Il femminile traumatizzato e il “pericolo” della sua natura divina

Viene in mente il titolo di un libro di racconti della scrittrice giapponese Banana Yoshimoto, Il corpo sa tutto. Oltre a sapere tutto, il corpo femminile trattiene, custodisce, a volte nasconde, o al contrario esibisce platealmente, la ferita d’origine. Il femminile traumatizzato (Persiani editore) racconta una storia antichissima, sempre reiterata, di repressione e annientamento del femminile da parte del potere patriarcale in Occidente; storia che al di là delle apparenze continua a reincarnarsi perché il trauma collettivo, storico-culturale, si manifesta ogni volta da capo in forma di ferita individuale ed esistenziale sulla pelle o sotto la pelle di ognuna. L’autrice, Rossella Sofia Bonfiglioli, antropologa e psicoterapeuta, dà un taglio originale a un’indagine ancora troppo minoritaria: rintraccia in chiave medico-antropologica attraverso il linguaggio dei sintomi la neutralizzazione della potenza femminile. Cosa è avvenuto nella storia? Come è stato permesso al femminile di esserci, esistere? A che prezzo? Cosa si è dovuto rimuovere e sacrificare di sé per non essere ‘arse’ ai roghi perpetui, almeno all’apparenza? L’operazione fondamentale è stata la repressione dell’istinto di aggressività femminile fino a raggiungere una convenzionale ‘ipoaggressività’, aspetto a tal punto ‘naturalizzato’ che nei secoli si è costruita un’iconografia  della donna all’insegna di debolezza, fragilità, dipendenza, depressione, malinconia come fossero suoi connotati di natura.

Icona di questo tradimento/travisamento, la Madonna, così come è rappresentata nell’iconografia convenzionale cattolica: passiva, inconsapevole, contenitore funzionale alla procreazione del figlio di dio, quando invece la vera divinità è in lei,perché vergine, ovvero non contaminata ma in contatto spirituale col cosmo. L’altra operazione decisiva compiuta dalla cultura patriarcale misogina è stata, appunto, l’aver privato il cielo e le stelle della componente divina femminile, l’aver spogliato la donna della sua divinità, obbligato le divinità a declinarsi al maschile o, al limite, al neutro. Con queste due operazioni di neutralizzazione del femminile, non è restato alla donna che fare del proprio corpo mutilato uno strumento di comunicazione, protesta, grido, ribellione, insurrezione, atto di accusa. Allora il corpo si è messo a bollire e ribollire, a fare il pazzo, a incutere terrore, trasformando in sintomi ‘psicopatologici’ la costrizione, la rimozione, la marginalizzazione, la censura subite a  poter essere sé, fino al capolavoro di comunicazione e strategia di resistenza creativa che è stata l’isteria al femminile deflagrata nell’Ottocento. Rendiamo grazie alle isteriche, è proprio il caso di dire, rendiamo grazie alle isteriche è l’invito delle autrice perché davvero loro è il regno dei cieli, non solo quello della terra dove l’imperio maschile le ha precipitate. Loro  hanno fatto esplodere le sbarre della galera, incrinato il grande edificio e dato avvio a una nuova storia: l’inizio della psicoanalisi considerata con il femminismo la grande rivoluzione del ‘900. Che poi quest’inizio sia stato segnato dal misogino patriarca Freud che, lo racconta il fallimento del caso di Dora, voleva aggiustare le cose secondo una solita logica maschile, e sia: ma proprio la scoperta dell’inconscio da parte di Freud “costringe la medicina e la psichiatria a interrogarsi sull’anima”, tappa fondamentale per  aprire la strada a una generazione di psicoanaliste-guaritrici fino alle luminose visioni di Luce Irigaray, filosofa e psicoanalista francese. Ora che la violenza esplode in tutto l’edificio sociale, forse è tempo di dare ascolto alla  divinità nella donna e trovare un dialogo tra maschile e femminile a cominciare dalle differenze.

In principio ci sono stati i miti fondativi che spiegano il nostro essere state messe a tacere da subito: il mito di Pandora, capolavoro e caposaldo della misoginia greca, “indica una delle grandi radici della stigmatizzazione del potere e della conoscenza del femminile all’interno della storia patriarcale dell’Occidente nella cui tradizione culturale il peccato originale viene strettamente legato alla donna, primaria latrice di tutti i mali”. Pandora riceve da Zeus un vaso con la raccomandazione di non aprirlo. Lei, curiosa, lo fa e libera tutti i mali del mondo. Resta al fondo del contenitore solo la speranza. Il corpo contenitore della donna conserva la speranza, ma contiene anche tutti i segreti più pericolosi, la ‘colpa’ iniziale che accomuna Pandora, Lilith, Eva: storie di disobbedienza a un logos maschile. E i miti stanno a raccontare “la repressione dell’intero complesso istintuale-creativo femminile” da parte dell’inconscio collettivo.

Il trauma di questa storia occidentale “o più propriamente la sua memoria incorporata è psicoterapeuticamente e antropologicamente da considerare come causa significativa (cioè dotata di senso, eppure poco nominata, cioè nascosta, misconosciuta) delle nuove sintomatologie che esplodono nel corpo femminile a cavallo tra l’Ottocento e il Novecento nel cuore dell’Europa razionalistica e scientifica moderna”. L’autrice rintraccia nei sintomi diagnosticati dalla biomedicina e biopsichiatria in chiave riduzionista sul corpo delle donne precise forme di resistenza, “critiche incarnate rispetto a ideologie di potere dominanti”. Ecco un repertorio di diagnosi nella storia medica occidentale: “stati alterati di coscienza (trance, possessione demoniaca, stregoneria, estasi mistica), disturbi psichici della personalità (manie ossessive, isteria, nevrastenia, nevrosi, schizofrenia), comportamenti compulsivi e dipendenza (cibo: anoressia, bulimia e sostanze: alcolismo, tossicodipendenze), scompensi bio-funzionali  associati al sistema circolatorio e immunitario (iper e ipo tensione, mal di cuore, stress e sindromi da fatica cronica), disagi associati al sistema nervoso (ansia, depressione, fobie, attacchi di panico)”. Cambiano le forme esteriori: dal corpo stregonesco siamo passati “al corpo isterico prima quindi al corpo nevrotico, bulimico, chirurgizzato, anestetico del Duemila”.

È evidente, secondo le indicazioni di Luce Irigaray cui l’autrice dedica un sentito omaggio e che ricorda per aver de-costruito gli scritti di Freud ma anche dialogato con essi in forme creative, che occorre ora più che mai passare da una cultura per secoli e tuttora a soggetto unico, all’insegna del pensiero maschile universale neutro, a una cultura che verta sulla differenza ignorata o rimossa: il corpo sessuato della donna non ridotto all’uno al medesimo. L’autrice ha ben imparato a riconoscere la persistenza dell’antico trauma e i suoi segnali corporei anche nella stanza della terapia delle pazienti attuali: “l’antico trauma può provocare una paralisi alle gambe o alle braccia, può dare dolori cronici alla cervicale o alla schiena, può produrre una sindrome da affaticamento cronico o una grave amenorrea, emicranie, sintomi respiratori o gastrointestinali, coliche, incubi, visioni, pianti improvvisi”: tutti segnali non solo di un abuso sessuale magari subito nell’infanzia, quanto di un antico trauma individuale storico-culturale che ha provocato nella donna “un disordine intimo, una sofferenza un’assenza, una mancanza di senso”. Ecco perché la relazione di cura, gli strumenti della psicoterapia vanno integrati con gli strumenti culturali dell’analisi medico-antropologica. E il senso della donna, la realizzazione del sé, si realizzerà quando le verrà restituito ciò che le è stato amputato: la sacralità incarnata, il dono dell’integrità spirituale, l’essere collegata con il cosmo. “Attraverso il vasto continente della vita di una donna si disegna l’ombra di una spada, attraversare l’ombra della spada si può rendere la vita di una donna molto più interessante, ma anche più pericolosa”, scrisse Virginia Woolf. Bisogna correre il pericolo di tornare divine.

 

Titolo: Il femminile traumatizzato.
Un’analisi medico-antropologica nella cultura patriarcale in occidente

Autore: Rossella S. Bonfiglioli
Editore: Persiani
Dati: 2011, 172 pp.,  16.90 €

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