H.P. Lovecraft & Houellebecq: contro il mondo, contro la vita

Chi era Houellebecq prima di diventare Houellebecq, l’autore europeo più controverso della sua generazione? Non pochi indizi possiamo trovarli in un saggio su H.P. Lovecraft – il padre, insieme a Edgar Allan Poe, della letteratura fantastica americana; si intitola Contro il mondo, contro la vita, Houellebecq lo scrisse a trent’anni e uscì presso Rocher nel 1991. Vale a dire prima delle polemiche sulla clonazione umana seguite a Le particelle elementari (1998), prima di Piattaforma (2001) e delle accuse di razzismo, prima di fare di se stesso un personaggio ne La carta e il territorio – l’ultimo romanzo pubblicato – del 2010. La carta e il territorio attenua la forza iconoclasta, azzera le scene di sesso esplicito e delinea forse, per la prima volta, una figura di donna dotata di spessore proprio, senza che sia solo una variabile dipendente nella sfera sessuale maschile. Infatti vince il premio Goncourt, corrispettivo di quello che può essere lo Strega in Italia. Tuttavia gli allori non bastano ad evitare gli strali di intellettuali engagé come Tahar Ben Jelloun, autore del non imprescindibile Il razzismo spiegato a mia figlia, che di sicuro continua a dolersi per l’intervista in cui Houellebecq, poco prima dell’11 Settembre, definiva l’Islam la religione più stupida che conoscesse. Ben Jelloun, in particolare, se la prendeva con “un’odiosa” stroncatura di Picasso contenuta nel libro e con il personaggio di Houellebecq, che ne La carta e il territorio veniva definito celebre scrittore inviso alla critica, ossia proprio il cliché che Ben Jelloun, con le sue premure pedagogiche, non faceva altro che alimentare. Dopo vent’anni, anche i talebani sanno che Houellebecq è fazioso, manipolatore e spregiudicato, eppure questo non incide in alcun modo sulla sua grandezza di scrittore. Ed è un grande scrittore soprattutto per la capacità di affrontare di petto i nodi centrali del suo tempo: che siano la mercificazione dei corpi, la rimozione della morte o gli sviluppi della genetica. Il problema, piuttosto, è l’idea che certa critica di sinistra sembra avere del lettore: un eterno scolaro sprovvisto degli strumenti adeguati per soppesare quello che legge. I romanzi non sono trattati di sociologia, sono passaggi verso altri mondi che la paura e il desiderio ti spingono ad attraversare; dove gli unici argini, lungo il prorompere del linguaggio, sono i limiti mobili della libera immaginazione.

Quali altre parole saprebbero meglio aderire all’universo di Lovecraft? Magari proprio quelle di Michel Houellebecq. Riportiamo da Contro il mondo, contro la vita: «Lovecraft attinge ad una riserva di immaginazione praticamente inestinguibile. La sua opera si presenta oggi a noi come un’imponente architettura barocca, distribuita su piani ampi e sontuosi, come una successione di gironi disposti intorno a un nucleo di orrore e di meraviglia assoluti». Colpisce ritrovare un tale slancio nella futura star nichilista della narrativa francese, nell’autore che farà della sua prosa fredda e controllata – in contrasto con i temi tragici o scioccanti – una riconosciuta marca di stile. Ma su queste righe insiste ancora l’eco del sedicenne che si perdeva, come migliaia di appassionati, nei sotterranei della Città senza nome, che tremava nell’avvicinarsi alle Montagne della Follia e bramava di poter sfogliare il Necronomicon, leggendario Libro dei Nomi dei Morti. Sono le impressioni di Houellebecq prima di diventare Houellebecq: scolpito dall’iconografia mentre guarda nel vuoto e fuma un’altra sigaretta; il disilluso misantropo autoesiliato dal mondo, magari sulle spiagge vulcaniche di Lanzarote (pubblicato nel 2002), dove poter ancora intravedere La possibilità di un’isola (2005). Sempre più simile ai suoi personaggi fino ad arrivare ad affiancarli – come abbiamo detto – ne La carta e il territorio, che chiude il cerchio dell’autoreferenzialità con una buona dose di humour nero: Houellebecq, nel romanzo, va infatti incontro ad una morte violenta, quasi ad esorcizzare, nella materia stessa della scrittura, la possibilità di liberarsi da se stesso. Problema insolubile nel nostro tempo mediatico: Roberto Saviano riuscirà mai a scrivere un racconto, un articolo o un intervento su Twitter, finalmente disimpegnati, o perlomeno sgravati della scorta di Gomorra e dei mali del mondo? Di quanto calerebbero le vendite di Ascanio Celestini se si tagliasse il pizzetto? Sarebbe più difficile, per Carlo Lucarelli, abbandonare il noir o il completo scuro?  Un problema che si ripete da tempi lontani: Oscar Wilde e Lord Byron erano già dei proto-brand prima che esistessero gli addetti marketing. Un problema forse inscindibile dalla natura stessa dell’uomo, animale dotato di capacità di coscienza e dunque condannato, inevitabilmente, a sdoppiarsi.

«Sono talmente stanco dell’umanità e del mondo che nulla suscita la mia attenzione se non comporta almeno due omicidi a pagina, o se non tratta di innominabili orrori provenienti da altri spazi», scriveva H.P. Lovecraft (1890-1937) nella sua monumentale corrispondenza. Il testo del giovane Houellebecq oscilla tra il pamphlet partigiano e la biografia romanzata, ma lascia trasparire, in numerosi passaggi, i segni dello scrittore di là da venire. Prendiamo l’incipit: «La vita è dolorosa e infida. Inutile, dunque, scrivere altri romanzi realistici. Rispetto alla realtà in generale sappiamo già come comportarci; e non abbiamo nessuna voglia di saperne di più. L’umanità così com’è ci ispira al massimo una tenue curiosità». Prendiamo il titolo, Contro il mondo, contro la vita, che nella tesi di Houellebecq si dispiega su due direttrici: Contro il mondo moderno, contro la vita adulta. Lo scrittore francese fa coincidere la vita di HPL con la sua opera. Lovecraft vive nella dimensione ristretta di una città di provincia, Providence, nel New England; sarà perseguitato per tutta la vita da feroci emicranie, che lo allontanano dai coetanei e lo spingono, invece, verso le scienze positive come la chimica e l’astronomia; aggiungiamo la prematura morte del padre e una madre iper-protettiva: Lovecraft, semplicemente, si rifiuta di crescere. Scrive nelle lettere: «Ormai avevo diciassette anni, e a diciassette anni si è ragazzi, e i ragazzi non giocano con le casette-giocattolo e coi finti giardini. Perciò, pieno di tristezza, dovetti cedere il mio mondo a un bambino che abitava dall’altro lato del terreno. (…) La gioia fugace dell’infanzia non si riesce mai più ad agguantarla. L’età adulta è l’inferno». È già puro Houellebecq d’annata quello che commenterà poco più avanti: «L’universo non è altro che una accidentale combinazione di particelle elementari. Una figura transitoria verso il caos, che finirà per inghiottirla. Tutto scomparirà. E le azioni umane sono libere e prive di senso esattamente come i liberi movimenti delle particelle elementari. Il bene, il male, la morale, i sentimenti? Pure “finzioni vittoriane”. Solo l’egoismo esiste. Freddo, intatto e radioso». Di conseguenza: scrivere per esprimersi, esprimersi attraverso la narrativa fantastica: «Il suo rifiuto di ogni forma di realismo costituisce per Lovecraft una condizione  preliminare all’ingresso del suo universo».

Punto secondo, l’avversione di HPL per il mondo moderno («Lovecraft disprezza il denaro, considera la democrazia una cretinata e il progresso un’illusione»). Lovecraft si reputerà per tutta la vita un gentleman di un’altra epoca, fiero delle sue origini anglosassoni, a disagio nella società mercantile di inizio Novecento. Con lucida sintesi sostiene che «tutto, in questo mondo moderno, non è che la conseguenza assoluta e diretta della scoperta delle applicazioni del vapore e dell’energia elettrica su grande scala». È il profilo di un conservatore, ma del resto, sostiene Houellebecq ne Le particelle elementari, «Tutti i grandi scrittori sono dei reazionari. Balzac, Flaubert, Baudelaire, Dostoevskij: reazionari». Diversamente da Dostoevskij, però, HPL resterà sempre fedele all’interpretazione scientifica del mondo, simpatizzando per i puritani solo in ragione della loro rigida morale. Lovecraft, superati i trenta, sposerà un’ebrea di origine russa, Sonia, la prima donna che avesse mai baciato. Il matrimonio resiste un paio d’anni: è il periodo di New York, quello in cui HPL matura una vera fobia per il crogiuolo di etnie che si riversano nella metropoli. La paura è la matrice del razzismo che verrà letto in alcuni racconti, dietro la caratterizzazione di personaggi antagonisti rispetto agli anglosassoni “puri”. Razzista, reazionario e spaventato dalle masse, bandisce il sesso, il denaro e il realismo dalla sua opera. A Lovecraft non interessa il futuro; come Hoppeneimer, il padre della bomba atomica, considera l’umanità già condannata. È un vecchio fanciullo che scruta i suoi sogni e vi trova il ricordo di passati universi, di civiltà aliene scomparse, di rovine millenarie. Siamo nei territori del fantasy, lontani dalla dimensione futuribile di Isaac Asimov e di Brian Aldiss. Per contro, Michel Houellebecq, è invece solito far deragliare i suoi romanzi, verso la fine, in un futuro prossimo.

L’orizzonte temporale si sposta più avanti ne La possibilità di un’isola, dove alla voce del protagonista contemporaneo, Daniel1, fanno da controcanto le riflessioni di Daniel24 e Daniel25, ovvero i suoi cloni centinaia di anni dopo. Non a caso entrambi gli scrittori vengono da una formazione scientifica, che permette loro di smontare l’impianto classico del racconto, inserendo termini e concetti scientifici nell’usuale fluire della narrazione.

Houellebecq parla di sè palando di Lovecraft: mi appello dunque all’eventuale esperto di fantascienza che capitasse da queste parti e avesse la (s)ventura di imbattersi in incongruenze filologiche: confido possa seguire la via della tolleranza e non dolersi nei miei confronti. Come ha fatto Ben Jelloun con Houellebecq, no? Più o meno. Del resto, le sensazioni di paura, ostilità e rancore sono comuni a tutti. Una ristretta minoranza sa convertirle in qualcosa d’altro. «È il segreto profondo del genio di Lovecraft, e la sorgente pura della sua poesia: è riuscito a trasformare il proprio disgusto per la vita in una ostilità attiva». Come capita di rado nella vita – verrebbe da aggiungere – come succede sempre ai veri artisti.

«e l’amore, in cui tutto è facile, in cui tutto è dato nell’attimo; esiste in mezzo al tempo la possibilità di un’isola»

Titolo: H. P. Lovecraft. Contro il mondo, contro la vita
Autore: Michel Houellebecq
Editore: Bompiani
Dati: 2011, 171 pp., 9,00 €

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