Immaginare il futuro fotografando il presente

La mostra si apre con una serie di fotografie della Roma meno conosciuta, quella che – lontano dalle immagini celebrate di tanti film e foto d’epoca – gli abitanti della città eterna ben conoscono: la Roma del degrado urbano, quella delle periferie (e non solo), delle scritte sui muri, delle panchine rotte, del verde deturpato dall’incuria e dall’immondizia.  L’intento di Tod Papageorge, espositore principale, probabilmente non era quello di denunciare le condizioni della capitale. La sua idea era di vagabondare per la città e cogliere momenti, mutamenti, espressioni di volti che non guardano mai in macchina. Come l’ha definito il curatore, Marco Delogu, lo sguardo di Papageorge è quello di un flaneur americano a Roma. Il centro sì, ma anche Pigneto, Mandrione, Ostia. Le opere non hanno titolo, i luoghi sono praticamente irriconoscibili, ma già alla prima foto puoi dire di essere a Roma:  l’asfalto, uno dei tombini SPQR, una sigaretta e una piuma di piccione.

Il percorso prosegue indagando il tema principale del festival: può la fotografia intepretare il futuro? Il progetto Bumpy Ride cui hanno lavorato diversi artisti internazionali capovolge in qualche modo il concetto stesso di fotografia: “disegnare il futuro in uno scatto” invece di “fermare un momento passato”. Qui l’utilizzo del digitale si affianca all’analogico e l’inserimento di elementi destabilizzanti, finti ma resi verosimili dalla visione d’insieme, crea una sorta di fotografia fantascientifica o fantascienza della fotografia.

Così, il francese Cédric Delsaux nel suo The Dark Lens cattura paesaggi futuristici – cantieri a cielo aperto, complessi industriali in dismissione, grattacieli disabitati – e vi inserisce soggetti direttamente provenienti da Star Wars.

Mentre l’artista finlandese Ikka Halso guarda con preoccupazione al futuro: lo scenario è quello di una natura rigogliosa, dirompente, solitaria, ma rinchiusa, manipolata, costretta dalle scellerate azioni umane.

Allo stesso modo Ebru Erülkü immagina Londra in una sorta di cornice post-atomica, dove i monumenti simbolo della città sono avvolti in una spessa coltre di nebbia rossa.

Ancora più originale, il lavoro di Mirko Martin, che con il suo L.A. Crash opera a metà fra la fotografia e la  cinematografia. Immagini di incidenti spettacolari e situazioni da film: macchine capovolte, feriti a terra, arresti di massa. Di sottofondo Los angeles e una domanda “sarà vero o è solo un film?”.

Il futuro della Cina invece, secondo O Zhang sono le bambine, quelle che nessuno vuole, che nascono e scompaiono, quelle delle più remote province del più popoloso paese del mondo. Le immagini hanno dimensioni quasi a grandezza naturale e le bimbe sembrano bucare l’obiettivo.

La seconda sala espositiva è invece dedicata a due temi molto dibattuti. Il primo è quello indaga il fruttuoso rapporto tra fotografia e nuovi media: alla scoperta delle nuove frontiere dell’immagine. Il web è il protagonista indiscusso. Il presupposto dell’intero percorso narrativo è che siamo tutti continuamente fotografati. Le immagini sono ovunque, fluiscono nell’etere incontrollate.
Jon Rafman ha iniziato a collezionare “screen shot” catturati da Google Street View nel 2008. Nato con l’intento di migliorare le performances di Maps, Street View è presto diventato una creatura originale. Ha in qualche modo reso obsoleto il concetto di privacy, in nome di una spettacolarizzazione benvoluta.

L’ultima sezione della mostra, ospitata in una penombra voluta, espone una serie di lavori mai pubblicati. Il legame tra editoria e fotografia, esplicitato nel titolo Unpublished – Unknown, è qui estremizzato, fino alla conclusione che “tutto ciò che non è stato pubblicato, non esiste”.

Festival Internazionale di Roma
IX Edizione
24 Settembre – 24 Ottobre 2010