Gianfranco Manfredi e la resurrezione del gotico

Premessa di metodo (e di monito)

La recensione che segue si basa su alcune posizioni di principio.  Si ritiene perciò utile specificare che, ai fini del presente articolo, si intende per:
a)  “Gianfranco Manfredi”: uno dei più dotati e interessanti autori italiani attualmente in circolazione;
b)  “autore”: creatore, ideatore o in qualunque altro modo responsabile di opere attinenti non alla semplice narrativa (intesa come puro divertissement), bensì alla letteratura tout court;
c)  “letteratura”: qualunque opera dell’ingegno che, tramite il medium della scrittura, si ponga (con qualunque mezzo a sua disposizione) come strumento di comprensione e interpretazione del reale, che sia passato, presente, o futuro, a prescindere da generi e classificazioni della critica e (soprattutto) propensioni personali del lettore.

Le tre così fornite definizioni abrogano ogni eventuale principio precedente o contrario. Sono previste sanzioni per chi, in via colposa, dolosa o anche preterintenzionale, affermi che un determinato prodotto letterario, malgrado il livello che possa raggiungere, sia comunque da considerarsi “di nicchia” per la sua appartenenza a un genere cosiddetto “minore” come il gotico. La loro entrata in vigore è prevista per… uhm… circa adesso.

Recensione

Il gotico era morto. L’aveva ucciso Carlos Ruiz Zafón, prospettandogli una nuova e diversa esistenza con L’ombra del vento, ma poi affossandolo definitivamente con Il gioco dell’angelo e (ancor più) l’improbabile Marina, che trasformavano un genere nato per seminare, tramite l’inquietudine, interrogativi su argomenti insondabili dalla ragione, in un gioco letterario costretto a ricorrere alla parodia di se stesso per campare.
Poi però è arrivato Gianfranco Manfredi. Viva il gotico! E viva Manfredi, che con una doppietta iniziata nel 2008 con Ho freddo e proseguita ora con il sequel autonomo Tecniche di resurrezione (entrambi targati Gargoyle) riporta l’attenzione sull’essenza e il significato originari di una prospettiva tutta peculiare di studio della realtà.

E già che c’è la riveste di così tanti nuovi significati e scopi da finire per regalarci qualcosa di cui in Italia avevamo, negli ultimi tempi, un certo bisogno: un rinnovato, autentico modo di raccontare con maestria una storia complessa.

Per farlo, Manfredi sceglie l’unica via che a un vero autore di letteratura sia lecito seguire: partire dal trend del momento (la rinata — ma non molto in salute — vampiromania), inserirsi sulla sua scia, e capovolgerlo. Fornire al pubblico non ciò che chiede (atmosfere facili, effetti harmony, assoluta omologazione dei caratteri, rassicurante ripetitività dei plot), ma ciò di cui ha bisogno.

In poche parole, educarci nuovamente alla profondità della letteratura di genere, per mostrarci che sì, ci sono ancora più cose in cielo e in terra di quelle che troppo spesso troviamo sugli scaffali delle librerie.

Gli ingredienti? Principalmente una salutare e ben meditata passeggiata sul filo di lana che sempre separa l’illuminismo razionalizzatore dall’irrazionalità delle superstizioni ataviche. Già in Ho freddo, e con maturità ancor maggiore nel nuovo Tecniche di resurrezione, Manfredi gioca continuamente con i due opposti piani in cui si muove la mente umana, le cui contraddittorie potenze sanno con uguale efficacia generare mostri e cercarne le cure. Il gioco è rischioso, e a giocarlo male si rischia di sbilanciare l’equilibrio della narrazione dall’una o dall’altra parte, precipitando il tutto, rispettivamente, nell’inverosimile o nell’indisponente. Tanto più perciò dobbiamo congratularci con Manfredi per la decisione con cui dirige le redini, e per la sua quasi irritante abilità di fermare la storia nel momento stesso in cui sembra che stia per andare troppo in là. Soprattutto, però, Manfredi possiede una qualità sempre più rara da rintracciare nella fiction di ambientazione (principalmente, ma non soltanto, storica) degli ultimi anni. Parlo della volontà insaziabile di documentarsi, non per necessità di lavoro, ma per passione personale, che traspira da ogni riga di ogni pagina dei suoi racconti. Ricordo un capitolo di Ho freddo in cui si descriveva a puntino la lavorazione delle candele in una fattoria di Cumberland al volgere del XVIII secolo. Noia? Mi spiace, niente affatto. Perché da quel capitolo derivavano più informazioni emotive sulla caratterizzazione dei personaggi, del milieu in cui si svolgeva la loro esistenza, delle loro esigenze, aspettative, consuetudini, di quante se ne potessero riversare in molte, noiosissime (quelle sì) pagine alla Oliver Twist .

Per Tecniche di resurrezione il discorso è lo stesso, solo più approfondito, più articolato, più complesso per il continuo alterarsi di due diversi scenari quali Londra e Parigi: ciò che comporta la conoscenza di due diverse società, quasi di due diversi mondi. E questo, da un romanzo ben fatto, lo si pretende. Perché tu, scrittore, se non mi racconti una Storia vera, come potrai poi farci ben collimare una storia verosimile?

E poi, diciamocelo, Manfredi fa paura. Il racconto è effettivamente inquietante: in alcuni punti da pelle d’oca. Come quando si descrive la spietata resistenza che, all’approccio a tutti i costi razionale nell’interpretazione dei fatti, sembra contrapporre con altrettanta ferocia l’emergere della realtà invisibile, incredibile, dell’ignoto. E anche, se non di più, quando ci si sofferma sul sottile discrimine che, nell’ambito stesso della pura razionalità scientifica, divide il giusto mezzo del progresso e della conoscenza dalla malvagità dell’oltraggio alla natura dell’orrido Doctor Ending. Anche questo affidato a meccanismi narrativi fatti di ambiguità, pericolose analogie, incertezze, di una notevole sottigliezza.

Un personaggio (non eccessivamente simpatico) di Ho freddo, quel dottor Mitchell che, per guarire le sue pazienti, raccontava loro spezzoni di storie senza mai svelarne il finale, si trovava a un certo punto ad affermare (p. 451) che “la fantasia ci libera, la verità ci opprime”. Eppure, forse la verità (storica, scientifica o umana) rivestita di fantasia ci potrebbe guarire. Guarire dalla semplicità superficiale da instant books con cui (anche con scarso rispetto per il pubblico, siamo sinceri) un certo mercato editoriale ci propina storie tutte ugualmente vuote, tutte ugualmente “televisive”, e che rischiano, lentamente, inavvertitamente, di svuotare anche i nostri gusti e le nostre capacità di lettori. Raccontare belle storie rese libera Sherazade. E se leggerle rendesse un po’ migliori anche noi? Pensateci.

Titolo: Tecniche di resurrezione
Autore: Gianfranco Manfredi
Editore: Gargoyle
Dati: 2010, pp. 489, € 18,00

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Contenuti speciali
Qui trovate una bella intervista rilasciata da Manfredi a Radio Onda Rossa in cui ci racconta come costruisce i suoi romanzi e ci spiega il lavoro di ricostruzione documentaria che sta dietro quello che leggiamo.
Qui invece trovate il booktrailer di Tecniche di resurrezione, che avevamo già mandato in onda qualche tempo fa, e che resta proprio un bel lavoro.
E qui, se volete, potete discutere direttamente con Manfredi di tutto quello che vi passa per la mente, in un dibattito sul nuovo libro organizzato da Massimo Maugeri sul suo Letteratitudine.

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