La madre dei fotografi è sempre incinta

Swing-JoCollaboro ormai da un anno con AtlantideZine, dedicandomi principalmente all’arte contemporanea, e in tutto questo tempo non mi era ancora capitato di scrivere un articolo interamente dedicato alla fotografia. Non perché di occasioni non ce ne siano state – le mostre e le rassegne, anche belle, si sprecano –, ma per un mio personale disagio nei confronti dell’argomento. La fotografia è un’arte alla portata di tutti, ma io non sono mai stato un bravo fotografo, nemmeno ai più infimi livelli amatoriali. Troppo spesso mi sono ritrovato tra le mani fotografie sfocate, mosse, gambe tagliate a metà e altre disgrazie visive. Poi è arrivato l’iPhone, l’aggeggio miracoloso che trasforma chiunque in fotografo e reporter. Tra tutte le applicazioni che possono mutare un men che modesto sguardo sul mondo, come quello del sottoscritto, in quello di un navigato professionista (certamente esagero), spicca per immediatezza Instagram, la più amata dagli hipsters che amano realizzare fotografie che assomiglino incredibilmente a quelle scattate con la Polaroid o la Lomo e ci riescono grazie a un programmino che istantaneamente applica agli scatti una serie di filtri che “bruciano” l’immagine, la opacizzano e la invecchiano, donandole un flair decisamente vintage.

Instagram ha preso talmente piede che, in quel di Londra, capitale europea degli hipsters, la East Gallery ha deciso di dedicare un’intera mostra – la prima nel suo genere – ai risultati fotografici dell’applicazione. Sul sito della mostra, intitolata My World Shared (perché Instagram è anche un social network) è già possibile vedere alcune delle immagini realizzate da un gruppo di appassionati instagrammers che, il 22 e il 23 ottobre prossimi, faranno mostra di sé nella galleria di Brick Lane. I risultati sono senza dubbio suggestivi, ma solo se si tiene conto che si ha a che fare con fotografi non professionisti che concludono il lavoro di postproduzione delle loro immagini con un semplice quanto rapido click sullo schermo dell’iPhone.

Ruth_Orkin_An_American_Girl_in_Italy_1951Il caso vuole che, proprio ne i giorni in cui a Londra si cercherà di dare dignità artistica a Instagram, a Roma si concluda il Festilval Internazionale di Fotografia, giunto quest’anno alla sua decima edizione, quasi a voler sancire una precedenza artistica attraverso quella temporale. Paragonare i due eventi non è corretto, anche perché al MACRO Testaccio, scelto come sede espositiva dell’evento che si è inaugurato lo scorso 23 settembre, risplendono nomi di spicco del panorama fotografico internazionale, da Alec Soth, che dirige la commissione dell’edizione 2011, a Rinko Kawauchi, fino all’italiano Stefano Graziani che presenta i suoi lavori nella mostra Under the Volcano and Other Stories – una delle venti iniziative espositive attraverso cui si dirama il festival, la principale delle quali è Motherland, curata da Marco Delogu, direttore artistico dell’intero festival. La Terra Madre che dà il titolo alla mostra è il simbolo di un ritorno alla tangibilità, alla materialità delle immagini fotografiche e della vita in genere. Un’indagine sulle terre di origine di artisti che provengono da ogni parte del globo e sui volti che di quelle terre portano i segni e le ombre e che lasciano un’impronta molto più duratura sulla retina e nell’animo dello spettatore, di quanto non facciano i volatili, frettolosi ed ossessivi scatti di un iPhone. Nel peso di queste immagini che non necessitano di patine per affascinare sta tutta la differenza tra l’arte e il gioco. Ciò non toglie che giocare sia sempre lecito e consigliato.

My World Shared

22 e 23 ottobre 2011

East Gallery, Londra

 

Festival Internazionale di Fotografia di Roma

fino al 23 ottobre 2011

MACRO Testaccio, Roma