Farewell Levon Helm, dirt farmer and midnight rambler

LevonPochi giorni fa sono stato colpito come da una botta in testa dal comunicato che annunciava che Levon Helm stava vivendo le ultime ore della sua vita; poco più di 24 ore dopo, un altro comunicato: dopo aver combattuto un cancro alla gola per oltre dieci anni, vincendo diverse battaglie che lo avevano portato a tornare a cantare (e a vincere 3 Grammys), Levon se ne è andato, sereno e circondato da familiari, amici e dai membri della sua band. Da allora non riesco a staccarmi da Youtube passando da un pezzo della The Band a Woodstock ad un estratto da The Last Waltz, da un video di Levon che racconta aneddoti, a un grande pezzo live degli ultimi anni fino alle rarità, le interviste e anche i suoi flash da attore negli anni ’80.

Non sono in grado di esprimere quanto enorme  sia la mia ammirazione e il mio affetto (sì, affetto) per Levon Helm e da quello che, commosso, vedo su Internet in questi giorni, la cosa è molto molto diffusa: chiunque abbia conosciuto il grande talento e il grande cuore di Levon Helm attraverso la sua musica non ha potuto fare a meno di amarlo. 

Levon Helm, The Last Waltz

Il mio attaccamento alla sua voce e alla sue canzoni ha radici profonde. Negli anni ’80 mio padre, che onestamente non è mai stato un grande appassionato di musica, in macchina teneva mescolata insieme a certe cassette di Fausto Papetti una compilation di rock classico americano: c’era Pat Boone con Love Letters in the sand, Little Richards con Tutti Frutti, Ritchie Valens con La Bamba ma, soprattutto, c’era The Band con The Night They Drove Old Dixie Down. Ricordo che ero bambino (avrò avuto 8 anni) ma quella voce e quella canzone già mi colpivano forte e profondamente, come qualcosa fuori dal tempo e fuori dal mondo, sublime. Poi nei primi anni ’90 La Repubblica, nel periodo in cui gli allegati in edicola cominciavano a muovere i loro primi passi, pubblicò una collana di CD che per me fu seminale e che forse alcuni di voi ricordano: L’America del Rock. Nella collana, a un certo punto, fa la sua comparsa la The Band con The Weight e, ancora, con The Night They Drove Old Dixie Down: non avevo mai sentito delle canzoni con quello spessore e quella profondità; e poi ogni volta, non appena entrava la voce, quella voce, la voce di Levon Helm, ogni volta era (ed è) un tuffo al cuore, un’emozione forte. A quei tempi non esisteva Napster, non esisteva eMule, non esisteva Torrent, i CD costavano tanto e i pochi soldi che avevo li spendevo per rincorrere le uscite di Pearl Jam, Smashing Pumpkins, Soundgarden e  compagnia; e poi nessuno che conoscessi aveva un CD o una cassetta della The Band, quindi passarono anni prima che riuscissi ad ascoltare un altro loro pezzo, finché un giorno (credo fosse il 2000) non incappai, sempre in edicola, in un Best of a poco prezzo e sempre in quel periodo scoprì The Last Waltz, il film di Martin Scorsese sull’ultimo concerto della The Band. Wow. Non ci sono parole per dire quanto peso quel CD e quel film abbiano avuto nella mia vita.

Levon Helm playing with The Band

E se in un primo momento uno quando guarda alla The Band pensa a Robbie Robertson, poco dopo si rende conto che, seppur si trattasse di cinque grandissimi e talentuosi musicisti (se non geni, come nel caso di Garth Hudson), l’anima e il cuore della band era Levon. Levon Helm è stato un grande uomo, uno dei più grandi e talentuosi batteristi della storia del rock, una voce straordinaria e inconfondibile, un eccezionale songwriter: come qualcuno ha scritto, rappresenta la quintessenza del musicista rock americano, uno dei vertici che la cultura musicale statunitense abbia mai raggiunto. Ma, oltre allo straripante talento, la dote rara che Levon possedeva era l’attitudine: umile, generoso, brillante, appassionato, semplice, spontaneo, rilassato.

Levon (2009)La sua epopea musicale ha origine negli anni ’50 nel Sud degli USA, in Arkansas, per incrociarsi poi con molti dei più grandi talenti della storia della musica contemporanea: Sonny Boy Williamson, i suoi compagni della The Band, Johnny Cash, Bob Dylan e la generazione di Woodstock; fino a un mese fa, nelle sue Midnight Rambles, ha continuato a suonare e cantare insieme ai migliori musicisti e alle migliori band in circolazione. Non voglio qui approfondire la vita e la formidabile carriera di Levon Helm, i primi passi suonando con Ronnie Hawkins, la nascita della The Band in Canada, Woodstock, gli anni con Bob Dylan, the Last Waltz, la spaccatura con Robbie Robertson (forse risolta in punto di morte) e la reunion della The Band, il suicidio di Richard Manuel, l’overdose di Rick Danko e la lotta al cancro fino ad arrivare alla rinascita degli ultimi anni, i due bellissimi dischi (Dirt Farmer e Electric Dirt) e i concerti, le Midnight Rambles. Per questo vi rimando a questi due articoli, i migliori che finora abbia letto online: The Atlantic, Exclaim.ca, Pop Matters. [un piccolo sfogo, ho letto solo cose in inglese perché come sempre i titoli delle testate italiane sono imbarazzanti (fatevi un giro su Google News per farvi un’idea) mentre una testata come Repubblica.it ha semplicemente ignorato la notizia]

Il mio piccolo tributo a Levon è semplicemente una playlist di Youtube con cui cerco di mettere insieme qualche pezzo, lunga ma spettacolare. Vi invito a guardarla come vi invito a vedere (o rivedere) The Last Waltz e magari a leggere This Wheel is on Fire. Ecco la playlist.

Un ultimo pensiero: con Levon se ne va l’ultima voce della The Band, dopo Richard Manuel e Rick Danko. Riposate in pace ragazzi, le vostre voci e la vostra musica vivranno per sempre.