Incontrarsi senza comprendersi nel fondo senza fondo scovato da Eraclito

“Scendi nel profondo dell’anima ma non troverai mai il fondo perché questo fondo è senza fondo”.  Se pensiamo che nel V secolo a.C. Eraclito aveva individuato nell’illimitatezza inquietante la materia costitutiva del nostro essere ed esistere, ben poco resta da dire. L’incomprensibilità, l’irrappresentabilità e il vuoto esistenziale, sono il fondamento della vita umana ancor prima che ‘giochi’ della mente o sue derive. Premesso che siamo tutti intrisi di incomprensibile che giace nel fondo come in superficie, che a volte si espande in forma di magma caotico, che è mistero frastornante per se stessi prima che per gli altri, c’è un solco ermeneutico segnato e di volta in volta tracciato ex novo da instancabili cercatori di senso che hanno segnato l’era moderna. L’intenzione era ed è comprendere la psiche, pure nella modalità del delirio e della sua rappresentazione; avvicinare la o le psicosi, l’esistenza schizofrenica, i contenuti che le sono propri.

Grande e partecipe se non partigiano scrutatore dei mondi psichici è stato Bruno Callieri, medico-antropologo, come lui stesso amava definirsi sempre più negli ultimi tempi, recentemente scomparso, consigliava il voto di povertà come condizione preliminare così da arrivare nudi all’incontro con il mistero dell’altro. Cercatore di senso e costruttore di ponti, tra psicoanalisi e fenomenologia con lo sguardo attento al rapporto tra psicoanalisi ed ermeneutica, è Giuseppe Martini, psicoanalista e primario psichiatra presso il Dipartimento di salute mentale Roma E, grande studioso di Paul Ricoeur. Martini ha pubblicato La psicosi e la rappresentazione (Borla, 2011), al culmine di un preciso itinerario di ricerca e di vissuto da terapeuta (tra i titoli precedenti: Ermeneutica e narrazione; La sfida dell’irrappresentabile). Di psicosi e rappresentazione, o psicosi e irrappresentabile (per l’autore avrebbe potuto avere anche questo titolo), si è parlato nel corso del seminario tenuto dallo stesso Martini presso il Centro italiano di psicologia analitica di Roma, dal titolo Incontrarsi senza comprendersi: la relazione analitica con il paziente psicotico. Secondo l’autore il delirio, sulla scia della lezione di Jaspers, è esso stesso rappresentazione sia pure abnorme o, appunto, incomprensibile. Incomprensibile più che all’osservatore a chi lo vive, soprattutto all’esordio della malattia. Così nella presentazione della psicoanalista Cipa Angiola Iapoce in agile equilibrio tra filosofia, fenomenologia e psicoanalisi, che ha citato Callieri: “Ogni incontro psicoterapeutico è una ricerca di dicibilità”, e a proposito del tu: “resta sempre l’alterità che si pone di fronte” anche se il rischio è lo scacco della comprensibilità. Callieri, celebrato come amico e maestro, aveva scritto proprio la prefazione al libro di Martini (una delle ultime sue tracce). Non è un caso che il libro abbia doppia prefazione, quella di Callieri di matrice fenomenologica; l’altra di Antonello Correale di impronta psicoanalitica.

Dalla prefazione di Callieri sono stati ‘isolati’ nel corso del seminario due passaggi fondamentali. Il primo dove scrive che “si deve insistere sull’opportunità di distinguere tra le rappresentazioni e la rappresentazione; forse proprio quando le rappresentazioni sembrano dileguarsi e la persona non è più sommersa dalla loro pesante insignificanza, appare la rappresentazione pienamente legata all’accadere ma che pur dovrà verificarsi: l’avvistamento della nuova terra di Colombo…”. Qualcosa di rilevante accade sempre e comunque; c’è un’intenzionalità persino nella condizione psicotica. Il secondo passaggio è quello in cui, a proposito della crisi psicopatologica della rappresentazione, Callieri scrive che è “da intendersi non solo come un ‘qualche cosa’ che arrivi, come un asteroide, ma che sia anche e forse soprattutto, il cammino che, dispiegandosi nell’esteriorità di uno slancio vitale ci consente di essere-al-mondo e tracciarvi una figura in situazione”. Psicosi e schizofrenia sono caratterizzate da una “drammatica disgregazione della rappresentazione”, punto chiave di tante indagini a cominciare da uno dei primi studi di Jung sulla psicologia della cosiddetta dementia precox. Dagli esordi infatti, ha ricordato Martini, la psicoanalisi ha avuto uno stretto connubio con la psichiatria. Un rapporto problematico ma fecondo che ha giovato alla  psichiatria nord-americana ed europea finché si è interrotto quando la psichiatria si è appiattita sulla matrice biologista. Al punto attuale del viaggio di esplorazione, lo psichiatra-filosofo Martini ritiene che la vera sfida sia “proporre un modello alternativo, psicodinamico, da parte di chi lavora nella psichiatria per uscire dalle secche del riduzionismo”. In quanto alla psicoanalisi, la svolta c’è stata quando si è smesso di scandagliare le fantasie  primitive dei pazienti psicotici per soffermarsi sull’incapacità totale di elaborare una rappresentazione delle cose, delle persone, delle relazioni. Fino a far emergere il concetto di vuoto, studiato soprattutto da Salomon Resnik, quindi la condizione di deserto della mente, morte psichica.

Dopo aver enunciato i maggiori contributi nel corso di un secolo e più alla comprensione della schizofrenia, quindi i meccanismi prevalenti del pensiero psicotico (esistenza negativa, tendenza a penetrare negli oggetti, terrore panico dinanzi alla simbiosi, alternanza vuoto/pieno, alterazione delle funzioni di simbolizzazione, onnipotenza del pensiero, narcisismo), Martini ha circoscritto il delirio all’ esigenza dello schizofrenico di ridurre l’angoscia senza nome, darle un nome anche se questo meccanismo si rivela fallimentare. “Ogni non senso portato agli estremi raggiunge il punto in cui distrugge se stesso”, scrisse il celebre psicotico Daniel Schreber, presidente del tribunale di Dresda, caso celebre studiato da Freud, nelle sue Memorie di un malato di nervi. Il delirio si configura allora come modalità o tentativo di distruggere il non senso, il senza fondo con cui  ogni essere umano impatta prima o poi nel corso della vita, annullandolo. È, insomma, la grande illusione dello psicopatico: “Se la mente umana trae nutrimento dalla configurazione dialettica tra la rappresentazione e l’irrappresentabile, la rottura di questa dialettica diventa il fondamento della psicopatologia e della schizofrenia”.

La psicoterapia delle psicosi richiede dunque “di lavorare su un duplice piano dell’intrapsichico e dell’intersoggettivo” per cercare di dotare il paziente degli elementi mancanti: il come se, il simbolo, la narrazione della propria storia  così da costruire-ricostruire i confini dell’io. L’incontrarsi senza comprendersi del paziente e dell’analista nasce dunque proprio dal condividere l’incomprensibile come fondamento dell’esistere e dell’essere al mondo, “esperienza che però nella schizofrenia si assolutizza perché se per noi normali apre al piano della libertà (secondo il dettato di Jaspers), per lo psicotico all’angoscia ed ecco la sua esigenza di arrivare al delirio e lo sforzo titanico del terapeuta di farlo tornare a una incomprensibilità accolta e supportata”. L’incontrarsi senza comprendersi, altra cosa dal comprendersi senza incontrarsi nel disagio con il paziente ‘nevrotico’,  è anche disagio del terapeuta che deve riconoscere i limiti personali, quelli della sua disciplina e imparare ad accettare lo scacco preannunciato da Callieri. Dunque, sollecitato da una platea di rango (il filosofo Gaspare Mura, la filosofa fenomenologa Angela Ales Bello) Martini conclude: “La psicoanalisi non è un’ermeneutica negativa, ma nemmeno veritativa perché poche sono le verità a cui possiamo avere accesso, ma è un’ermeneutica comprensiva”. Tenta attraverso il linguaggio e la concettualizzazione, perché questi sono i suoi strumenti fondativi e privilegiati, di recuperare un senso. L’ultima parola va ai grandi veggenti, i soli capaci di scrutare i nostri quotidiani deliri non psicotici, il nostro vivere a più livelli in vari mondi per aggirare l’impatto con il senza fondo. “Temo che gli animali vedano nell’uomo un essere loro uguale che ha perduto in maniera estremamente pericolosa il sano intelletto animale: vedano cioè in lui l’animale delirante, l’animale che ride, l’animale che piange, l’animale infelice”, scrive Nietzsche nella Gaia Scienza. “Avendo visto con quale lucidità e coerenza logica certi pazzi giustificano a se stessi e agli altri, le loro idee deliranti, ho perduto per sempre la sicura certezza della lucidità della mia lucidità”, annota Pessoa ne Il libro dell’Inquietudine.

Titolo: La psicosi e la rappresentazione. Psicoanalisi e psicopatologia
Autore: Giuseppe Martini
Editore: Borla, Data di Pubblicazione: Gennaio 2011, Pagine 320
Prezzo: 35,00 €