Tremate, tremate: i giovani sono arrivati

«Dobbiamo andare e non fermarci finché non siamo arrivati»
«Dove andiamo?»
«Non lo so, ma dobbiamo andare »
On the road“, Jack Kerouac

Nell’America del secondo dopoguerra, alla fine degli anni ’40, un fenomeno nuovo fa capolino e, in poco tempo, diviene dirompente: i giovani iniziano a esistere.
Se fino ad allora, il concetto di “giovane” era legato esclusivamente all’età anagrafica, ma in realtà la giovinezza era una fase di passaggio della vita – il lavoro minorile (nei campi prima, nelle fabbriche dopo) e la guerra avevano di fatto reso impossibile ritagliare ai giovani una propria forza e identità sociale – con l’avvento del benessere, i giovani iniziano a formarsi. A fare gruppo, a scendere nelle strade. A pensare.
La generazione beat nasce proprio in quegli anni. E fa di Jack Kerouac il suo profeta.

Il termine beat, coniato dallo stesso Kerouac e immortalato da John Clellon Holmes in Go, nel 1952, non ha un significato preciso. Fa riferimento al ritmo della musica jazz, ma  pure all’idea di essere degli sconfitti (battuti).

Ispiratore di Kerouac è Neal Cassady, suo amico fraterno e scrittore anche lui, che incarna, senza pose e con una spontaneità sorprendente, l’idea stessa di beat: anticonformista per attitudine e non per convenzione, rifiuta il sistema di regole sociali su cui prima era impossibile discutere.

Ubriaconi, drogati, inquieti, irriverenti, inconcludenti, i giovani beatnik hanno aperto la strada ai movimenti di contestazione ma pure a un nuovo tipo di arte e di vita.

L’opera I sotterranei meglio di altri rappresenta la filosofia beat.
Smaccatamente autobiografico, il protagonista del libro è l’amore. L’amore lontano dagli schemi e dal romanticismo. Ma fedele alle tradizioni nelle ferite struggenti, difficili da sanare, inferte da una rottura brusca e irrimediabile.
I “Sotterranei” sono questi nuovi giovani che, per la prima volta senza nulla da fare, si muovono istericamente ai margini di una società che li guarda attonita e avvilita. Etichettandoli come pusillanimi, nichilisti, incapaci, marxisti (da qui il riferimento al termine “beatnik”, amalgama di due parole invise agli americani: beat e Sputnik). Uomini e donne, artisti, letterati, pensatori del futuro e fannulloni.
I Sotterranei di Kerouac si annidano nella San Francisco degli anni ’50, patria del secondo periodo beat (la prima era stata New York), vivono di notte, tra un bar e l’altro. Bevono, fumano, si drogano, fanno sesso in maniera compulsiva.
Le relazioni tra le persone sono descritte in maniera icastica: non ci sono modelli e valori da seguire, solo feste a cui presenziare, bevute e droghe da scroccare, discorsi colti sui massimi sistemi. Un lento trascinarsi, investiti dalle prime luci dell’alba, in appartamenti sporchi e inospitali. Nuovi eroi del dopoguerra che non sono poveri per fato, ma per scelta, ancora peggio, per pigrizia. In questa cornice nasce un amore inconsueto, tra Leo Percepied, scrittore in erba ma già votato al successo, e la negra Mardou, sotterranea per urgenza, infelice, tormentata, intrappolata in un ruolo disegnato a tavolino da altri.

C’è molto di Jack Kerouac in Leo: la sua ossessione di far parte del “gruppo”, la sua strana devozione alla madre, àncora di ben-essere, rifugio accogliente e simbolo di vita  normale. La voglia di cambiare strada, di scappare da una visione del mondo che lui stesso ha contribuito a creare e che lo incatena.

La trama procede per contraddizioni: l’amore per una donna che è quanto di più lontano dal suo rifugio di uomo perbene e che rappresenta, al contempo, l’unica via d’uscita alla vita sotterranea, che, come la droga (ed anche a causa della droga), crea assuefazione. La cattiveria, il masochismo che  spinge a ferire e ferirsi e la gelosia da una parte, e la dolcezza di un amore semplice, della quotidianità, dei gesti comuni dall’altra.

Il linguaggio utilizzato è emblematico e specchio del pensiero beat.  Ritmato, sfuggente, travolgente come un fiume in piena. Henry Miller, che ha curato la prefazione dell’opera, così ne descrive lo stile: ” Jack Kerouac ha violentato a tal punto la nostra immacolata prosa, che essa non potrà più rifarsi una  verginità… egli si compiace a sfidare le leggi e le convenzioni dell’espressione letteraria ricorrendo ad una comunicazione  rattrata scabra liberissima tra scrittore e lettore”. Periodi molto lunghi, punteggiatura inappropriata, fluidità sincopata del discorso. All’inizio la lettura è faticosa, quasi fastidiosa, poi ti coglie e sembra cavalcare il ritmo delle vite perdute, portandoti con esse nei cunicoli bui, lerci, ipnotici dei Sotterranei.

In Italia, come era prevedibile, I sotterranei è stato tacciato di oscenità, ma alla fine, per fortuna, è arrivata l’assoluzione e quindi la distribuzione, nel 1960. Con introduzione di Fernanda Pivano.

Titolo: I sotterranei
Autore: Jack Kerouac
Editore: Feltrinelli
Dati: 2003 (originale 1958), 168 pp., 7,00 €

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