I giganti dell’avanguardia

Alexander Calder: Senza titolo, 1971 Guazzo su carta 74,6 x 110,1 cm Fondazione Solomon R. Guggenheim, New YorkPiet Mondrian: Natura morta con vaso II, 1911-12 Olio su tela 91,5 x 120 cm Museo Solomon R. Guggenheim Museum, New YorkJoan Miró: Prades, Il paese (Prades, el poble), estate 1917 Olio su tela 65 x 72,6 cm Museo Solomon R. Guggenheim, New York

Joan Miró. Interno olandese II, 1928 Olio su tela, 92 x 73 cm Collezione Peggy Guggenheim, Venezia

Negli ultimi anni, il mondo dell’arte contemporanea ha preso il bruttissimo vizio di sostituire il consueto e perfettamente consono termine di “mostra”, con quello tanto enfatizzante quanto vago di “evento”. Le sbrodolate sull’Arte Povera e la Transavanguardia non erano mostre, ma eventi e allo stesso modo è stata catalogato l’intervento di Marina Abramović al PAC di Milano. L’evento è per sua natura unico e irripetibile; le mostre no, possono essere prese e spostate in altro luogo. Il loro valore dovrebbe stare esclusivamente nell’effettiva qualità delle opere proposte, senza alcun bisogno di dover impachettare la loro dubbia sostanza con termini ad effetto, con trucchi comunicativi di bassa lega.

Grazie al cielo, c’è ancora chi non desidera buggerare e derubare il pubblico e, anzi, è ben contento di proporre sempre delle mostre di grande qualità. Così è per la bellissima mostra Miró Mondrian Calder che, fino al 10 giugno prossimo, troverà spazio all’Arca di Vercelli, ennesimo sodalizio tra la collezione Guggenheim e la città delle risaie. Le opere non sono più di una quarantina, ma ognuna di esse vale il viaggio, a partire dal Boschetto di salici sul Gein (1902-1904), di un affascinante Piet Mondrian paesaggista ancora immerso nell’estetica cezanniana, ma in cui già si trovano i primi sintomi per l’astrazione geometrica, in una foresta di tronchi perfettamente eretti che si sublimano nella figura solitaria e indeterminata del successivo Faro a Westakapelle con le nuvole (1908-1909). Non fosse tedioso per il lettore, verrebbe da citare ogni dipinto, per seguire il ragionatissimo sentiero che ha portato il genio olandese verso le sue celeberrime composizioni rigorose, ormai divenute icone pop e sinonimo di gel per i capelli e forse per questo meno suggestive dei passaggi precedenti, in cui gli oggetti erano ancora riconoscibili, seppur già trasfigurati nella loto essenza geometrica.

Joan Miró: Dipinto, 1953, Olio su tela 194,9 x 377,8 cm Museo Solomon R. Guggenheim, New York

Lo stesso discorso non vale per Joan Miró. Anche la sala a lui dedicata si apre con uno splendido paesaggio che, a un primo sguardo, ha poco a che spartire con le successive tele oniriche, se non per un fiume lisergico di segmenti colorati in primo piano, ma le grandi astrazioni surrealiste, in cui i personaggi ripresi da un tema fiammingo si tramutano in macchie marroni, bianche o blu (Interno olandese II 1928), o la Pittura (1953), di quasi quattro metri di larghezza, sono capolavori cromatici da cui non si vorrebbe mai distogliere lo sguardo.

Vale la pena farlo, però, perché, ultimo ma non ultimo, Alexander Calder, con una strepitosa serie di mobiles che culmina nell’Arco di petali del 1941, conquista inevitabilmente l’ammirazione di ogni visitatore.

Alexander Calder: Arco di petali 1941 Alluminio dipinto e non dipinto e filo di ferro, altezza 214 cm circa Collezione Peggy Guggenheim, Venezia

È impossibile resistere alle sue sculture ludiche, alla loro purezza ereditata proprio da quel Mondrian che poco prima aveva aperto le danze, incontrato da un idolatrante Calder ancora agli esordi. «Grazie a un vicino, che ne sapeva abbastanza e aveva letto dei libri – scrive lo scultore in una memoria –, andai a far visita a Mondrian. Rimasi molto colpito dallo studio di Mondrian, che era ampio, bello e di forma irregolare, con le pareti dipinte di bianco e suddivise da linee nere e rettangolari di colore luminoso, proprio come i suoi dipinti. Splendido, con la luce che l’attraversava da una parte all’altra grazie alle finestre su entrambi i lati. In quel momento pensai come sarebbe stato bello se tutto avesse preso a muoversi. A Mondrian l’idea non piacque ma io ritornai a casa e provai a dipingerla.»

Oltre ai dipinti, dunque, questa mostra è ricca di storie: come quella di Peggy Guggenheim che si vantava di essere l’unica al mondo che potesse dire di dormire in un letto fatto da Calder (Testiera di letto in argento 1946) o che, all’inaugurazione dell’esposizioni delle opere della sua collezione alla Biennale di Venezia del 1948, indossava degli ingombranti orecchini fatti dallo stesso artista, anch’essi presenti in mostra. C’è da giurare che neanche in quell’occasione biennalesca fu utilizzato il termine “evento”, semplicemente perché non ce n’era alcun bisogno. C’era la sostanza, l’arte, e questo bastava.

I giganti dell’avanguardia. Miró Mondrian Calder e le collezioni Guggenheim

Fino al 10 giugno 2012

Arca, Vercelli

www.guggenheimvercelli.it