Game of Thrones, Atto III: il caos non è una fossa, è una scala.

Game of Thrones: Season 3Game of Thrones, HBO.
Terza stagione.
Domenica, dal 31 marzo al 2 giugno.
Sito ufficiale

Lo confesso: non sono un grande appassionato di fantasy, e non ho letto nulla della saga creata da George R. R. Martin. Prima che mettiate mano alle spade e invochiate gli Antichi Dei della Foresta affinché puniscano questo povero stolto, lasciatemi spiegare: quello che voglio dire è che, nonostante non rientri tra i miei generi prediletti, anche per me (e per quegli altri due o tre poveretti nelle mie stesse condizioni) il ritorno della pluripremiata epopea fantasy di Game of Thrones è senza alcun dubbio l’evento più atteso di questa primavera televisiva 2013.

HBO non ha certo lesinato sulla campagna di lancio della terza stagione del suo prodotto di punta, mettendo su un battage pubblicitario imponente culminato con una clamorosa pagina pubblicitaria sul NYT (con corredo di finti articoli ad hoc), in uno sforzo promozionale pari a quello di un blockbuster per il grande schermo. D’altra parte, i titoli di testa più epici di sempre (tutto quello che c’è da sapere su questi favolosi 100 secondi si può leggere e vedere qui), dozzine di straordinari personaggi (un cast forte di oltre 50 attori, secondo una recente press release di HBO) e ambientazioni sempre più grandiose ed evocative (che, con il progredire della serie e il corrispondente aumento del budget, si stanno facendo visivamente sempre più ricche) non lasciano dubbi: Game of Thrones è il kolossal incontrastato della tv contemporanea, e non può che creare aspettative proporzionate al proprio status. A tutto ciò si aggiungano le prospettive dei soliti coinvolgenti combattimenti — che, questo ci promettono i trailer, non si svolgeranno più solo per terra e mare, ma si estenderanno fino al cielo con il ritorno sulla scena dei leggendari draghi — e si può capire perché l’attesa della vasta fandom per l’inizio della nuova stagione fosse più che febbrile.

Beric Dondarrion vs The Hound

Per tutti coloro che sono esperti in tutto ciò che riguarda il medioevo fantastico creato da Martin e i vari personaggi che lo abitano sarà sufficiente sapere che la terza stagione si basa sulla prima metà di A Storm of Swords, terzo romanzo della saga di A Song of Ice and Fire. Tutti gli altri (newbie o bandwagoners, chiamateci come volete!), invece, sappiano che questa terza stagione prosegue nell’esplorazione dei tre principali archi narrativi sviluppati fino a ora: la guerra che dilaga a Westeros e le continue macchinazioni politiche messe in atto dai vari casati per assicurarsi l’ascesa all’Iron Throne correntemente occupato — o piuttosto usurpato — da Joffrey Lannister (il quale, in mezzo a tutto ciò, trova ancora il tempo di dominare, in modo pressoché incontrastato, la corsa al titolo di ragazzetto più odioso della storia della tv); la minaccia incombente rappresentata non solo dall’inverno in arrivo da ormai due stagioni, ma soprattutto dalle bellicose popolazioni che vivono al di là del Muro, siano essi i libertari Wildlings o White Walkers e relativo esercito di zombie mutilati (con consueto lascito di creative disposizioni di corpi smembrati) e congelati; e infine le vicende di Daenerys “Stormborn” Targaryen, Dany per gli amici e “mama of dragons” per tutti gli altri, eroina dai capelli biondo platino determinata a riprendersi ciò che le appartiene per diritto dinastico (il trono di cui sopra), ma con la difficoltà aggiunta di non possedere né un regno né, fallito miseramente il tentativo di guidare le orde dothraki, un esercito (che, si sa, quando si è intenzionati a far la guerra contro qualcuno fa sempre comodo).

Mance Rayder, King Beyond the Wall

A onor del vero, dopo tanto teasing, la stagione è partita un po’ con il freno a mano tirato, e forse non poteva essere altrimenti. Il lungo iato di dieci mesi dal finale della seconda stagione ha imposto, a fini di una narrazione efficace, un momento di pausa necessario a riprendere le fila tanto delle principali linee narrative ricordate sopra, quanto delle millemila sottotrame di cui gli altrettanto numerosi personaggi sono protagonisti: dalla diaspora dei vari rampolli Stark sparsi per il continente (tutti a loro modo impegnati in perigliosi viaggi, chi alla ricerca di se stesso, chi — più prosaicamente — verso casa o in fuga da una casa ormai ridotta a un cumulo di macerie fumanti) alla strana coppia Jamie Lannister/Brianne of Tarth, da quel fessacchiotto di Theon Greyjoy ai doppi-tripli-quadrupli giochi messi in opera da Lord Baelish. A tutto ciò si aggiunga la necessità di garantire adeguato screen time ai nuovi personaggi — tra i quali Mance Rayder (la guest star Ciarán Hinds), famoso/famigerato King Beyond the Wall, e Thoros of Myr (Paul Kaye) chierico/guerriero devoto al Signore della Luce — e  accompagnarne l’inserimento nella trama principale, e si può ben comprendere come una certa macchinosità nel dare avvio alla stagione fosse difficilmente evitabile. D’altra parte, Game of Thrones ha ormai consolidato la propria strategia narrativa, e fin a ora non ha avuto timore, nonostante il rischio di perdere il favore dei fan meno… fanatici (ben inteso, me incluso), ad alzare il piede dall’acceleratore  rinunciando a spingere sull’azione a tutti i costi e indugiando invece su segmenti più o meno brevi di ciascuna sottotrama, invitando lo spettatore a completare pezzo per pezzo il grandioso affresco del mondo di Westeros. Affresco che continua a comporsi, quindi, non solo grazie a uno sguardo a volo d’uccello su una trama “macro” di eventi epocali (quali una guerra dinastica o l’invasione dal nord di un’armata di esseri misteriosi che nessuno ha più visto da qualche migliaio di anni), ma anche attraverso il rilievo dato al dettaglio “micro” di questo tessuto, costituito da elementi ben più sottili, che vanno dai piccoli gesti che caratterizzano lo stato emotivo dei personaggi e contribuiscono a costruirne personalità il più possibile sfaccettate (scomodiamo Walter Ong e li chiamiamo “personaggi a tutto tondo”?), all’attenzione nell’esplorare il background di figure non di primissimo piano, funzionale a comprendere le motivazioni profonde che animano tutti gli attori partecipanti al grande “gioco dei troni”. Il pericolo di disperdere la narrazione in mille rivoli e di disorientare lo spettatore, specie quello che non ha familiarità con l’universo letterario a cui Game of Thrones si riferisce, facendogli sfuggire di mano quel filo rosso che tiene insieme questa la miriade di parti, è sempre dietro l’angolo, e l’episodio introduttivo mi ha, a tratti, dato la sensazione che questo rischio si stesse effettivamente concretizzando. Ma, oltrepassata ormai la boa di metà stagione, l’avanzamento della trama generale e i segmenti dedicati allo sviluppo psicologico dei personaggi hanno di nuovo raggiunto un equilibrio ottimale, e quelli che sembravano fili isolati cominciano a intrecciarsi nella trama e ordito di quel ricco e barocco tessuto che è Game of Thrones. Anche il rapido passaggio tra una location e la successiva si è progressivamente addolcito, e le brusche transizioni iniziali, che davano origine a un confuso tour saltellante tra i vari luoghi di Westeros ed Essos, sono ora più sfumate, e spesso indicano, anche simbolicamente, quali linee narrative cominceranno mano a mano a confluire l’una nell’altra.

Sul lato prettamente tecnico, direi che c’è ben poco da aggiungere a quanto già tutti sanno. Game of Thrones ci ha abituato a standard altissimi e la terza serie conferma ancora una volta una ricchezza visiva senza pari nella televisione odierna: la fotografia è come sempre ineccepibile, con il consueto ricorso a differenti saturazioni di colore per marcare le differenze geografiche di un mondo costituito dalle ambientazioni geografiche più variegate, e la CGI, usata sempre in modo massiccio, ha sicuramente beneficiato dell’aumento del budget a disposizione, e dopo una bella riverniciata di pixel King’s Landing e Dragonstone sono più imponenti che mai.

Dany found an army. Now she just needs a shitload of ships.

Già detto delle gargantuesche dimensioni del cast, di cui alcuni hanno detto, scherzando ma non troppo, che impieghi la totalità degli attori disponibili in tutto il Regno Unito, non resta molto da segnalare neanche sul fronte della recitazione. Gli attori forti restano forti (i soliti Peter DinklageEmilia Clarke e Michelle Fairley; un Nikolaj Coster-Waldau più convincente nei panni del Kingslayer prigioniero di quanto non fosse stato, a mio parere, nelle serie precedenti; e, perché no, una Maisie Williams con la faccia giusta per rendere a dovere l’impertinenza di Arya Stark), e quelli scarsi restano purtroppo tali: tra i personaggi principali, appartengono a questa (affollata) categoria tutti gli altri “Stark”, molti “Baratheon”, Rose Leslie/Ygritte (personaggio piatto — nella recitazione e ancor di più nella scrittura — nonostante un poderoso accento northern english), e anche Aidan “Tommy Carcetti” Gillen non mi sta piacendo molto a causa di una recitazione un po’ sopra le righe, tale da rendere Petyr Baelish machiavellico al limite del caricaturale. Poi ci sono quelli che, anche solo per il proprio aspetto, non dovrebbero avere niente a che fare con la brutale e livida realtà di Game of Thrones, ma sembrano esserci solo perché un prodotto mainstream ha bisogno anche delle facce adatte a finire sui poster che andranno a riempire le pareti delle camerette di molti teenager (Kit Harrington/Jon Snow, lo sai benissimo che sto parlando di te!).

Daenerys: "I've got a dragon, and I'm not afraid to use it!"

Insomma, Game of Thrones è un mosaico ricco, e pazienza se, tra tanti tasselli, alcuni — pochi, ma ci sono — non sono di fattura sempre pregiata, e per quelle scene deboli e talvolta ingenue che ogni tanto fanno capolino qua e là e che, in fin dei conti, le serie a lunga serialità quasi mai riescono a evitare (con la notabile eccezione di The Wire, ma lì, Lester ci insegna, all the pieces matter): la qualità e il livello globale del racconto non ne sono inficiate in modo drammatico. Poi, quando entrano in scena i draghi, tutto il resto, per il sottoscritto, passa in secondo piano. I tre affettuosi cuccioli di Dany (dopo tre stagioni potremmo ben consideraci amici, no?) sono ormai cresciuti e abbastanza svezzati da cimentarsi nella difficile arte della pesca-con-arrostimento-acrobatico-della-preda-in-un-solo-movimento, e la prospettiva di vederli svolazzare in lungo e in largo per il continente è, di per sé, un particolare sufficiente a creare tanto, giustificatissimo, hype. E da che mondo e mondo, sia esso reale o immaginario, la primavera è tempo di playoff, quindi è il periodo perfetto per mettersi comodi sul divano a tifare per Team Khaleesi e gufare contro Team Lannister!

Note a margine

  • Parlando sempre dal punto di vista di chi non può appoggiarsi alla conoscenza pregressa fornita dalla lettura dei romanzi, potrebbe essere utile, prima di tuffarsi nella visione dei nuovi episodi, rinfrescarsi la memoria e fare il punto della situazione dei vari personaggi così come sono stati lasciati alla fine della scorsa stagione. Questo agile slideshow è abbastanza efficace nello svolgere questo compito.
  • Un conciso riepilogo, seppure in chiave ironica, degli episodi della terza stagione andati in onda fino a questo momento si può invece consultare qui.

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