I ricordi brucianti di un imperdonabile abbandono

illustrazione di Giovanni Mulazzani

Nei boschi norvegesi in cui le stagioni si inseguono l’una con l’altra placidamente, come un vecchio cane fedele segue il proprio padrone, un uomo sessantenne popola la propria (ricercata) solitudine di ricordi; ricordi di una fanciullezza vissuta con leggerezza, investita di una coscienza adulta che ne acuisce gli spigoli piuttosto che smussarli.

Trond ha perso la moglie e la sorella da poco tempo, entrambe in circostanze drammatiche, e cerca nella solitudine rifugio proprio da quest’ultima: si consola cercando di convincersi di quanto sia autosufficiente e organizzato, si concentra sui piccoli lavori di manutenzione che si rivelano necessari alla casa di montagna in cui ha scelto di vivere e curativi per il suo animo ferito e solo.

Si sveglia ogni mattina, Trond, pensando a ciò che deve fare durante il giorno: preparare la colazione, dar da mangiare a Lyra, il cane, cercare una nuova catena per la motosega, delle gomme di ricambio per l’auto. Guarda con sospetto e un pizzico di snobismo ai suoi paesani, desidera star da solo, non ha mai nemmeno rivolto la parola all’uomo che vive nei pressi della sua baita.

L’importante è che sia tutto in ordine e pulito altrimenti potrebbe facilmente diventare un vecchio come se ne vedono tanti, “un naufrago senza ancore se non nei suoi stessi pensieri fluttuanti, in cui il tempo ha smarrito la sua sequenza”. Ma l’ancora nei pensieri fluttuanti, nei ricordi, è stata già lanciata da tempo, sebbene Trond faccia finta di non saperlo; da molto tempo, nella profondità di un’estate trascorsa col padre in quegli stessi boschi, al confine con la Svezia.

Quindicenne, ingenuo, rapito dall’amore verso il padre (uomo misterioso ed energico), stordito dal sole e dalla pioggia ghiacciata, dal sorriso sbilenco di un amico dal destino crudele, dai fianchi morbidi di una donna dal vestito di cotone a fiori, dai colpi inferti dal legname, dallo scorrere impietoso del tempo.

Si tratta di una storia che potrebbe toccare, se lo volessimo, le corde più sensibili del nostro animo, sembra essere tutto predisposto alla sofferenza ma Per Petterson lascia libera la scelta e la conclusione, perfino ovvia, è che “in fondo, siamo noi a decidere quand’è che fa male”.

È una storia forte e decisa, è una storia che non strizza l’occhio ai colpi di scena; è una narrazione che accompagna, guida, che, anche nostro malgrado, ci trascina fuori a rubar cavalli. A rubar cavalli? Una scena che sembra accada nonostante tutto, alla quale vorremmo porre un veto, nella quale ci si ritrova invischiati e inermi. Un pezzo di letteratura originale e rara.

Titolo: Fuori a rubar cavalli
Autore: Per Petterson
Editore: Guanda
Dati: 2010, 252 pp., € 16.00

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