterale basata sul fattore economico, ha evidenziato un aspetto fondamentale del nostro vivere, attuale più che mai: il “feticismo del tempo”, per cui “l’uomo moderno, schiavo del modo capitalistico di produzione e di esistenza, è al servizio dell’accelerazione, e non viceversa”. Il capitale è un progetto pienamente compiuto. L’unico, alla faccia delle ideologie. Quelle superstiti, sono ad esso asservite. La storia, invece, ha disatteso le sue promesse. Il futuro rincorso come redenzione dell’umanità non c’è stato. L’unico spettro che si aggira, non solo per l’Europa ma per il mondo, è quello dell’accelerazione svuotata di ogni valore e contenuto. Il postmoderno non ha più alcun progetto emancipativo rivolto all’avvenire, e si caratterizza per una “accelerazione senza futuro, in una eclissi generale nella speranza del domani e nella fede nelle leggi inesorabili della storia come corsa unidirezionale verso l’avvenire”. Morto il futuro, non resta che il presente, ma un presente puntinistico, “costantemente riprodotto a velocità sempre più intensa”. L’uomo postmoderno vive il “sentimento emergenziale” della mancanza di tempo. Non più o non solo chi è piccolo, ma chi è lento è tagliato fuori, secondo la “nuova” scala di valori di società complesse “caratterizzate da un’alta segmentazione dei sottosistemi”. Paradossalmente, i “privilegiati” sono gli emarginati, subito seguiti dai disoccupati: poveri di tutto, unici però ad essere ricchi di tempo. Per tutti gli altri, i ritmi sono stravolti, anche quelli fisici, corporali, e non è più solo una percezione soggettiva, o una elettrizzante attesa di chissà che. È la resa alla tecnica, nata per l’uomo, anziché servirlo, lo rende servo delle funzioni di produzione e consumo in una successione folle di istanti-presente.

È l’eterno ritorno dell’uguale, profetizzata da Nietzsche, ma anche l’avverarsi della profezia di Heidegger che nel saggio “Introduzione alla metafisica” del 1935 scrive: “il tempo non è più che velocità, istantaneità e simultaneità, mentre il tempo come storicità autentica è del tutto scomparso dalla realtà di qualsiasi popolo”. In questa “universale crono povertà”, si è creato un dislivello prometeico, l’uomo è antiquato (titolo e saggio di Anders, citato trai tanti da Fusaro): l’uomo non si considera più soggetto della storia, al suo posto c’è la tecnica rispetto alla quale è lento ed arretrato. Ed ora che con Internet si è attuata la sincronizzazione universale e si è realizzato il sogno illuminista di poter essere almeno virtualmente in ogni luogo e di aver azzerato lo spazio, siamo giunti al grado zero della storicità. Ultima tappa sarà la società senza tempo, anziché senza classi. Nella desertificazione dell’avvenire e nella rinuncia c’è la fine della modernità. “L’uomo postmoderno ha voltato le spalle al futuro per convertirsi all’ideologia dell’eterno presente”. È ridotto a homo consumens, mero consumatore. Il capitalismo giunto nella sua fase “imperiale “non ha più bisogno di futuri alternativi, ma mira semplicemente a una eterna riproposizione dello stesso presente (capitalistico) compiuta a velocità sempre maggiore”, secondo il suo obiettivo di produrre profitto a velocità sempre più intensa. In questo presentismo, unica divinità è il mercato e la religione del mercato ci chiama a compiere non scelte camuffate da scelte qui ed ora trasformandoci in “macchine desideranti”. In questo deserto, la filosofia è per Fusaro, atto anti-idolatrico e iconoclasta per eccellenza, resistenza alla fretta nichilistica come sola morale provvisoria, mezzo per riappropriarsi dei tempi della propria vita e segnalarci “l’incantesimo temporale in cui siamo sospesi e di cui non sembriamo avere coscienza”.

Titolo: Essere senza tempo. Accelerazione della storia e della vita
Autore: Diego Fusaro
Editore: Bompiani
Dati: 2010, 411 pp., 12,00 €

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One thought on “Siamo esseri condannati alla fretta. Prigionieri di un incatesimo temporale, solo la filosofia può liberarci

  • Dicembre 9, 2010 alle 2:58 pm
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    Il mondo è fortemente in crisi, rischia di scoppiare.
    Ma io ho, da quasi 20anni, sognato e insopprimibilmente desiderato far scoppiare il mondo di serenità, pace e gioia, eliminando all’intera umanità il “Problema esistenziale”.
    Partendo da come ha teorizzato il mio ex maestro del pensiero, professore emerito Emanuele Severino, conosciuto nel 1997, per realizzare il mio sogno, ho inventato l’ ESSERE, l’Uomo Re, non più miserabile e disperato, nel quale chiunque si dovrà ritrovare.
    Pertanto, nessuno dovrà osare la stolta accusa:
    «Inenascio si crede Dio!».
    In tale ipotesi, sottoscrivo la risposta data alla stessa accusa fatta a Severino nel 1997:
    «Io mi credo Dio? Siamo seri. Ho sempre detto che Dio è troppo poco rispetto all’Essere, che è infinitamente di più rispetto a ogni dio, e quindi anche al Dio cristiano. Anzi: ho sempre spiegato che la Verità non è l’individuo, quindi come posso proprio io smentire quello che scrivo da mezzo secolo?» (cit. dall’intervista riportata a pag. 115 di “Panorama” del 09/01/1997).
    Ma poi, Severino mostra, al mio cospetto (dal 2000 al 2005 ha ricevuto da me parole scritte per centinaia di migliaia, ricambiandomene neanche cento in una sola letterina pubblicata sul mediablog/Inenascio di Splinder), tutta la sua stoltezza, quando afferma l’inesistenza della “Fede senza il dubbio”, spesso evocata dal “Figlio dell’Uomo/Dio” di bimillenaria memoria, della quale io ho avuto la GRAZIA di vedermi donata, per l’Amore Infinito del meraviglioso Nostro Creatore per le Sue Creature, sin dal 25/10/1993.
    La stoltezza del Severino raggiunge l’infinito, quando poi ha scritto, similmente, che «Dio è immensamente più omicida di quanti altri criminali dell’umanità conosciuti dalla storia», con argomentazioni puerili e assurde.
    Nel prossimo futuro, i giovani riavranno il tempo, rubato da secoli, da tutti gli “ismi”. Ormai il Capitalismo (con interesse e mercato mefistofelicamente globalizzato), è l’ultimo Moloch da sconfiggere nel nostro tempo. Ha i giorni contati! Poi sarà dato “unicuique suum” (a ciascuno il suo).
    Cordialità dal NULLA di DIO. 😀

    P.S. – Un solo umile consiglio all’ottimo giovane Autore di ESSERE SENZA TEMPO:
    Diego, anteponi, in cuor tuo, l’interesse al benessere dell’intera società italiana, a quello personale, derivante dal successo dei tuoi libri. Auguri!

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