Facebook: tutti sull’arca virtuale per aggirare la paura

“Una società può essere definita ‘liquido-moderna’ se le situazioni in cui agiscono gli uomini si modificano prima che i loro modi di agire riescano a consolidarsi in abitudini e procedure… In una società liquido-moderna gli individui non possono concretizzare i propri risultati in beni duraturi: in un attimo, infatti, le attività si traducono in passività e le capacità in incapacità… La vita liquida è una vita precaria vissuta in condizioni di continua incertezza… La vita nella società liquido-moderna non può mai fermarsi. Deve modernizzarsi o perire”.  (Bauman)

Attenti al numero di Dunbar (che non è l’elefantino Dumbo, ma un professore di antropologia evoluzionistica a Oxford): per limiti insiti nella corteccia cerebrale e nel corredo genetico non è umanamente possibile avere più di 150 amici.  Facebook, invece,  istiga alla bulimia delle “amicizie” e ha anche altre controindicazioni. L’allerta la dà Zygmunt Bauman: Facebook sancisce la fine dell’intimità e il trionfo dell’esibizionismo. La sua conferenza, uno degli appuntamenti più attesi della seconda edizione della “Festa del libro e della lettura” all’Auditorium della musica di Roma, comincia puntuale e si prolunga oltre i sessanta minuti. Il tema è di sicuro richiamo perché, dichiarati persino con orgoglio da possidenti o defilati, siamo tutti o quasi utenti di un qualche social network, implicati in una stessa condizione non ammessa e magari neanche pensata di unhappiness o di sospensione di stato, talvolta prossima al vuoto che però non è il vuoto zen. Emblematica la correlazione tra il tema della conferenza e la risposta del pubblico in quanto a presenza in sala: sommatoria di individui in cerca di un arbitro dell’intelligenza che ci spieghi in che razza di mondo virtuale galleggiamo negli stessi giorni di avvenimenti disperati e tragici nel mondo reale. Chi più del sociologo polacco, classe 1925,  considerato il teorico della post-modernità perché ha formulato o meglio fatto affiorare la condizione “liquida” che riguarda il nostro tempo, può dirci chi stiamo diventando?  (Tra le sue opere, e i titoli sono già eloquenti: L’arte della vita, Consumo dunque sono; Vite di scarto; Paura liquida; Modernità e olocausto, La società individualizzata: come cambiare la nostra esperienza). Nella liquidità, che è condizione di precarietà dentro e fuori, e dunque di fragilità e senso di inadeguatezza, in questa liquidità prossima alla deflagrazione di ogni senso, ultimo “traguardo” è il trasferimento dell’umanità, almeno 500 milioni di utenti (cifre che lo stesso Bauman dà) sull’arca virtuale di Facebook, mezzo “liquido” per eccellenza della condizione post-moderna. Cita Gramsci l’esule polacco, il Gramsci che parlava di “interregno” per dire che il fenomeno è recente ed è troppo presto per dire se il mezzo ha trasformato una volta per tutte la storia della cultura,  o siamo in una fase di esplosione che poi in parte rientrerà negli argini e troverà un suo equilibrio. Ancora è presto e la giuria non sa se assolvere o condannare il social network, inventato (o secondo alcuni è un’idea rubata), da Mark Zuckerberg nel 2004 a uso degli studenti di Harvard e da allora arrivato a conquistare il pianeta: una miniera d’oro visto che il prezzo di mercato stimato si aggira intorno ai 50 miliardi di dollari, secondo i dati riferiti da Bauman, ogni utente vale circa 100 dollari, con una frequentazione pari a 700 miliardi di minuti al mese per ciascun utente, o se la cifra fa troppo paura, una media di 40 minuti al giorno.

Il movente fondamentale del grande esodo è la paura, insita in ognuna di noi, accresciuta dal mercato e dal nostro status, ormai permanente, di consumatori (ma questa per Bauman non è una novità). Perché ci siamo trasferiti in massa sulle bacheche virtuali? Il miraggio di emergere dalle tenebre, sfuggire alla morte, all’anonimato, alla piaga dei tempi liquidi che è l’esclusione, attrae persone di ogni condizione, cultura, età. L’esigenza di trovarsi nella comunità – virtuale – è forte. Bauman cita un pubblicitario, George Rose, per chiarire la questione: “Internet riflette la nostra umanità, mostra ciò che sta dentro di noi. La necessità d’essere presenti sul mercato del prestigio, del successo, del riconoscimento degli altri nella condizione di fragilità che contraddistingue la vita liquida moderna”. Certo l’effetto speciale c’è: il meccanismo avvicina in apparenza chi è lontano e allontana chi è vicino. E perché? Bauman spiega che la rete è un succedaneo, un tappabuchi che riempie il vuoto lasciato dalle comunità che stanno scomparendo. È facile e indolore il sistema: in un minuto si crea, la rete, in un minuto la si disfa; con un colpo di mouse si cancella un amico, senza imbarazzo o dispiacere o, peggio, sensi di colpa. Mentre la comunità pur essendo affidabile è vincolante. La facilità si paga: pokare (stuzzicare tramite la tastiera) non è abbracciare, la quantità di contatti non è la qualità, in rete aumenta il contrasto tra superficialità e profondità. E poi c’è la faccenda dei numeri. In condizioni biologiche normali più di 150 amici in testa non c’entrano proprio, hai voglia di caricare in bacheca vagonate d’amicizia. O è vetrina, o è mania di onnipotenza esibita, o entrambe le cose. “Ultimamente – ha raccontato Baumann – un entusiasta “utente attivo” di Facebook si vantava di riuscire a fare 500 nuovi amici al giorno, più di quanti ne abbia acquistati io nei miei 86 anni di vita. Ma come osserva Robin Dunbar la nostra mente non è stata predisposta (dall´evoluzione) a consentirci di avere, nel nostro mondo sociale, più di un numero assai limitato di persone. Questo numero Dunbar l´ha addirittura calcolato, scoprendo che un essere umano non riesce a tenere in piedi più di circa 150 rapporti significativi”. Certo si possono anche avere 5 mila amicizie “ma tutte, eccetto il nucleo duro dei 150 amici sono voyeur che ficcano il naso nella vostra vita quotidiana”. La rete realizza un valore primario in questa società: levare di mezzo tutti i fastidi associati ai rapporti umani reali. Bauman cita anche lo psichiatra e psicoanalista Serge Tisseron, secondo il quale i rapporti considerati “significativi” sono passati dall´intimité all´extimité, cioè dall´intimità a ciò che egli chiama con neologismo “estimità”.  Non conta aprirsi, ma mostrarsi. “Siamo tutti consumatori, si sa e sul mercato di Facebook ci stiamo autopromuovendo, ci vendiamo in maniera remunerativa”. E in questo la vecchia Europa ancora deve raggiungere i “magnifici” traguardi dell’Estremo Oriente. L’esempio della Corea del sud è decisivo: esistere è esistere sul social network. “è una questione di vita e di morte, non morte biologica ma sociale. Se non giocate secondo queste regole siete esclusi. Chi osa non collegarsi al cyber world è escluso. Coloro che hanno a cuore la loro invisibilità oggi sono respinti, emarginati o sospettati d’essere criminali”. L’apprendistato dei teenager alla carriera di bravi consumatori è questo e solo questo in Corea.

Scomparsa la vergogna, liquidato il senso del pudore e declassato da comune a fuori del comune perciò irregolare e sinistro, non resta che la “cultura del confessionale”  attraverso il microfono, la webcam, la tastiera. E la confessione non è più momento d’intimità ma d’estimità. Bauman, assertore instancabile dell’idea che “fare sociologia ha senso solo nella misura in cui aiuta l’umanità nel corso della vita”, non dà soluzioni e preferisce differire il giudizio al poi: quando la corte, superato l’interregno, avrà acquisito prove sufficienti. Invita solo a scegliere “sempre pensando all’impatto che nasce dall’accettazione di questi schemi che regolano la nostra vita, la nostra capacità di aiutare gli altri, vivere insieme in maniera umana, dignitosa”. Restano due valori imprescindibili per una vita, neanche felice, vivibile: la sicurezza e la libertà. “La sicurezza senza libertà è una schiavitù, la libertà senza sicurezza vuol dire vivere nel caos completo. Ogni cultura cerca sempre un compromesso tra sicurezza e libertà, anche in quest’epoca non abbiamo trovato il giusto mezzo, ma continueremo sempre a provare”.