La vita è sogno? Non chiedetelo a Danny Boyle

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In Trance, ultima fatica di Danny Boyle, è costruito su un modello di sceneggiatura che suonerà arcinoto anche alle orecchie dello spettatore più sciatto e svagato. Questione di mode. Occorre, si sa, tenere vivo l’interesse. Purché qualcosa accada: che al cinema (che è spettacolo nella essenza) vuole dire niente. Gli ingredienti: trame intricatissime, delle quali non si riesce proprio a venire a capo (è probabile che gli stessi sceneggiatori, rapiti dal turbine della scrittura, perdano ad un certo punto le fila del discorso); personaggi monolitici, troppo candidi o troppo sofisticati, traviati dall’unico, ingombrante desiderio di individuare il bandolo di una matassa in via di irrefrenabile espansione; realtà e finzione sovrapposte in un assurdo gioco di ritorni eterni della storia; sangue; armi; cuori infranti; mani levate troppo in fretta pur di tenere la tensione congelata, arrancante, per tutto il tempo della pellicola. La somma di queste parti rende ragione di un prodotto che conoscerete troppo bene, nel quale lo stesso Boyle (a cui  non sappiamo non guardare con occhi colmi di gratitudine), da qualche trama a questa parte, è incappato.

Confesso di avere qualche difficoltà a individuare il vero protagonista della vicenda (ve ne è uno, siatene certi). A detta del regista stesso, al centro della storia dovrebbe esservi per la prima volta (quote rosa?) una donna, la conturbante Rosario Dawson (il cui nudo frontale troverebbe ispirazione, bontà del regista, nella pittura di Goya) nella parte della ipnoterapeuta Elisabeth Lamb. Abbiamo riserve sul merito: la complessità della trama è tale da impedire anche al più meticoloso degli osservatori esterni di stabilire un centro di equilibrio (sempre necessario, nella struttura di un film di genere, al fine di reggere, rassegnate le digressioni, le sorti complessive della storia). Poniamo quindi, per opportunità, che il protagonista sia il pur bravo James McAvoy (forse poco azzeccata l’aria da bravo ragazzo data al personaggio) nel ruolo di Simon, giovane banditore d’asta, giocatore d’azzardo, ricoperto di debiti, e per questo costretto ad aiutare il delinquente Franck, interpretato da un ingessatissimo Vincent Cassel (del tutto fuori parte e, probabilmente, fuori di ogni luogo e tempo massimo) a rubare un dipinto di Goya per risollevare la sua precaria situazione economica. Ma durante il colpo sorge un problema: Simon si ribella (ha un piano per tenere il dipinto tutto per sé), Franck lo colpisce alla testa, procurandogli una amnesia. Nella borsa (in cui avrebbe dovuto trovarsi il dipinto), passatagli da Simon durante il furto, Franck non trova nulla. Così, assieme ai suoi scagnozzi, mette sotto torchio Simon stesso al fine di ritrovare il malloppo. Ma Simon, preda dell’amnesia, non riesce a ricordare. Spetta quindi all’ipnoterapetuta Rosario Dawson aiutare l’impacciato Simon/McAvoy a recuperare la memoria. Da questo punto di non ritorno in poi la storia si misura con l’incongruo gioco di rimandi di cui dicevamo.

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Da questo punto in poi la densità degli stratagemmi narrativi è tale da ridurre la trama a un mero esercizio di stile, gioco compiaciuto, il cui carattere di autoreferenzialità grava pesantemente sull’inesorabile dissolversi di ogni verosimiglianza. Allo spettatore non resta che abbandonarsi al vorticare della giostra, coltivando con pervicace ottimismo la speranza di scendere il prima possibile, di capirci qualcosa, di trovare la luce. Pure, l’invocato spiegone finale non arriva mai.

La regia di Boyle asseconda l’impeto da maniaci del “nulla è come sembra” degli sceneggiatori, prestando alla causa tutto il suo impegno di regista dal cuore grande e appassionato, sprezzante delle regole e fiero seguace delle approssimazioni, degli sguardi sghembi, delle tensioni affettate. Pare che al regista importi solo di portare a casa l’ennesimo dramma umano.

La fotografia patinata di Anthony Dod Mantle fissa il suo occhio complice su una Londra troppo raffinata; non si cura del degrado delle periferie (cui guarda sprezzante); mira solo a soddisfar se stessa, perentoria, ignara di tutto.

Un film modesto: aggrovigliato, ammiccante, ruffiano, interamente telefonato.

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In Trance 
Gran Bretagna, 2012
di Danny Boyle
con James McAvoy, Vincent Cassel, Rosario Dawson
101 minuti

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