Il piccolo principe in noi: come essere giardinieri e non termiti

‘Un serpente che non cambia pelle muore’: per Nietzsche, lo psicologo tra i filosofi, la vita è metamorfosi circolare, estremo dispiegamento di forze per arrivare al punto di partenza. Itinerario per diventare esattamente quel che si è già, ricongiungersi alla totalità dell’essere, al bambino interiore perduto. Segue l’insegnamento di Nietzsche con poetica semplicità e schietta forza divulgativa, Mathias Jung (solo un caso di omonimia con il grande psicoanalista svizzero), filosofo e psicoterapeuta tedesco, in un avvincente libro che rintraccia Il piccolo principe in noi, ed è un viaggio di ricerca della nostra vera identità con Saint-Exupéry, come recita il sottotitolo.

Della favola spaziale del piccolo principe è assodata la fortuna mondiale e la capacità di presa su intere generazioni  in ogni parte del globo: è ascesa al cielo dei long seller; è stata rielaborata in forma di piece teatrale, spettacolo di marionette, balletto e musical di Broadway, di recente è diventata cartone animato tridimensionale. Indelebile è il fascino dell’invenzione che in parte coincide profeticamente con il destino tragico di Antoine de Saint-Exupéry, il poeta aviatore che la concepì. Mancava però una lettura della favola dal punto di vista della psicologia del profondo; Mathias Jung fa questa operazione di ‘ermeneutica psicoanalitica’, ma senza porre distanze, anzi calandosi lui stesso nella narrazione, ripercorre le stesse tappe del viaggio fatto dal piccolo principe, ritrova la stessa galleria di personaggi, si pone agli stessi crocicchi  tra vita, morte, amicizia, amore. Il risultato è un breve trattato di psicologia intessuto di narrativa, supportato da una compagnia di filosofi e da altri riferimenti letterari e poetici. M. Jung ci tiene a dire che Il piccolo principe, seppur tanto celebrato e riconosciuto a livello mondiale, è tutt’altro che ‘un dolce soufflé letterario’. Se al teologo e psichiatra tedesco, Eugen Drewermann, è parso essere  ‘un breviario della speranza’ e ‘un vademecum dell’amore’, all’autore pare essere soprattutto un itinerario, non nella mente di Dio ma dell’uomo, a cominciare dalle paure.

Infuria la seconda guerra mondiale, l’Europa è in fiamme. Con il sentimento della paura, la sensazione del pericolo incombente e insieme d’impotenza, Saint-Exupéry, ufficiale dell’aviazione francese riformato per limiti d’età e costretto per tre anni all’esilio forzato tra New York e Long Island, scrive ‘Il piccolo principe’. Vorrebbe tornare sul fronte nordafricano e partecipare alla liberazione della sua patria. Non può, non gli resta che scrivere, il racconto, pubblicato nel 1943, come fosse di auto terapia letteraria per lenire l’angoscia esistenziale. D’altra parte, la paura fa parte della sua storia, come di quella di ogni bambino perché componente ineliminabile della vita; della sua da che disegnò il boa che mangia l’elefante. Il piccolo principe viene da lontano: contiene le memorie dell’infanzia, la storia del ‘piccolo re’ (così era soprannominato in famiglia Antoine per via dei suoi riccioli biondi) segnato da gravi lutti: a soli tre anni la morte del padre, poi del fratello minore e amico preferito, Francois, poi della sorella Gabrielle. Con la prima guerra mondiale, l’infanzia finisce bruscamente: Antoine è mandato in collegio dai gesuiti; si difende diventando un timido sognatore, tanto è che viene soprannominato pique la lune, pizzica la luna: c’è già in embrione l’essenza del piccolo principe. Il salto dal mondo sconfinato e assoluto dell’infanzia a quello delle rimozioni  e imposizioni degli adulti, è drastico. All’inizio del racconto, il pilota è bloccato in mezzo alla sabbia del deserto del Sahara, forse è precipitato o si è trattato di un atterraggio di fortuna, di quelli che capitarono anche al suo autore. Di certo è in una situazione di crisi, la più grave crisi della sua vita. Senza crisi, non c’è  avanzamento psichico e spirituale. Si precipita ed essere ipocondriaci non serve, le ‘condotte di evitamento’ peggiorano la situazione: la crisi, annota M. Jung, ‘è imposta dalle leggi della vita’; serve a mutar pelle come accade al serpente di Nietzsche: nell’essere umano è processo doloroso e in solitudine, nel deserto. ‘Il piccolo principe è il racconto della crisi e della liberazione dell’essere umano’. Lo scenario è il deserto, il non luogo degli asceti, dei profeti, di Gesù e Maometto, per incontrare se stessi. Da cosa scaturisce la crisi? Dal fatto che l’essere umano viva la lacerazione, abbia perso ‘la patria della fede infantile’,  non una parte qualsiasi di sé ma il proprio dio interno.

Nel deserto, il pilota del racconto incontra ‘una straordinaria personcina’, un bambino regale e melanconico che lo scruta con molta attenzione. È un alieno il bambino arrivato dall’asteroide B 612? Secondo l’interpretazione delle fiabe data dalla psicologia del profondo, è il suo alter ego, il bambino che giace in lui, non schiacciato dall’essere sociale e dalle censure.  È il ‘diventa chi sei’ dell’indicazione  nietzschiana. Il pilota è caduto dal cielo delle sue illusioni perché quella non era la sua vita vera; in sette giorni che trascorre nel deserto, (il tempo della creazione universale),  guidato dal suo ‘bambino interiore’ cerca e trova la fonte da cui sgorga l’acqua della vita, va all’essenza. Saint-Exupéry, secondo M. Jung, è tornato alle sue origini, a  pique la lune nel creare il suo principino e  al se stesso dell’infanzia ha eretto un monumento. Voleva tornare all’incantesimo di un essere umano incorrotto, vivo, creativo; al bambino che è il nucleo centrale dell’individuo e dunque della civiltà umana; voleva offrire un modello di umanità da preservare oltre il tempo breve della vita individuale. Il bambino racconta all’aviatore di un fiore lasciato sul suo pianeta che accudiva  con tanto amore, una rosa bella ma con quattro spine pungenti, tenuta sotto vetro. Facile per l’autore scorgere nella rosa che  ha tracce di ipocondria e narcisismo isterico, l’alter ego di Consuelo, moglie di Saint Exupéry, con cui ebbe un rapporto coniugale burrascoso, costellato da infedeltà da parte di lui e incomprensioni reciproche. Il principino cerca chi gli disegni una pecora perché mangi i baobab che mettono in pericolo la rosa: di quanti baobab e forze dell’ostacolo è tramata la vita?   Ha abbandonato la rosa che ama perché solo smettendo di esercitare il possesso su chi dichiariamo d’amare, possiamo esplorare i territori sconosciuti della nostra psiche; la separazione è necessaria per riconsiderare la sincerità degli affetti e trovare noi stessi. M. Jung osserva che nelle favole classiche gli eroi compiono il loro percorso di individuazione attraversando perigliose foreste e sottoponendosi a prove iniziatiche.

Il piccolo principe, invece, prima di approdare sulla terra, fa esperienze tra i pianeti esplorati, sei, e incontra altrettanti personaggi. Questa è una favola galattica. Chi sono questi personaggi? Alieni? Loro sì che lo sono in quanto parti della nostra personalità ‘Ombra’, per dirla con Carl Jung che stentiamo a riconoscere come nostre. È una parabola che è anche una parata di tipi oggettivi all’apparenza, quest’avventura spaziale,  attraverso la quale il poeta aviatore ha afferrato “per così dire la kafkiana ascia per rompere il mare congelato dentro di noi”. Ecco l’imperatore, avido di potere; tra i disturbi psicopatologici, lo si direbbe affetto da maniacalità. Ecco il vanitoso, nei cui tratti si riconosce il disturbo del narcisismo, di cui M. Jung trova tracce in tutti noi, oltre che tra i suoi pazienti. L’ubriacone che si vergogna d’esserlo, e immalinconisce il principe nel terzo pianeta, incarna tutte le dipendenze e i meccanismi di dipendenza: “trova in noi milioni di complici nei più diversi ambiti di dipendenza”, un modo nevrotico di dare soluzione dei conflitti e nascondere i problemi interiori.  L’uomo d’affari con il cuore di pietra del quarto pianeta porta con sé ben due dipendenze: è drogato dal lavoro e ossessionato dal possesso. In questo caso, secondo il filosofo-terapeuta, Saint- Exupéry ha voluto drammatizzare la persona-avere (contrapposta alla persona-essere secondo l’elaborazione di Fromm) per cui meta dell’esistenza è il possesso. Tanto è che costui passa il tempo, o lo ammazza per meglio dire, contando le piccole cose in cielo, che neanche chiama stelle perché sarebbe riconoscerle quale parte di una vita di cui non è proprietario. La persona essere si sente parte di un universo che è prima e sarà dopo di lui; fluisce nel mare dell’essere;  impiega le sue facoltà fisiche e spirituali nella ricerca “di un’armonia vitale con il mondo”.  Il lampionaio del quinto pianeta, ossessionato dalla sua consegna, passa la vita ad accendere e spegnere il lampione una volta al minuto, secondo i tempi imposti dalla velocità di rotazione del minuscolo pianeta dove sono soli, il lampione e lui, condannato a uno stato di torpore. Incarna la nevrosi di chi ha ricevuto nell’infanzia un copione familiare rigido e castrante, costringendosi a un dovere che mutila l’essere: solo riconoscendo i messaggi condizionanti introiettati si può liberare l’identità, ma ciò richiede il coraggio di abbandonare l’ingannevole sicurezza  e affrontare le angosce della transizione. Infine il geografo dell’ultimo pianeta, un personaggio che è tutta teoria, scrive enormi libri, ma ignora la terra come è fatta davvero, rappresenta per M. Jung la scienza senza anima che funziona secondo la legge della causalità e considera la natura come organismo inerte da controllare e sfruttare. Giunto sul pianeta terra, il bambino fa una serie di incontri: il serpente che gli impartisce una lezione sulla solitudine e la finitezza umana; un indaffarato controllore non sa capire la ragione per cui la gente va avanti e indietro sempre di fretta (l’invito implicito e attualissimo è la riscoperta della lentezza, il ritorno a cicli naturali).

L’incontro con la volpe è una parabola sull’amicizia. L’animale chiede d’essere ‘addomesticato’, in principio il bambino non capisce, non ha esperienza. L’amicizia richiede d’essere ‘addomesticata’, di avviare un lungo processo di fiducia, di creare un legame, “di essere aperti all’altro e saper tacere”, di accoglierlo fino all’accettazione incondizionata. Anche l’amore è costruzione paziente, faticosa, pericolosa, obbliga a mettere a repentaglio la propria stessa vita. Non puoi costringere in una campana di vetro il tuo presunto amore, la rosa di superba bellezza: le spine trafiggono lo stesse. La scoperta di altre rose, sul pianeta terra, all’inizio provoca un disinganno nel piccolo principe. Ovunque ci sono rose, ognuno è sostituibile, nessuno ha un primato d’amore. ‘Tua’ è la rosa che scegli, curi, coltivi, a cui dedichi il tuo tempo. Non è la proiezione di un io debole a creare un vero legame. Nascono quelle che M. Jung chiama ‘unioni di emergenza’, fondate su bisogni regressivi. L’ultimo significativo incontro è con un venditore di pillole che calmano la sete, facendo risparmiare un sacco di tempo. Ma il principe fa al pilota, che non è riuscito a riparare l’aereo e ha terminato la scorta d’acqua, una proposta assurda e ingenua che solo un bambino può fare: “Anch’io ho sete… cerchiamo un pozzo… “. Con il suo bambino interiore in braccio, il pilota trova l’acqua nel deserto. Il poeta Hölderlin scrisse: “dove c’è il pericolo, cresce anche ciò che salva”. Chi mette in gioco l’identità di facciata, trova la fonte. L’ultima prova è la morte. E torna la paura, il sentimento dell’ineluttabile. Il pilota deve separarsi dal bambino divino che, a differenza di lui, è pronto al passaggio e lo consola. Compiuto l’itinerario psichico, “accettare la morte significa liberarsi”. Il pilota supera la prova della solitudine quando capisce che il bambino vive in lui, è nella sua interiorità. Il bambino anagrafico che è stato non c’è più, è morto; resta il “nostro peculiare universo spirituale infantile splendente e indistruttibile”.

Un anno dopo aver scritto il libro, anche Saint-Exupéry “come il piccolo principe ha lasciato il mondo pronto a morire”. Il 31 luglio 1944  decolla dalla Corsica per un volo di ricognizione sulla Francia occupata; non farà più ritorno. Di lui non è rimasto che un bracciale da polso d’argento con incisi il suo nome, quello della moglie Consuelo, e l’indirizzo del suo editore di New York, che un pescatore nel 1998 ha sottratto alle profondità del Mediterraneo. Come presagendo di poter morire, lo stesso giorno del 1944 aveva scritto a un amico: “Se dovessero abbattermi, non rimpiangerei assolutamente nulla. Il termitaio del futuro mi fa orrore. Odio le qualità da robot delle termiti. Sono stato creato per essere giardiniere”.

 

Titolo: Il piccolo principe in noi. Un viaggio di ricerca con Saint-Exupéry
Autore: Jung Mathias
Editore: Ma. Gi. (collana Lecturae)
Dati: 2002, 104 pp., € 12.00

Acquistalo su Webster.it