La biblioteca che non smette di bruciare: Il bastone di Euclide, di Jean-Pierre Luminet

incendio

La storia la conosciamo tutti: e non è una di quelle a lieto fine. Nel 642 d.C., durante la conquista araba dell’Egitto, le truppe dell’emiro Amr ibn al-As si impadronirono di Alessandria, perla orientale dell’impero bizantino e sede della più grande biblioteca del mondo, ricca di centinaia di migliaia di rotoli che abbracciavano il sapere di mille anni e di mille popoli. Ma per il califfo Omar di libro ne bastava uno solo: il Corano. Diceva già tutto ciò che era necessario sapere, tutti gli altri testi potevano essere solo inutili o pericolosi. I libri di quella famosa biblioteca potevano essere molto più utili come combustibili per le caldaie delle terme: che infatti, così alimentate, poterono bruciare per sei mesi ininterrotti. Pensare che, quando il fuoco la divorò, alla biblioteca di Alessandria mancavano pochissimi anni al suo primo millennio. Ma tranquilli: se vi piacciono gli happy ending a tutti i costi (e le frasi fatte), potete credere che, in qualche modo, la vera storia della biblioteca cominciava proprio con quell’incendio.

Nulla di meglio che distruggere un simbolo, se vuoi trasformarlo in un mito: e così, inevitabilmente, da quando il crepuscolo degli dèi ha calato il sipario sull’universo leggendario dei tempi antichi, nessun mito ha saputo dimostrare forza, significato e potenza maggiori, lungo i secoli, dei racconti originati dalla storia della Biblioteca Universale creata per custodire tutti i libri del mondo. Utopie, distopie, rielaborazioni allegoriche, giochi letterari, fantasie vertiginose à la Borges che sconvolgono e destrutturano il sogno alessandrino trasformandolo nell’anarchia di Babele; biblioteche perdute, nascoste, maledette; o semplicemente, tentativi – più o meno coinvolgenti – di comprendere significato e catastrofe della realtà esistita al di là del mito. A quest’ultima categoria appartiene Il bastone di Euclide dell’astrofisico Jean-Pierre Luminet, edito in Francia nel 2002 e portato da noi solo l’anno scorso da La Lepre Edizioni; e be’, non possiamo proprio dire che ne sia l’esempio più fulgido.

La notte prima del suo ingresso trionfale ad Alessandria, l’emiro Amrou sosta al chiaro di luna di fronte alla monumentale porta chiusa della città, interrogandosi dubbioso sull’ingrato compito che lo attende: da uomo amante della ragione e della poesia, la distruzione della biblioteca più grande del mondo non è proprio nelle sue corde. Eppure così vuole il califfo Omar: e lo sa bene anche il grammatico Giovanni Filopono, ultimo bibliotecario del Museo, che dall’altra parte di quella stessa porta, nelle sale deserte della biblioteca, attende l’alba come un condannato attende una sentenza di morte. L’incontro tra Amrou e Filopono – insieme alla bella e sapiente Ipazia (nessuna parentela) e al medico ebreo Al-Razi – dà l’avvio a una narrazione “a blocchi”, in cui i quattro ripercorrono a grandi linee, e a tratti con una certa vivacità, la storia e i protagonisti del luogo di cui stanno vivendo gli ultimi giorni: minimo comun denominatore di ogni storia è la presenza del bastone di Euclide, che i Grandi della Biblioteca si tramandano l’un l’altro attraverso i secoli, come una sorta di staffetta della conoscenza. Alla fine, Amrou si convince della necessità di preservare quel tesoro, ma non riesce a convincerne anche Omar. Il finale è noto: ma non basterà un semplice incendio – sia pur lungo sei mesi – a interrompere il cammino del bastone di Euclide.

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La scommessa non era delle più semplici: raccontare i quasi mille anni di esistenza della biblioteca di Alessandria con una narrazione in grado di rimanere agile senza diventare grossolana. Luminet stesso, nella Postfazione, ci tiene a ricordarci di aver voluto scrivere un romanzo, e non un saggio storico. Per ironia, Il bastone di Euclide funziona molto meglio nel secondo senso che non nel primo. D’accordo, all’inizio è suggestiva la trovata di Luminet di modellare il racconto sulla vicenda di Shahrazad: come la principessa persiana si salva la vita raccontando al re una storia ogni notte, per mille e una notti, così anche la biblioteca prolunga la propria esistenza con i racconti. Ma il gioco dura poco, e la struttura narrativa – già di suo un po’ gracilina per tenere in piedi da sola un romanzo – si fa subito troppo rigida e ripetitiva.

Se, d’altro canto, capovolgiamo la prospettiva e leggiamo il testo di Luminet come un’esposizione divulgativa, colloquiale e un po’ romanzata della storia della più grande biblioteca del mondo antico, allora sì che scopriamo un testo approfondito, ricco di dettagli, talvolta problematico (come nelle parti che affrontano il complicato rapporto tra scienza e religione, o tra religioni diverse; o la questione, di vibrante attualità, della discriminazione razziale), e vissuto nell’intimo da un autore che alla scienza e al sapere ha dedicato la propria intera vita. Certo non manca qualche svarione – sostenere che prima di Callimaco in Grecia non esisteva la poesia lirica è un po’ come dire che il romanzo non esisteva prima di Camilleri; e qua e là si nota una certa fretta nell’affrontare alcune parti della storia che avrebbero meritato ben altra attenzione- come la vicenda di Ipazia, che stranamente resta un po’ buttata lì (ma su Ipazia La Lepre ha pubblicato nel 2010 un romanzo anni luce più riuscito di questo).

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Il guaio è che, a meno che non siate appassionati di storia della scienza, o cultori di immaginari bibliotecari, temo che facilmente vi cadrà la palpebra dopo i primi due capitoli. Peccato, perché a giudicare dalle parti più specificamente narrative – i primi due capitoli, o l’intermezzo notturno sul Faro – non c’è dubbio che Luminet sappia creare atmosfere, rievocare luoghi, scenari e sensazioni, in una parola: che sappia scrivere. Purtroppo (per noi, o per lui), non ha saputo scrivere questo romanzo.

Il bastone di EuclideJean-Pierre Luminet
Il bastone di Euclide
Traduzione: Dora Marinari Tomasone
La Lepre Edizioni
2013, 256, € 22,00

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