Chiesa, la “salvezza” in 10 slides. Quando il vero pastore di anime è un pubblicitario

“Pensai a quanto è buffa la vita: io, ex hippy ed extraparlamentare, oggi professionista inappuntabile che mi ritrovavo a prendere il tè pomeridiano con un cardinale”. Tè indiano e biscottini secchi con un alto prelato non per spontanea convivialità, ma per parlare di rami, arbusti, patriarchi, tutti secchi o rinsecchiti, della “più grande multinazionale del mondo”, sia pure acciaccata, traballante. Strana cosa, davvero, l’esistenza se il giro del sole ti fa ritrovare dopo molti anni nello stesso scenario, ma in un contesto di segno diametralmente opposto. La prima volta il protagonista era a Trastevere in un lettone pieno di lettere (tra Fernanda Pivano e Mauro Pagani della Premiata Forneria Marconi) che funzionava da redazione atipica, di una testata sui generis, Fallo (giornale del movimento hippy italiano). A distanza di anni, è di nuovo a Trastevere, ma in un attico con vista mozzafiato su Roma, a prendere il tè con un cardinale che gli affida un incarico straordinario: trovare la cura per guarire un malato grave, forse terminale, la Chiesa cattolica. Lui accetta la sfida, fa la diagnosi e trova persino la cura, in 10 mosse, o meglio in 10 slides. Curioso anche questo: in altri tempi, è toccato a un teologo, tale Martin Lutero, dare uno scossone alla Chiesa romana, ma occorsero 95 tesi, una scomunica, una Riforma, la fondazione di una nuova Chiesa antagonista che mise la capostipite ancor più sulla difensiva. Stavolta, la “salvezza”, la possibilità di salvezza per chi finora l’ha garantita agli altri, viene da un “eretico”, un pubblicitario abituato a preparare campagne per multinazionali del largo consumo e a rifare l’immagine ad aziende in crisi. Comprese aziende dell’energia elettrica, ma mai prima d’ora della luce eterna.

Sembra una storia folle, inventata da un qualche cappellaio matto, più matto del destino e dei suoi giochi trasversali. Questo e altro capita a Bruno Ballardini, esperto di comunicazione strategica e marketing, come lui stesso racconta nel libro Gesù e i saldi di fine stagione: un’esperienza talmente assurda da sembrare irreale, un’eccellente invenzione romanzesca, il colpaccio di una fantasia sghemba, una magnifica sceneggiatura per un film originale e riuscito come, sincronicità, lo è il simultaneo Habemus papam di Nanni Moretti, affine per tematica e originalità. Ma qui siamo nella vita vera, checché se ne dica. Un committente davvero insolito affida una missione altrettanto anomala: elaborare un’analisi delle ragioni della crisi da saldi di fine stagione, ma soprattutto definire strategie per uscirne. Non un’azienda qualsiasi,  ma quella che ha inventato il marketing nelle forme più efficaci e capillari della storia umana e della comunicazione pubblicitaria. Questo Ballardini l’ha già svelato nel 2000 nel precedente libro, diventato un cult-book, Gesù lava più bianco, tradotto in 11 lingue. Abituato a essere “il padre confessore delle aziende”, accetta l’incarico anche se inizialmente strabiliato: “Cercavo un appiglio, un’idea da cui iniziare questa pazzia. Pensavo che a nessuno dei miei colleghi, sarebbe mai capitata una cosa del genere, e in qualche modo ero un predestinato. Ma questo pensiero non mi tranquillizzò per niente, anzi non fece che aumentare la mia ansia”.  Fatto sta che se all’inizio si “limita” a dare lezioni private di marketing al cardinale (è o non è un pezzo da cinema?), l’impresa culmina poi in una relazione tenuta alla Pontificia Accademia delle scienze, nel cuore del Vaticano, davanti a un pubblico ristretto di cardinali e laici: la relazione riferisce i risultati della ricerca fatta per conto dello stesso cardinale, ed è “una strategia per Gesù in dieci slides”.

Alla fine del libro, l’autore gioca a rimescolare le carte: forse quel che è stato raccontato non è accaduto, o se lo è solo in parte, “non è detto nemmeno che il cardinale esista veramente (e se così fosse non sarei autorizzato a rivelarlo). Quelle che invece esistono e restano aperte sono le questioni di cui parla il libro, questioni urgenti per la chiesa e per la sopravvivenza stessa del cristianesimo”. Questioni così urgenti che Ballardini, quasi da “partigiano” della causa, infrange la riservatezza, rielabora i dati acquisiti, scrive il libro riepilogativo dell’esperienza fatta e lo pubblica, convinto che se c’è, come c’è, una fronda interna alla Chiesa, il lavoro non potrà che dare un contributo a un processo necessario di rifondazione. Documentato ma al tempo stesso impertinente, provocatorio con arguzia e a  ragion veduta, Ballardini fa le pulci ai tanti guasti dell’impresa, e si immerge in questioni intricate e complicatissime nel nome del marketing. Ecco un piccolo campionario di cosa non va, del perché la più grande multinazionale del sacro arranca alla prima crisi del mercato globale. La crisi è totale: scandali a oltranza, amministratore delegato non all’altezza del ruolo, gerarchie distanti o troppo invasive, visione e mission della Chiesa confuse, dirigenza che teme il cambiamento, crisi di comunicazione, crisi dei fedeli, concorrenza interna e quindi troppe linee di marketing, concorrenza esterna sempre più agguerrita, con nuovi culti che permettono volendo di restare cattolici in maniera indolore. Ballardini lo dice: “Io sono solo un uomo di marketing e comunicazione, mi occupo di strategie. Non ho fatto altro che applicare i principi aggiornati della mia disciplina in un ambito che non mi appartiene”.

Con dovizia di particolari, l’autore spiega perché la Chiesa non vende più,  dedica una parte del libro ad analizzare quali e quanti sono i concorrenti interni; un’altra ai nuovi culti, neopagani ed esoterici che rappresentano la minaccia esterna. C’è molto da imparare anche per noi consumatori, spesso passivi o abitudinari, di ogni genere di prodotto, sacro compreso. Anche la Chiesa pecca e molto: non ha chiara la differenza tra marca e marchio. La marca è il brand, “l’essenza del prodotto, il suo significato, la sua direzione, ciò che ne definisce l’identità nel tempo e nello spazio”, quindi “il luogo in cui convergono la storia passata e futura del prodotto, i valori dell’impresa, la sua identità e l’esperienza dei consumatori”. Se “la Chiesa è il brand, il prodotto è la dottrina, il marchio è la croce”. Ed è questo il punto: la Chiesa è una “marca di marche”, una holding con troppe partecipate (Opus Dei, Comunione e Liberazione, Focolarini, Legionari di Cristo, Comunità di sant’Egidio, ecc.), che a loro volta per espandersi utilizzano “una forma di franchising” in una frammentazione che supera persino i nostri comunisti con i loro quattro partiti. Il “padre confessore” delle aziende propone innanzitutto di unificare la marca, ritirare le deleghe, far tornare le parrocchie a essere la “rete vendita” per eccellenza e i preti la “forza vendita” per fidelizzare nuovi e vecchi credenti. Ballardini dice di essere solo  un uomo di marketing. Eppure, nel suo dossier c’è qualcosa di più di una summa di regole da applicare. C’è molto di più della consulenza specialistica. Anche questo può suonare paradossale e lo è: c’è un senso del sacro nelle 10 slides, oltre l’abilità di un professionista che traccia la via di sopravvivenza a un’azienda in crisi. Ballardini auspica il ritorno a un’unica Chiesa, di più a un unico cristianesimo, quelle delle origini “forse più liquido, ma più semplice, puro, essenziale”.

Più che un esperto di marketing, sembra nel capovolgimento di tutti i fronti di quest’epoca, la vera guida spirituale che non si scorge tra i professionisti del culto, specie quando invoca come unica strategia della chiesa quella di non averne nessuna, perché strategia non è neanche roba da mercato, ma da guerra, gente in armi. O quando, altro che esercizi spirituali, invoca l’abbandono di ogni forma di colonialismo religioso, il ritorno all’etica evangelica, perché la convinzione religiosa è fenomeno interiore.  E non finisce qui. Raggiunge punte poetiche quando alle settima slide invoca un lavoro di archeologia spirituale e simbolica, per riappropriarsi di riti antichi, perché l’uomo ”sia aiutato a entrare in se stesso, a interrogarsi sul senso del proprio destino, a cercare in sé quel “lume di eternità” che abita il cuore di ciascuno”. Insomma, suggerisce di accorciare le distanze tra religiosità e spiritualità,  causa di tante perdite di anime; ministri della Chiesa che siano maestri di spiritualità e non impiegati della religione o teologi in carriera. Aria e luce trapelano nelle stanze asfittiche. In fondo cerchiamo tutti figure credibili che ci aiutino a riconoscere il sacro che abita in noi, che ci educhino a santificare non i giorni di festa comandata, ma quelli più vili, fallimentari, cupi.

Siamo assetati di senso e di sacro, anche se non osiamo dirlo,  a cominciare forse da alcuni alti prelati. Ballardini trova la “manna” in terra: la risposta è in un concilio di rifondazione “pastorale ed ecumenico”. Più che il concilio vaticano III, il concilio 3.0 perché “userà tutti gli strumenti del social web”. Qui c’è molto di più di un piano d’azione, c’è un anelito a una religione universale e mistica perché umana, che ha il sapore dell’utopia. Certo è che una religione così verrebbe voglia di seguirla subito, anche senza possibilità di sconti.

 

Gesù e i saldi di fine stagione. Perché la Chiesa non «vende» più
di Bruno Ballardini  – Piemme – 2011
Prezzo: € 16.00

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