La leggerezza della pensosità: Il barone rampante

Non c’è niente da fare. A rileggere Il barone rampante scritto da Italo Calvino, viene in mente Calvino stesso. O meglio vengono in mente le sue indicazioni sul “Perché leggere i classici”, dove tra l’altro si dice che classiche sono le opere della letteratura che hanno dalla loro la forza di esistere, di creare la realtà, di restare indelebili nella memoria andando persino a regolare il comportamento inconscio di ciascuno, di avere il carattere della freschezza per cui  rileggerle vale come leggerle per la prima volta e viceversa leggerle la prima volta è paradossalmente una rilettura perché scoviamo contenuti latenti nascosti in noi, di non essere mai datate, di non smettere di dire ciò che hanno da dire, di relegare l’attualità al rango di rumore di fondo, ma nello stesso tempo di vivere di questo rumore di fondo. Ecco, il Barone rampante, scritto nel 1957, secondo capitolo della trilogia “araldica” de I nostri antenati, tra Il visconte dimezzato (1952) e Il Cavaliere inesistente (1959),  apparentemente estraneo al contesto dell’epoca in cui è stato concepito, è un grande classico della letteratura moderna. E viene ancora in mente Calvino delle Lezioni americane che indica i valori da conservare e praticare in letteratura in questo millennio (leggerezza, rapidità, esattezza, visibilità, molteplicità, coerenza). In particolare il valore della leggerezza intesa come capacità di sfidare la gravità, “la pesantezza, l’inerzia e l’opacità del mondo, qualità che s’attaccano subito alla scrittura,se non si trova il modo di sfuggirle”. Cosimo, il barone rampante che sceglie l’esistenza sugli alberi, è un campione di leggerezza, un Perseo (il poeta) che sfida Medusa, il mondo di pietra, la pietrificante razionalità del reale che tutto strappa alla vita.  Solo un grande classico moderno quale è Italo Calvino poteva concepire un Perseo “arboricolo” quale Cosimo è, che ha da sua l’evidenza dell’essere, la necessità di esistere, al punto che non sappiamo più concepire la vita senza di lui, è nell’immaginario collettivo seppur sparpagliato, diluito nel tempo e nello spazio, è un archetipo, un mito che ha messo radici nelle nostre teste. L’invenzione fondamentale è semplice: un ragazzo che per una futile lite familiare sale su un albero e decide di non scendere più. Il miracolo della leggerezza sta nel riuscire a portare avanti nell’estensione temporale di un romanzo un’idea che si direbbe circoscritta a un giro di frasi e lasciarci comunque in balia dell’incertezza, come di non aver afferrato veramente tutto e di essere troppo terragni per seguire la parabola dell’ascensione. Il romanzo ha dalla sua forza l’evidenza, la forza di esistere come realtà parallela, al di là del vivere ordinario, senza artifici. Sembra che a Calvino l’idea sia nata quando un amico in osteria gli raccontò di un ragazzo che era salito su un albero. Una suggestione tramutata in romanzo.

La storia è ambientata nel ‘700 nell’immaginario paesino ligure di Ombrosa. Cosimo Piovasco di Rondò, primogenito di una famiglia nobile decaduta, rifiuta di mangiare un piatto di lumache cucinate dalla sorella Battista e all’età di 12 anni si ribella all’autorità paterna salendo sugli alberi della tenuta di famiglia e cominciando da quel momento un’esistenza originale e alternativa. La disobbedienza, insomma, non è fine a sé stessa, ma segna l’avvio di un nuovo modo di stare al mondo. “Fu il 15 di giugno del 1767 che Cosimo Piovasco di Rondò, mio fratello, sedette per l’ultima volta in mezzo a noi. Ricordo come fosse oggi. Eravamo nella sala da pranzo della nostra villa d’Ombrosa, le finestre inquadravano i folti rami del grande elce del parco. Era mezzogiorno, e la nostra famiglia per vecchia tradizione sedeva a tavola a quell’ora, nonostante fosse già invalsa tra i nobili la moda, venuta dalla poco mattiniera Corte di Francia, d’andare a desinare a metà del pomeriggio. Tirava vento dal mare, ricordo, e si muovevano le foglie. Cosimo disse: Ho detto che non voglio e non voglio! E respinse il piatto di lumache. Mai si era vista disobbedienza più grave”. A condurre il racconto, in forma di diario, è il fratello minore, Biagio, attratto dalle bizzarrie di Cosimo, ma fatalmente diverso, conforme al mondo dell’ordine dato, senza grilli per la testa né fremiti rivoluzionari. Da quel momento l’esistenza di Cosimo si svolge prima nel giardino di casa, poi nei boschi del circondario fino anche a spingersi in terre lontane, sempre collegate per “vie vegetale” alla tenuta del barone: ecco la potenza di un’invenzione condotta da un grande scrittore. Cosimo porta avanti la sua formazione, studia, legge, riesce persino a stampare delle gazzette sugli alberi, impara la caccia per poi rifiutarla fino ad assumere una coscienza ecologica integrale ante litteram, ha relazioni umane, segue gli affari di famiglia, piace alle donne, vive amori. Inizialmente è osteggiato, specie dalla famiglia. Col passare del tempo la sua fama si diffonde e arriva fino a Napoleone (potenza della fantasia): partecipa alla vita amministrativa e politica della sua comunità, ha rapporti epistolari con scienziati e filosofi d’Europa, in particolare gli illuministi francesi, Diderot, ma anche personalità politiche, Napoleone, lo zar di Russia; ha un talento narrativo e fantastico, e anziché essere considerato uno stravagante comincia ad esser rispettato a cominciare dai familiare. Elabora persino un progetto di Costituzione di uno stato ideale fondato sugli alberi “in cui descriveva l’immaginaria repubblica d’arborea, abitata da uomini giusti (e ne manda una copia a Diderot, firmandosi Cosimo Rondò, lettore dell’enciclopedia, e il filosofo ringrazia con un biglietto) e un “progetto di Costituzione per città repubblicana con dichiarazione dei diritti degli uomini, delle donne, dei bambini, degli animali domestici e selvatici, compresi uccelli pesci e insetti, e delle piante sia d’alto fusto sia ortaggi ed erbe”. Suoi compagni d’avventura sono altri stravaganti: Viola d’Ondariva, bellissima smorfiosetta che si “impossessa” del suo cuore fin dalla più tenera età, un cane bassotto di nessuno, Ottimo Massimo, bastardino ricordo di Viola e inseparabile compagno di caccia, il brigante Gian dei Brughi, l’abate tutore Fauchelafleur che Cosimo converte all’amore per la lettura ma finisce vittima del tribunale ecclesiastico perché trovato in possesso di libri “proibiti”, il timido zio paterno, Cavalier Avvocato Enea Silvio carrega, occupato nella segreta cura delle api.

Il libro è dotato di forza simbolica, è un classico anche perché è il risultato di una stratificazione di temi e simboli tenuti insieme dalla linearità dell’invenzione fantastica. Cosimo è il poeta, il riformatore sociale, l’intellettuale che sposa la leggerezza, non la frivolezza che è compagna di una superficiale inconsistenza. La leggerezza di Cosimo è un modo di vedere il mondo che si innalza al cielo perché affonda le radici nella consistenza delle letture, si fonda sulla filosofia e sulla scienza che diventano trama di vita. Cosimo incarna la leggerezza pensosa dell’intellettuale che per forza di cose deve restare un po’ a distanza, al di là, oltre l’adesione scontata alle cose, sa sollevarsi sulla pesante vita  a terra che appartiene al regno della conservazione, della reazione (l’Europa su cui grava l’ombra della Restaurazione), della morte. La lettura è uno strumento prezioso di conoscenza, ma anche un’operazione pericolosa e potenzialmente eversiva perché mina l’ordine sociale e istituzionale. Ognuno deve cercare la propria ragione d’esistere, sembra dirci Cosimo, persino trovare il proprio principio d’individuazione, junghianamente inteso, superando condizionamenti sociali e familiari. Solo mantenendosi fedeli ai propri ideali si può dare il proprio originale contributo al mondo che altrimenti spolpa, scarnifica, disumanizza. Pazienza di passare per anomali. Il libro è anche un tributo alla cultura illuminista e alla leggerezza di un pensiero emancipato da superstizioni e retaggi secolari, la denuncia dei pregiudizi, l’avversione per i preconcetti, l’esaltazione della diversità. Cosimo è anche un antesignano della cultura ecologista e ambientalista: “bastò l’avvento di generazioni più scriteriate, d’imprevidente avidità, gente non amica di nulla, neppure di se stessa, e tutto ormai è cambiato, nessun Cosimo potrà più incedere per gli alberi”. La chiarezza del linguaggio che è cifra stilistica di Calvino si accompagna alla padronanza del lessico scientifico, zoologico, botanico, che lo scrittore ha anche come eredità familiare (suo padre era direttore della stazione sperimentale di floricultura di Sanremo).

La coerenza è virtù dell’intellettuale, da vivo e da morto. L’ultimo stratagemma di Cosimo è rivelatore. In punto di morte, pur di non essere costretto a terra, si aggrappa a una mongolfiera di passaggio e svanisce nel nulla. “Così scomparve Cosimo e non ci diede neppure la soddisfazione di vederlo tornare sulla terra da morte”, scrive il fratello. Cosimo è davvero “un ricamo fatto sul nulla”. Più leggerezza di così!

Titolo: Il barone rampante
Autore: Italo Calvino
Editore: Einaudi
Dati: 1957

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AUDIOLIBRO – FREE DOWNLOAD – Ad alta voce (Rai Radio 3) – Il Barone rampante letto da Manuela Mandracchia