Hocus Pocus, 16 Pièces di rap fuori dagli schemi

Ci sono lunghi periodi, nella vita dell’ascoltatore medio di rap decente, in cui il suddetto si chiede con preoccupazione che cosa diamine stia facendo e se davvero abbia voglia di continuare a rovinarsi la vita dietro a parolai senza alcun rispetto per il suo – a onor del vero piuttosto pretenzioso – senso del buon gusto. Sono momenti come quello in cui ti rendi conto che all’ultimo BET Award, una sorta di Oscar della musica black, tra gli artisti premiati ce ne saranno sì e no due di cui non dico conosci il nome, ma che almeno rispetti, se proprio non ami smodatamente. Questi lunghi periodi sono alternati a sporadici risvegli della coscienza, in cui pochi e selezionati dischi riescono a penetrare la superficie di zelante schifo costruita in anni di ascolti e farsi strada nel nostro minuto elenco di dischi da conservare e possibilmente comprare. Uno di questi dischi è senza dubbio 16 Pièces, dei francesi Hocus Pocus.

Ah, gli Hocus Pocus. Uno dei pochi gruppi ad aver capito che si può andare al di là dell’equazione dj+rapper=hiphop e aggiungere le variabili sezione di fiati, chitarra, basso e soprattutto idee, idee che esulino un tantino dai soliti clichè.
A onor del vero a volte non sono sicuro di poter attribuire così spavaldamente l’aggettivo hiphop (è un aggettivo?) agli Hocus Pocus. Assomigliano più ad un gruppo funk, con venature jazz, ma non troppo sofisticate e un interesse per i testi che fa molto cantautorato francese.

Una sorta di ibrido, che ad ogni nuova uscita accolgo a braccia aperte e che difficilmente riesce a deludermi. Non l’hanno fatto con Place 54, il disco con cui li ho conosciuti e non sono riusciti a farlo neppure con questo 16 Piecès, che raccoglie una serie di brani di rara bellezza e originalità.

cover 16 Pièces - Hocus PocusSe c’è una cosa che proprio non si può rimproverare al gruppo di Nantes è di limitarsi all’aspetto musicale. Ancora non l’ho capito se un disco vada o meno giudicato dalla copertina, ma poniamo che così fosse. Sicuramente comprerei qualcosa degli Hocus Pocus. In questo caso la copertina è un semplice tangram, composto di – manco a dirlo – sedici pezzi, quelli che danno il titolo all’album, ma anche il numero delle tracce che lo compongono, tra tentativi in solitaria e collaborazioni riuscite con nomi storici del rap francese, si veda alla voce Akhenaton (voce dei marsigliesi IAM), Oxmo Puccino o Ben L’Oncle Soul, soul singer gallico di cui mi riprometto di parlarvi in futuro, nessuno se lo merita quanto lui.

Il pregio maggiore di 16 Pièces è forse la sua facilità. Puoi dimenticarti della sua esistenza, tenerlo come sottofondo e allo stesso tempo notare la differenza quando sei costretto a far ripartire il cd che è arrivato all’ultima traccia, senza che tu ti sia accorto del tempo trascorso. Saranno le rime quotidiane e delicate di 20Syl, gli scratch di Dj Greem o i cantati di David Le Deunff, sarà quel che volete, ma al momento so cosa metterei in testa alla mia personale classifica degli artisti preferiti.
E la coesione, ovviamente la coesione. Se si può chiedere a un gruppo che fa rap di avere un sound e non essere solamente un insieme di strumentali, più o meno ben prodotte, è agli Hocus Pocus che va chiesto.

Mentre mi struggo per non avere preso un aereo per Parigi, per sentirli suonare allo Zenith e poi ritornare a casa con un sorriso beota stampato sulla faccia, vi lascio con una registrazione live di un loro concerto. Ho sempre pensato che un gruppo vada giudicato non dai dischi, ma da quanto riesce a fare sul palcoscenico, a voi i commenti.

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Hocus Pocus ft. Akh & Ben L’Oncle Soul – A Mi-Chemin (Live)
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