Il viaggio futurista di Pablo Echaurren nel paese dei bibliofagi

Nel paese dei bibliofagi Pablo Echaurren è re. Insieme alla moglie (la studiosa Claudia Salaris), regna su un impero di carta e latta che costituisce semplicemente la più grande collezione italiana ed europea consacrata al Futurismo italiano. Una collezione costruita nel corso di trent’anni di ricerche con rigore, pazienza e costanza. E soldi. Tanti soldi. Chi voglia imbarcarsi nella fascinosa avventura di collezionare Futurismo è bene che lo sappia: ad oggi, i prezzi di una qualsiasi pubblicazione futurista – appartenga essa alla tipologia delle riviste o dei periodici, che i Futuristi crearono a decine, dei libri o di quel particolare genere di collectables cui si dà il poetico ed erotizzante nome di ephemera – oscillano da un inesorabile minimo di 500 a un imprecisabile massimo di svariate millemila migliaia di euri.

Nulla da stupirsi, dunque, se protagonista del racconto di Echaurren è, prima e più dei libri e materiali vari di cui si compone la sua collezione, la pecunia necessaria a soddisfare l’onnidivorante passione bibliofila. Nel paese dei bibliofagi non è infatti un contributo critico alla storia del Futurismo. Non è una bibliografia o inventario delle pubblicazioni futuriste (quella arriverà presto, ovviamente approntata dal duo Echaurren-Salaris; e da chi, sennò?). Né tantomeno è un’autobiografia (non solo), o un’autocelebrazione, o un autoerotismo promozionale, o un tardivo auto-da-fé. Nel paese dei bibliofagi è né più né meno che un manuale di guerra, e Pablo Echaurren è il Sun-Tzu dell’aspirante bibliofilo.

Già, perché nient’altro che una guerra – o perlomeno un gioco sottile e molto, molto crudele – è quella che si instaura tra il bibliofilo e il suo alter ego avversario, il libraio antiquario: una guerra tanto più dura quanto inevitabile, trovando la propria ragion d’essere nell’ordine naturale delle cose, nel rapporto necessario cacciatore-preda, nelle stesse rispettive fisiologie delle parti in causa. “Se la carta è prodotto della filiera vegetale,” scrive infatti Echaurren “ne discende che i bibliofagi appartengono alla categoria degli erbivori e, da sempre, nella catena alimentare, gli erbivori sono il cibo prediletto dei carnivori che li attendono famelici all’ora dell’abbeverata… I librai sono i carnivori, i più pericolosi, i più voraci, i più mendaci”.

Essendo di simile guerra un veterano (addestrato a suo tempo da quel gran bibliofilo, uno dei più grandi del suo tempo, che fu Roberto Palazzi), Echaurren ci porta dietro le quinte del commercio librario antiquario svelandocene profili, segreti, trucchi, tattiche, ossessioni, pulsioni e sindromi. Descrivendo tipi psicologici (spesso più o meno deviati). E mischiando aneddoti e racconti a preziosi consigli, frutto dell’esperienza di una vita di collezionismi (prima il Futurismo, poi la controcultura, ora i bassi elettrici), su come raggiungere lo scopo principale che ogni guerra si prefigge: ottenere il massimo profitto con il minimo di perdite (di denaro). Ed ecco allora – un esempio tra tanti – i sotterfugi e le mascherate per impossessarsi del misteriosamente introvabile Musica futurista per orchestra di Francesco Balilla Pratella (1912), divenuto poi proprio in quell’occasione – ironia della sorte – trovabilissimo.

Sullo sfondo di queste lotte per la conquista del pezzo mancante, dell’ultima figurina, del reperto sommerso o occultato, la storia di due epoche che si intersecano su diversi piani temporali, si fraintendono, si riscoprono e si comprendono, alla fine, più simili del previsto, per creatività, inventiva, desiderio di innovazione e di propulsione avanguardista: Il Futurismo e la controcultura del 1977 e seguenti, gli anni in cui Pablo Echaurren comincia la sua ricerca. E ci voleva del coraggio a cominciarla proprio allora, quando ancora (agli occhi di chi parla senza affaticarsi ad accendere il cervello) Futurismo significava tout court Fascismo. Poco importa se poi molte delle persone che allora gridavano alla rivoluzione, quella vera, quella che volevano fare loro, mica quella futurista=fascista, quelle “persone in carne & ossa che prima chiamavano compagni e dicevano che volevano un futuro migliore e poi che quel futuro s’è rivelato davvero migliore, ma per se stessi mica per il prossimo”, abbiano poi infilato un colletto bianco per godere dei benefici di quel mondo che, per loro fortuna, non erano riusciti a cambiare. Come dire, dall’incanto rivoluzionario al disincantato conto-bancario.

E poi l’infinita galleria di personaggi loschi, eccentrici, alieni o alienati, residuati bellici, creature indecifrabili, che sfilano tra le pagine facendo da comprimari delle avventure del collezionista-futurista Echaurren: quei librai antiquari, mostruosi e temibili ma ahimè necessari, che si maledice ma di fronte a cui ci si immola, supplicandoli anzi di sferrare il colpo letale a noi e non ad altri, ognuno dei quali rappresenta quasi un archetipo mitologico prodotto da qualche immaginario distorto. Come quel Gianni Catizzo che quando Echaurren ci va per la prima volta “per me era semplicemente il 1981, per lui l’anno LIX E.F. cinquantanovesima dell’era fascista, come si ostinava a riportare sui suoi stampati… Era dunque arduo intendersi, se non ci trovavamo d’accordo neanche sulla data dell’appuntamento, figuriamoci sul resto”.

Anche se dei veri e propri contenuti del libretto di Pablo Echaurren vi accorgerete soltanto la seconda volta che lo leggerete. Perché la prima la impiegherete a lasciarvi scivolare sulla personalissima innovatività linguistica della narrazione, tutta costruita su rime interne, giochi di parole, stravolgimenti di significato, ossimori, onomatopee, equivoci verbali, doppi sensi… Un intero repertorio linguistico e fonetico che all’inizio vi farà pensare che l’autore vi stia amabilmente prendendo per il culo, ma di cui dopo le prima pagine capirete la profonda forza cata-strofica, unita alla capacità del collezionista Echaurren di immedesimarsi per altre vie nell’oggetto della sua collezione, facendolo proprio, reinventandolo, sfruttandone le ancora vive potenzialità di senso per nuovi scopi. Rivivificandolo, insomma.

In questo, Pablo Echaurren è senz’altro un futurista: un futurista del XXI secolo. E pazienza se nelle sue pagine non troverete i vari zang zaaang tuumb, o coridindoli didli bobli, o altri simili borborigmi dall’immaginario collettivo identificati con la cifra caratteristica della letteratura futurista. La carica di una rivoluzione non prevede mica la pedissequa imitazione del proprio modello. Il futurista Echaurren si appropria in primo luogo dell’essenza della rivoluzione che colleziona. Se i più arditi sperimentatori marinettiani avevano cercato di creare un nuovo linguaggio, Echaurren smonta e ricostruisce quello corrente, piegandolo ai propri scopi, mostrandoci nella scrittura le infinita possibilità espressive della parola, così come su tela ci mostra quelle dell’immagine. Il risultato è una fantasmagoria di suoni e suggestioni che può tranquillamente permettersi di dare del tu alle creazioni parolibere di cui tratta. E se, dopo aver letto il suo libro, sentirete ancora dire che i bibliofili collezionano l’opera altrui per compensare l’incapacità di produrne di proprie, be’, allora saprete cosa rispondergli.

P.S. Un consiglio spassionato. Se volete avventurarvi in una collezione bibliofila più che dignitosa, approfittate della tendenza dei bibliofili a muoversi in ritardo collezionando libri del passato, siate previdenti e portatevi avanti: collezionate il bellissimo (e benissimo confezionato) catalogo della casa editrice Biblohaus. Fra qualche anno, quando qualcuno cercherà – ad esempio – il Questo è Berni di Simone Berni con sovracoperta originale (nel frattempo divenuta introvabile, come vuole il destino di ogni sovracoperta che si rispetti), mi ringrazierete.

Titolo: Nel paese dei bibliofagi. Giornale di bordo di un collezionista futurista
Autore: Pablo Echaurren
Editore: Biblohaus
Dati: 2010, 220 pp., 15,00 €

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