Fantasmi in biblioteca. La bibliofilia mascherata di Bonnet

Carl Spitzweg, Il topo di biblioteca

“Dopo il piacere di possedere libri”, ci avverte Charles Nodier sulla soglia del piccolo volume di Jacques Bonnet I fantasmi delle biblioteche, “nessun altro eguaglia quello di parlarne”. Vero, verissimo. E si può immaginare quanto a questo piacere possa indulgere una persona che di libri ne possiede, a casa sua, decine di migliaia (più precisamente 20.000, nel caso di Bonnet). Attenzione, però. Nodier non specifica che ci sono due modi di parlare di libri; e, di conseguenza, due diverse concretizzazioni di quel particolare, e seducente, e irresistibile “genere letterario” da bibliomani che solitamente si definisce dei “libri sui libri”.

Il primo è quello di chi parte dalla propria situazione personale di collezionista (più o meno patologico) e accumulatore (più o meno forsennato) di libri per divagare in senso più ampio su questioni più generali, che mescolino l’aneddoto all’auto-analisi quasi “clinica” del fenomeno bibliomania: un ottimo esempio sono le Riflessioni sulla bibliofilia di Umberto Eco (Milano, Edizioni Rovello, 2001, tiratura – ovviamente –  limitata a 1000 esemplari numerati; poi riedito con ampliamenti in Eco, La memoria vegetale e altri scritti di bibliofilia, Milano, Rovello, 2007 e tiratura di – stavolta – 2000 esemplari).

Il secondo invece è quello di chi, inizialmente dando l’impressione di affrontare quelle questioni generali, intende in realtà soltanto parlare dei libri che possiede a casa sua; e questo secondo caso (ammissibile, ovviamente, ma bisognoso di una gestione davvero molto attenta) è appunto quello in cui finisce per cadere il nostro Bonnet. L’equilibrio che nelle prime pagine su Pessoa (con quell’accattivante mistura di racconto letterario, suggestioni personali e strizzatine d’occhio bibliofiliche) sembra promettere una “conversazione” piacevole tra l’autore e il proprio pubblico si spezza quasi subito, riducendosi a poco più di una sorta di puro monologo autoreferenziale in cui Bonnet sembra non riuscire (o non volere) ad andare oltre l’esposizione della propria personale esperienza di collezionista (quale del resto nega fermamente di essere).

L’incipit è dei più classici: prime esperienze personali di letture disordinate, inevitabili quando si entra in contatto con un mondo, quale quello della carta stampata, così variegato che inevitabilmente all’inizio lascia un po’ frastornati (vedi anche, ad esempio, il racconto di Alberto Vigevani, nei primi capitoli di La febbre dei libri. Memorie di un libraio bibliofilo, Sellerio, 2001); e successiva digressione sulle varie forme di bibliomanie e su alcune delle più eccentriche figure di bibliomani (tutti del resto già noti a chi abbia anche solo scorso, ad esempio, la Bibliofollia di Alberto Castoldi, Mondadori, 2004).

Dopodiché, Bonnet passa ad alcuni problemi di ordine più generale, come quando si passano in rassegna i diversi modi di ordinare e catalogare una biblioteca (argomento spinosissimo, come sa chiunque abbia con sé appena più di qualche centinaio di volumi); o (in “Da dove vengono?”) ci si chiede quali siano i processi che portano il lettore-accumulatore a raccogliere così tanti libri; o si spende qualche parola sulla particolare passione per i libri d’arte. Il problema è che in ognuno di questi capitoli (e degli altri), dopo una discreta premessa di carattere generale, si ritorna immediatamente (e urgentemente, si direbbe quasi) nello studio di Bonnet. E lì ritroviamo l’editore francese che, seduto alla sua scrivania (di cui parla spesso), si dilunga a raccontare aneddoti personali a un pubblico che, forse, si aspettava di essere stato convocato per qualcosa di più.

Quindi, apprendiamo come Bonnet ha ordinato la propria biblioteca (non solo i libri, anche i cd e i dvd), o come sceglie i libri da leggere; e ancora, che scrive sui libri, che Internet gli piace, ma preferisce sempre la carta, e così via. Pochino, in effetti. Le osservazioni di carattere generale che è dato trovare qua e là, sparse tra rievocazioni di episodi personali e aneddotica storico-letteraria (talvolta accumulata in modo poco chiaro), appartengono a quella categoria di visioni semplificate, condivise e di solito poco sistematiche a cui i maligni darebbero il nome di clichés. Ad esempo, quello secondo cui “gli artisti fanno luce sulla vita e sulle emozioni più profonde esattamente come gli stessi scrittori”; oppure che “La lettura demoltiplica [probabilmente un errore di traduzione; il significato è l’opposto di quello inteso da Bonnet] la nostra realtà inevitabilmente limitata e dà accesso ai tempi passati, ai costumi degli altri popoli, al cuore, allo spirito e alle motivazioni dell’uomo”.

Da segnalare però almeno il capitolo sull’incontro con Pontiggia, e l’idea, maturata quella sera (“anche grazie alla vodka”), di creare una società di persone che possiedano biblioteche di almeno 20.000 volumi. Anche se, chi ci dice che un simile club segreto di “massoni del libro”, da qualche parte, non esista già?

Titolo: I fantasmi delle biblioteche
Autore: Jacques Bonnet
Editore: Sellerio
Dati: 2009, 156 pp., 12,00 €