Il fascino discreto della borghesia

Quando mi hanno suggerito la serie tv inglese Downton Abbey ero convinta che si trattasse di un prodotto rivolto ad un target ben definito: preferibilmente di sesso femminile, con un grado medio alto di istruzione, una segreta passione per la letteratura anglosassone di fine ottocento e un certo gusto per i costumi e gli oggetti d’epoca. Praticamente me stessa e buona parte delle mie amiche.
Invece Downton Abbey si è rivelata ben altro.
I sette episodi della prima serie (ma la seconda è già stata annunciata) coprono il periodo storico che va dall’affondamento del Titanic allo scoppio della prima guerra mondiale. La storia prende subito ritmo, inchiodando lo spettatore alla sedia e costringendolo a rivedere tutti i suoi pregiudizi sui film (e i telefilm) in costume.

Come il titolo e la grafica suggeriscono, il protagonista occulto di questa vicenda, perno e origine di quasi tutto, è un luogo. Si tratta, appunto, di Downton Abbey, splendida tenuta nobiliare, elegantemente adagiata nella campagna inglese, che la famiglia Crawley si tramanda da generazioni.
Per comprendere appieno le relazioni tra i personaggi e tutto ciò che accade tra le mura di Downton è necessario provare a calarsi nelle logiche dell’epoca e, da questo punto di vista, gli sceneggiatori compiono un vero e proprio miracolo di grazia narrativa, introducendo tutte le informazioni necessarie con naturalezza, senza mai apparire forzati o, peggio ancora, didascalici.
La priorità esplicita nella vita dei Crawley è Downton; è al mantenimento, al lustro e all’integrità patrimoniale della lussuosa (e costosa) magione che essi dedicano parte consistente delle loro energie. Per questa ragione, da generazioni, vige un accordo ereditario vincolante secondo il quale solo il maggiore dei discendenti può ereditare la tenuta, evitando così che essa venga divisa e perda il suo valore. Tale accordo dal sapore medievale prevede, inoltre, che solo i membri maschi possano avere diritto alla successione.

Considerate queste premesse, cosa accadrà alla morte di Robert Crawley dal momento che la sua vita è stata allietata da ben tre figlie femmine?
Un sovvertimento del vincolo è impensabile: nonostante l’affetto sincero che Robert Crawley nutre per le sue figlie, la tradizione di Downton Abbey è per lui sacra come una religione. Tanto che, nonostante la storia si svolga agli inizi del 1900,  la situazione appare piuttosto normale e sensata persino alle tre suddette rampolle.
Ciò che suscita invece lo sdegno generale, delle ragazze ma soprattutto della loro altezzosissima nonna (una straordinaria Maggie Smith), è che, secondo la consuetudine di Downton, ad ereditare sarà il loro lontano cugino Matthew che, orrore!, si guadagna da vivere lavorando. Probabilmente se fosse stato un debosciato o un alcolista avrebbe potuto sperare un’accoglienza migliore, ma la sua «borghesità» lo rende assolutamente volgare agli occhi delle sue blasonate parenti.

Se Matthew viene inizialmente accolto con freddezza, se non con ostilità, nella casa di cui si è inaspettatamente ritrovato padrone, il pubblico lo trova invece immediatamente simpatico. Sarà quella sua faccia un po’ pacioccosa da ragazzo inglese, saranno gli occhi azzurri o il sorriso indifeso ma gli spettatori sono subito dalla sua parte. Anche perché Matthew è un ragazzo onesto, con altissimi principi morali e che crede sinceramente nel valore del lavoro, persino ora che una così cospicua eredità gli è piovuta dal cielo. Matthew, e sua madre, incarnano il nuovo mondo e i nuovi valori che avanzano, mentre la famiglia Crawley è ancora disperatamente attaccata ad un universo di privilegi che, in realtà, ha i giorni contati.

La soluzione più semplice sarebbe, naturalmente, che la maggiore delle figlie dei Crowley, Mary, sposasse il cugino Matthew, cosa che al cugino Matthew non dispiacerebbe affatto perché dal primo momento in cui ha incontrato Mary non ha più smesso di pensare a lei. Mary, difatti, è bellissima e carismatica, ma viziata da innumerevoli corteggiatori, e certo non intende abbassarsi a sposare un uomo ricco ma non nobile; e,  soprattutto,  non accetterebbe mai di fare quello che le viene chiesto dai suoi genitori.

Se su un piano seguiamo con passione il confronto tragicomico tra nobili e borghesi nella nascente società moderna, su un altro possiamo seguire le storie dei numerosi membri della servitù,  afflitti da ben altre pene.
Il risvolto più ironico di questa struttura duplice della serie è costituito proprio dall’atteggiamento della servitù che si rivela spesso più reazionaria e tradizionalista, per non dire  più dichiaratamente snob, dei suoi padroni.
All’orecchio di qualche cinefilo quest’idea potrebbe risvegliare il ricordo di un ottimo film del 2001 diretto a Roberto Altman, Gosford Park e la cosa non dovrebbe sorprendere dal momento che il creatore di Downton Abbey è proprio Julian Fellowes, pluripremiato sceneggiatore di quell’eccentrico e raffinato giallo.

Downton Abbey non racconta una storia vera e propria ma ci trasporta in un altro mondo e ci consente di esplorarlo un po’ alla volta, scoprendo le vite di tanti personaggi, ognuno a suo modo interessante, dalla machiavellica nonna al silenzioso nuovo maggiordomo che nasconde un misterioso passato.
Downton Abbey è un prodotto di altissima qualità, adatto ad ogni tipo di pubblico. Al fascino un po’ lezioso della riproduzione oleografica è affidato, probabilmente, il compito di attrarre gli spettatori, ma Downton Abbey ha ben altro da offrire: sceneggiatura impeccabile, storie appassionanti, i migliori attori inglesi e una regia molto al di sopra degli standard del genere.

Titolo: Downton Abbey
Ideatore: Julian Fellowes
Network: ITV
Con: Maggie Smith, Hugh Bonneville, Elisabeth McGovern