Feel the lazy hit of the summer

L’estate. Il momento dell’anno che tanto si brama, a cui ognuno di noi aspira. Giornate lunghe e oziose in cui si aspetta  la sera su una spiaggia o semplicemente sonnecchiando all’ombra di un pino italico. Il caldo, il frinire delle cicale, il placido sciabordio delle onde. E poi la sera prepararsi per andare chissà dove, un cocktail ghiacciato in mano, il contagioso fragore delle risate e il cielo limpido pieno di stelle. Quanta poesia. Troppa.

E allora cambiamo scenario, e la musica, quella con i bpm troppo incalzanti, lasciamola ad altri. Ritorniamo indietro, dove fino a poco tempo prima passavamo le nostre giornate. Lontano dalla natura, il mare e la campagna remoti ricordi di stagioni che furono. Torniamo in città, da soli, in un primo pomeriggio d’estate dove i rumori sono assorbiti dal pesante silenzio della controra. Usciamo di casa, spalanchiamo il portone della palazzina anni’70 di edilizia popolare nella quale viviamo e cominciamo a camminare. Il cielo è un tassello azzuro striato di bianco nel mosaico che insieme ai palazzi ci compare davanti agli occhi, la luce è accecante e il contrasto con l’ombra appare inconsistente. Nessuno per strada, qualche macchina isolata, un cane abbaia da un balcone una paio di isolati più in là. Allora inforchi le cuffie, la selezione cade su gli Arches e sul loro Wide Awake e ti accorgi che forse quella è l’unica scelta possibile. L’unica scelta possibile della mia estate. Schiacci play e continui ad andare.

Non è così che ho ascoltato la prima volta gli Arches, assolutamente, ma è quello che, al di là dei proclami della band, immediatamente si è costruito nel mio cervello associando la musica alla copertina dell’album. Canzoni lunghe, dilatate, pigre e figlie di una psichedelia che vede le sue radici nel Live at Pompei dei Pink Floyd. Una musica ambientale quella degli Arches, come anche il loro nome sembra stare ad indicare.

I proclami dicevamo. Nel bandcamp del gruppo si legge: This is a concept album about a character who lives alone in a city. Mundane routines drive the character to flee the city and become a drifter. The character’s perspective of reality becomes convoluted with memories and current travels to the point where the character becomes unable to decipher past and present experiences. Ed in effetti la solitudine e l’inclinazione al cammino sono due caratteristiche che vengono fuori ina maniera decisa fin dal primo ascolto.

Il disco si apre su This isn’t a good night for walking, la più lunga canzone dell’album, la prima, stando a quanto dicono Julien Rossow Greenberg e Tom Herman Jr – i due membri della band, che gli Arches abbiano scritto in assoluto. Lo scroscio iniziale sembra quello di un acquazzone estivo, poi dopo una breve intro di chitarra in riverbero la canzone parte, piano, voci e chitarre che si intrecciano in una melodia malinconica, poi ancora riposo e poi ancora una partenza, un moto ondivago che si propaga nello spazio per sei minuti e rotti. Every Moment of the day, il pezzo seguente, vive con due anime, la prima figlia dei Pink Floyd di Echoes, la seconda più folk e legata alle correnti del momento (leggi Wild Nothing, Ducktails e Julian Lynch ma più dilatati, stirati), doppia anima che si diffonde poi per tutto il disco. Alla morbida Behind Closed Blinds, seguono Cobblestone, lunga ballata acustica, e Headlight, più vivace nel suo “ritornello” montante. Ma il disco non perde tono anzi ne acquista: l’armonica iniziale di Over the Hill ti apre il cuore che continua ad essere messo sotto assedio quando il duo di Philly attacca a cantare. La canzone, gemma tra le gemme,  sale e a ogni angolo, a ogni cambio sorprende con una diversa trovata. Wide Awake è il pezzo più spiccatamente psichedelico mentre Spinning Around ricorda i Real Estate più nostalgici. Il disco si chiude su un brano speculare al primo: intro ambientale e sei minuti di durata,  It Won’t Take Long ci congeda da Wide Awake esattamente come eravamo stati accolti.

Un disco coerente fin nei minimi dettagli, nove pezzi per un totale di una quarantina di minuti che, in fin dei conti, stanno stretti, ne vorremmo ancora e ancora,  esattamente la sensazione che ogni buon disco dovrebbe lasciare. Wide Awake è uscito a febbraio di quest’anno ma io me ne sono accorto solo adesso, poco male, va benissimo così. Il vinile però è stato realizzato a maggio dopo una campagna che i due ragazzi hanno lanciato su Kikcstart portandola a termine anche in breve tempo, piccole gioie delle autoproduzioni. Ora però dovete scusarmi, il sole è alto e qualcosa di selvaggio là fuori mi chiama, metto giù il laptop per un po’. Lettore e Arches, l’estate è arrivata, finalmente.

 

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