Una parabola giocosa

C’era una volta un negozio di giocattoli, con topi, elefantesse e foche meccaniche che di notte si animavano. Il loro sogno era quello di appartenere a un bambino e, nell’attesa, si raccontavano dubbi e speranze profondamente umani. È quindi una favola Il topo e suo figlio, ma per tutte le età, come ogni favola che si rispetti.

La storia vera e propria parte quando padre e figlio, posti l’uno di fronte all’altro a formare un unico giocattolo, finiscono in una discarica: un vagabondo gira la molla e i due partono, il padre guardando il mondo e il figlio di spalle. Presto si trovano a dover affrontare una lunga serie di avventure spaventose, che mettono continuamente a rischio la loro pelle. Sì, perché loro una pelle ce l’hanno e, esattamente come due umani, coltivano il sogno di caricarsi da soli, ponendo fine alla dipendenza da chi lo faccia per loro. Perché, proprio come due uomini, ciò di cui hanno bisogno è trovare la propria strada, salvo scoprire alla fine che questo è possibile, a patto di non rinunciare alla compagnia dei propri simili, tutti altrettanto bizzarri, fragili e smaniosi di vita. Ed è così che durante il loro vagabondaggio, reso possibile, di volta in volta, da personaggi diversi, si imbattono in Ratto Manny, che rappresenta il possesso e lo sfruttamento dei deboli; Topo Muschiato, un saggio roditore da cui tentano di apprendere il segreto dell’auto caricamento; Ranocchio, un oscuro profeta e Serpentina, una testuggine capace di riflessioni metafisiche. Sullo sfondo, battaglie di toporagni, dighe di castori e cornacchie attrici. Ogni incontro si trasforma in un’occasione e ogni personaggio in un simbolo carico di significati, a partire da padre e figlio: l’uno rappresenta la concretezza e, allo stesso tempo, la sfiducia di riuscire a cambiare le cose; l’altro, in quanto nuovo alla vita, è invece l’approccio genuino e sognatore.

Terra e cielo, dunque, uniti da due piccole mani di latta. Entrambi attraversano foreste, fiumi e città, ambienti qualche volta belli e molto spesso tetri, con la speranza di ritrovare l’elefantessa, la foca e la casa delle bambole, anch’essi finiti in una discarica. E soprattutto un territorio che li ospiti e rappresenti per quello che sono. Alla fine, tutti si rincontrano, uniti dalla lotta contro Ratto Manny, ognuno sgangherato e mutilato dal viaggio della vita ma forte della presenza degli altri e del desiderio di stare insieme. A colpire di questo breve racconto è la ricchezza del linguaggio, unita alla profondità dei messaggi rivelati da un ambiente metaforico o da un dialogo surreale. Senza per questo rinunciare all’immediatezza e alla suspence proprie delle favole. Il topo e suo figlio è insomma una rielaborazione del mito della Caduta, dove per caduta si intendono esperienza e conoscenza, che portano con sé danni e dolore ma anche grazia e coraggio. E’ una sorta di commedia esistenziale che non può non ricordare Finale di partita e Aspettando Godot di Samuel Beckett. Si parla infatti di verità ultime (che non esistono): “Ah, there’s nothing on the other side of nothing but us”.

Titolo: Il topo e suo figlio
Autore: Hoban Russell
Editore: Adelphi
Dati: 2008, 175 pp., 10,00 €

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