L’inverno sta arrivando e il Gioco ha avuto inizio

Una saracinesca che si apre, uomini in nero, un tunnel cupo. E poi, la Barriera.
Di certo, i tanti fan delle Cronache del ghiaccio e del fuoco si saranno emozionati nel vederla. O nell’assistere al ritrovamento dei cuccioli di meta-lupo accanto al cadavere della madre, trafitta da un corno di cervo. O nel contemplare i solidi contrafforti di Winterfell e il profilo turrito di King’s Landing. Personalmente mi sono emozionato anche soltanto nel veder sventolare gli stendardi degli Stark o nel sentire pronunciare a Eddard la fatidica frase “winter is coming”.

Tutte scene che probabilmente non susciteranno le stesse emozioni in coloro che non conoscono già la saga di George Martin. Certo è che, se la serie prodotta da David Benioff e Dan Weiss, e distribuita dalla HBO, manterrà la stessa fedeltà ai romanzi e lo stesso livello qualitativo del primo episodio, sarà difficile, anche per i profani, non farsi catturare dalle atmosfere cupe del continente di Westeros, un mondo simil-medievale caratterizzato da stagioni che durano anni, lacerato da intrighi e nel quale non mancano sottili e singolari forme di magia. Grande fedeltà ai romanzi, dunque, e pazienza se ci sono dei dettagli diversi; invocare una perfetta aderenza al testo scritto significa non rendersi conto che una serie televisiva è un medium ben diverso da un libro e che, di conseguenza, richiede alcune differenze a livello di dinamiche narrative.

Come avrete intuito, chi scrive è un appassionato della saga, sa già cosa succederà nei prossimi episodi, ha già delle immagini in testa per la maggior parte dei personaggi e dei luoghi, e aveva delle aspettative altissime su questa versione televisiva. Questo per dire che il mio giudizio sarà di base viziato dalla voglia di ritrovare, sul piccolo schermo, quei particolari, quei dialoghi e, soprattutto, quei colpi di scena che mi hanno fatto innamorare delle Cronache del ghiaccio e del fuoco.
Uno dei pilastri su cui i romanzi basa la loro fama è lo spessore dei personaggi. Lode, quindi, al casting della serie, perché ha azzeccato pressoché tutte le facce dei protagonisti. Svettano su tutti i Lannister: Jaime è bello e ha la faccia da stronzo, Cersei è bella e ha la faccia da stronza, Joffrey ha la faccia da stronzo disturbato e Tyrion… be’, applausi per Peter Dinklage. Ottima anche la resa della famiglia Stark, dall’onorevole e sofferto Eddard di Sean Bean all’intensa Catelyn Tully, passando dallo sguardo vispo della ribelle Arya. L’aria da bamboccio di Kit Harington, interprete del bastardo Jon Snow, lascia qualche perplessità, ma di certo non è fuori luogo e ci sarà tempo per valutare se il ragazzo saprà dare il giusto spessore a uno dei personaggi migliori della saga. Giù il cappello anche per il Robert Baratheon di Mark Addy, che in pochi gesti e parole riesce a rendere l’idea di un re che di regale ha poco e che ha lottato duramente per conquistare un trono che ora trova alquanto scomodo. Ben scelti anche gli interpreti dei due giovani eredi Targaryen: il viscidamente odioso Viserys e l’affascinante e carismatica Daenerys, cui Emilia Clarke riesce a dare il giusto mix di fragilità e forza.

Costumi e scenografie non sono certo da meno nel trascinare lo spettatore nel cupo medioevo di Westeros e un tocco in più lo danno i dialoghi, veloci e diretti, ora ironici ora drammatici, il tutto condito da un ritmo narrativo spedito ma mai frettoloso. Anche il web viene ben sfruttato come supporto: siccome seguire le complesse gerarchie familiari dei Sette Regni non sarà facile, sul sito della serie è comparsa un’utilissima viewer’s guide, con tanto di mappa interattiva.
L’impressione generale è che sia stato fatto davvero un ottimo lavoro, sia per quanto riguarda la fedeltà ai romanzi – e la presenza di Martin fra i produttori è indubbiamente una garanzia da questo punto di vista – sia per la qualità del prodotto, che nulla ha da invidiare a una produzione cinematografica. La conferma della seconda stagione di Game of Thrones e le svariate candidature agli Emmy Awards ricevute lasciano ben sperare sul futuro di questa serie, il cui maggior problema potrebbe essere rappresentato proprio da Martin: a luglio, dopo cinque anni di ritardo, uscirà Dance of Dragons, il quinto volume americano, dopodiché ne mancheranno soltanto (?) due. Riuscirà l’autore di Bayonne a ultimare la saga prima che la serie televisiva arrivi alla pari con i romanzi? Difficile dirlo, certo è che i fan delle Cronache sono ben addestrati alle lunghe attese.

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