Sport has the power to change the world

“Sport has the power to change the world. It has the power to inspire, the power to unite that little else has…It is more powerful than government in breaking down racial barriers.” – Nelson Mandela

A volte lo sport trascende la storia. Nel luglio del 1980, il prigioniero n. 466/64 del carcere di Robben Island, Nelson Mandela, convinceva le guardie a farsi prestare una radio per ascoltare la finale di Wimbledon, tra Borg e McEnroe, che molti tuttora considerano la miglior partita di sempre. Ancora nel 1980, esce al cinema Toro scatenato, film fortemente voluto da Robert De Niro (vincerà il suo secondo Oscar), con la regia dell’amico Martin Scorsese.

Si tratta di un film sia biografico che sportivo, nel tracciare la parabola del campione dei pesi medi Jack La Motta. Trent’anni dopo, mentre un nero siede alla Casa Bianca e il Sud Africa sta per ospitare i Mondiali di calcio, è Morgan Freeman a coronare il sogno d’impersonare sullo schermo Nelson Mandela, e per farlo, si rivolge al regista di cui si fida di più, quel Clint Eastwood con cui aveva già lavorato ne Gli spietati (1992) e in Million dollar baby (2004).

Il progetto si presenta arduo fin dall’inizio: come raffigurare la vita di un eroe universale, vivente, senza renderla una noiosa agiografia? L’impasse è rotta dal libro di John Carlin, Play the enemy (erroneamente tradotto in Italia: Ama il tuo nemico), che diventerà la base per la sceneggiatura. Così si ottengono due risultati: 1.viene circoscritto il periodo temporale (quasi tutto il film è compreso fra il 1994, elezione di Mandela presidente, ed il 1995, Coppa del mondo di rugby in Sud Africa); 2. si delinea il secondo filone narrativo (lo sport) e il coprotagonista/alterego di Mandela, il capitano della nazionale di rugby François Pienaar, interpretato da Matt Damon.

Mandela viene liberato nel 1990, dopo ventisette anni di prigionia e quarant’anni di apartheid, la segregazione sistematica della maggioranza nera del Sud Africa. Pienaar è la bandiera degli Springboks (una squadra per 14/15 bianca in un paese per 14/15 nero), e si farà portavoce del messaggio di riconciliazione del neopresidente, «one team, one nation» per la nascente Nazione Arcobaleno.
Parliamo di singoli, come spesso succede al cinema e in quello americano in particolare. Clint Eastwood, a ottant’anni, è un umanista di destra: crede che le persone possano cambiare, non la società. È anche per questo che la realtà sociale rimane così marcatamente fuori campo, sia riguardo al passato regime degli Afrikaner sia per il presente di Mandela, con tutti quei problemi come la criminalità, l’aids e la corruzione amministrativa che a tutt’oggi sono lontani dall’essere risolti. Un’eccezione, in tal senso, è rappresentata dalla sequenza iniziale del film: siamo nel ’90, una carrellata laterale, attraversando una strada, passa dal ricco campo da rugby dei bianchi al terreno di sabbia e stracci per le partitelle dei neri; la strada è attraversata dalla macchina del neo-scarcerato Mandela, in pochi fotogrammi si ottiene una sintesi del film.

Eastwood, da par suo, si era già dedicato al “biopic” e in due film più riusciti sotto il profilo drammaturgico: Bird (1988), sulla vita di Charlie Parker e Million dollar baby sulla box femminile (ancora la metafora dello sport). Si trattava di due soggetti più sentiti sul piano personale e dunque padroneggiati meglio, e veniva posto l’accento sui lati oscuri o contraddittori degli individui, secondo quella che è diventata negli anni una cifra stilistica dell’autore. Invictus è pressoché privo di personaggi o sfumature negative, che rimangono quasi completamente sottotesto o accennate nei dettagli. Tuttavia, la sensazione è quella di assistere ad un saggio di retorica “positiva” (prerogativa della cultura anglosassone), tesa ad esaltare ideali verso quali tendere e premiare i successi faticosamente ottenuti.

L’ideale del film è lo sport, il rugby, che costituiva la religione degli afrikaner quanto l’apartheid ne fu l’ideologia, mentre l’ottanta percento del paese tifava per gli avversari del Sud Africa. Malgrado ciò all’Ellis Park stadium, nel 1995, un’intera nazione fa il tifo per la vittoria in finale contro gli All Blacks di Jonah Lomu. Il capolavoro politico di Mandela. Attraverso lo sport, dove gli istinti di base dell’uomo possono essere sublimati in una lotta sul campo da gioco. E sono proprio le immagini della Coppa del mondo, nell’ultima parte, quelle più spettacolari del film, in particolare per il disinvolto uso della steadycam, che ci permette di entrare dentro la partita insieme agli altri giocatori. Infine una nota sul titolo, Invictus, reso in Italia L’Invincibile. Una traduzione corretta è Non Vinto, che ben riassume i versi finali della poesia di W. E. Henley, fonte di conforto per Mandela negli anni a Robben Island: «Io sono il padrone del mio destino / io sono il capitano della mia anima». L’unica libertà che non ti possono togliere è quella di non rinunciare a te stesso.

Invictus – L’Invincibile – USA, 2009
di Clint Eastwood con Morgan Freeman, Matt Damon
Warner Bros – 133 min
nelle sale dal 26 febbraio 2010