I maghi non esistono. La magia invece sì

Chiunque sia innamorato del cinema è convinto che la magia esista. Una sala piena di persone, il buio carico di aspettative, poi, d’improvviso, da un fascio di luce nascono e si animano sullo schermo volti, sorrisi, emozioni: in che altro modo definire una simile esperienza? Ma chi ancora non ne fosse convinto dovrà convenire che solo grazie alla magia del cinema è possibile, ad esempio, tornare a vivere dopo la propria morte. A compiere questo piccolo miracolo è stato Sylvain Chomet, giovane autore francese di cartoni animati di cui forse ricordate Appuntamento a Belleville.

Chomet, dimostrando passione, intelligenza e, bisogna dirlo, anche un’apprezzabile umiltà, ha dedicato grande impegno al progetto di riportare in vita, con le sue matite, uno dei personaggi più significativi del cinema europeo degli anni ’50 e ’60: Jacques Tati.
Chomet, infatti, ha scelto di adattare una sceneggiatura non realizzata che lo straordinario autore aveva regalato a sua figlia, e di trasformarla in un cartone animato. Il protagonista, naturalmente, ha le sembianze e la fisicità dignitosa e impacciata di Tati stesso (interprete, a sua volta, di tutti i suoi film); il suo nome, poi, Tatischeff, è il vero nome all’anagrafe di Tati. Ed ecco che l’incantesimo si compie e il pubblico di oggi può vedere un «nuovo» film di Tati e godere, ancora una volta, della sua comicità delicata e malinconica.

Perché Tati non abbia realizzato la sua «sceneggiatura Tati n.4» forse non è difficile da capire: questa storia è troppo vera, troppo vicina a lui per riuscire a sorriderne.
L’illusionista, infatti, è il racconto di un mondo che scompare, di un modo di concepire l’arte e lo spettacolo, ma anche la vita stessa, che sta per essere spazzato via e di cui Tatischeff si sente uno dei sempre più rari e agonizzanti paladini.
L’illusionista vede, dunque, il suo pubblico farsi sempre più esiguo e scontento mentre, fuori dai teatri, impazzano la musica rock, i juke box, gli elettrodomestici e persino i primi luccicanti centri commerciali. Gli spettacoli di magia, silenziosi e fantasiosi, non incontrano più i gusti degli spettatori cittadini, conquistati invece dalla concitazione, dal rumore, dalla modernità. In altre parole la sorte di Tatischeff somiglia troppo a quella di Tati, il cui cinema fatto di piccole, deliziose umanità è stato inesorabilmente schiacciato dai film con i grandi divi, i grandi budget, gli inseguimenti o le ammiccanti scene erotiche. Non a caso Tati-personaggio, in un momento di tristezza, si ritrova in una sala cinematografica in cui proiettano proprio uno dei film di Tati-autore, scoprendo una platea tristemente vuota, proprio come quella dei suoi spettacoli di illusionismo.

Compreso che la capitale francese gli ha chiuso le porte, Tatischeff decide di partire e, per una serie di combinazioni, approda in un paesino scozzese dove viene accolto amichevolmente. È qui che la sua vita, inaspettatamente, prende una piega diversa.
Guidato da un’indole estremamente sensibile, Tatischeff si mostra gentile con la giovane Alice, la sguattera della pensione in cui alloggia. La ragazza, nella sua ingenuità, si convince che il signore alto e contegnoso che ha incontrato abbia poteri magici. Come spiegarle che quelli di Tatischeff sono solo trucchi, illusioni? Impossibile, complice la diversità delle lingue. A Tatischeff non resta che assecondare la ragazzina, che ha deciso di seguirlo dovunque.

L’uomo si muove in un universo parallelo di pensioni a buon mercato abitate da artisti del circo e del vaudeville in declino, poveri di denari e ricchi di mortificazioni. Ma Tatischeff, ora, ha qualcosa di diverso dagli altri suoi colleghi; qualcosa che illumina le sue giornate: ha qualcuno a cui pensare. Una persona in più di cui occuparsi complica moltissimo la vita del povero prestigiatore – che già riusciva a stento a provvedere a se stesso – ma la presenza di questa ingenua ragazzina diventa, al contrario, qualcosa che lo fa sentire ricco, immensamente più fortunato dei suoi compagni che, tornati a casa, non hanno nessuno ad attenderli. La piccola Alice, però, appartiene al mondo nuovo, a quello dei giovani, ed è presto sedotta dagli usi e costumi cittadini, misurando la propria felicità e adeguatezza con ciò che può acquistare. Tatischeff, ormai, non cerca più di spiegarle che non possiede alcun potere magico ma, pur di accontentarla in ogni suo desiderio, si presta ai lavori più umilianti.

Tatischeff stesso, forse, dimentica di non essere un mago e di non poter modellare la vita a suo piacimento ma, a un certo punto, sarà costretto a fare i conti con la realtà.
La storia si chiude con grande malinconia e con mille incertezze sul destino di questo pierrot allampanato e con una dedica dolcissima a Sophie, la figlia di Tati-autore che l’uomo, probabilmente, ha trascurato per anni a causa del suo lavoro.

I fondali del film di Chomet sono deliziosi e ricordano un po’ lo stile di alcuni classici Disney, come La carica dei 101 o Gli Aristogatti, quando ancora il marchio Disney certificava il lavoro di eccellenti disegnatori e non ignobile paccottiglia made in China. L’animazione del personaggio di Tati-Tatischeff trasmette tutto l’amore e il rispetto di Chomet per quell’eccezionale artista e riproduce efficacemente la sua corporeità, resa un po’ goffa dall’estrema altezza e dall’eccesso di buona educazione. Meno convincenti, purtroppo, l’aspetto e l’animazione di tutti gli altri personaggi.

Ma il cinema, dicevamo, è luogo magico per eccellenza e chi conosce Tati, con un piccolo sforzo, può provare a guardare il cartone di Chomet e, allo stesso tempo, immaginare il film che Tati ne avrebbe tratto. Magari ambientato a Praga, come la sceneggiatura originale prevedeva. E allora il nostro cuore sarà colmo di commozione e meraviglia.
Chi, invece, non conosce il cinema di Tati, per Natale si faccia un grande regalo: guardi Mon Oncle.

Un’ultima cosa: nel film di Chomet, come in tutti i film di Tati, ci sono musiche, suoni, persino rumori. Parole, invece, nessuna, o quasi. Grazie alla sceneggiatura impeccabile, però, la storia si segue perfettamente, in tutta la sua poetica complessità, anzi, sono sicura che, se non ve lo avessi fatto notare io, dell’assenza di dialoghi non ve ne sareste neanche accorti. Pura Magia.


L’Illusionista (The Illusionist): GB/FR 2010
di Sylvain Chomet
da una sceneggiatura originale di Jacques Tati
SACHER, 80 minuti
nelle sale dal 29 Ottobre 2010

Il sito ufficiale dedicato a Jacques Tati