Attorno a un tavolo a digerire orrori

La cena di H. Kock, edito da Neri Pozza, è, forse suo malgrado, un chiaro esempio di quanto gli interessi del lettore siano ormai molto relativi su più fronti ma specie nel complesso rapporto di compravendita di un prodotto quanto mai originale come può essere un libro.

Non siamo i primi a dirlo e tantomeno a pensarlo ma che il valore della lettura (e non entriamo nel contesto del “piacere”, troppo personale per qualsivoglia giudizio) sia svalutato è un fatto. Fatto altresì che si mostra bellamente in quarte di copertine e risvolti assolutamente fuorvianti, del tutto infedeli al testo, esplicitamente didascaliche, o, e questo è il caso, tutte volte al raggiungimento di uno scopo ultimo molto diverso da quello ideale di guidare il lettore all’acquisto consapevole di un prodotto.

Vero è che ciascun lettore riesce a trovare tra le pagine, anche nei testi per i quali è stato già tutto svelato, sorprese e rivelazioni ed è vero altresì che per alcuni libri, per alcuni thriller, ben raccontati e costruiti si può dire davvero ogni cosa, anche il crimine e il colpevole.

Anche perché il colpevole svelato, quello che tutti condanniamo e respingiamo con orrore, non è il ragazzo violento che istiga alla violenza i suoi cugini coinvolgendoli nel crudele assassinio di una barbona, quanto piuttosto la risacca di ossessioni parentali e gesti d’amore sviati e fuorvianti che trascina con sé ogni pudore, ogni stato oggettivo della mente umana, ogni istante di lucidità e comprensione.

Due ragazzi uccidono una barbona, colpevole di occupare con la sua ingombrante presenza e la sua puzza il gabbiotto di un bancomat, dandole fuoco; l’atto in sé è inconcepibile (ma quanto poi nel nostro contemporaneo?) e chiaro sarebbe il dovere alla condanna. Durante una cena in cui si incontrano i quattro genitori, però, quello che gradualmente trova la via per la superficie è un corale senso di sociopatia che li induce, chi per un motivo, chi per un altro, a coprire i propri figli e a giustificare l’atto da essi compiuto.

Giustificazioni molto potenti in diversi sensi: per il loro essere inconcepibili per un animo normale e scevro di condiscendenza, per il loro essere prive di scrupoli, per la loro crudeltà primitiva e feroce. E per l’eleganza con cui si insinuano negli anfratti della nostra mente a convincerci della possibilità che in una situazione così univoca possano esserci anche delle prospettive e dei punti di vista diversi.

La potenza e l’eleganza di questo impianto narrativo volto a scoprire e rivelare il marcio e a farcene comprendere il senso è minata e sminuita dal ricorso a un’ipotetica malattia mentale del padre che da quest’ultimo sarebbe stata trasmessa al figlio. Un’impronta genetica che smonta l’impianto della premeditazione e dell’incuria di genitori e società nei confronti dei ragazzi adolescenti, riducendolo a predestinazione scontata e “clinica”.

Queste quattro persone, questi quattro genitori, che si ritrovano a cenare in un ristorante di lusso, nel tempo che va dall’aperitivo alla mancia (dilatato da numerosi flashback che ancora una volta non narrano, solo raccontano per stuzzicare un appetito curioso che invece sfamano troppo rapidamente) decidono del futuro dei propri figli e del proprio, svelando un marcio putrescente, di atti e  pensieri, che ben si sposa con il cibo e i pasti raccontati con disgustato distacco e rappresentati come contaminati dal tocco del maitre, dal rumoroso divorare dei commensali, dal prezzo esorbitante che è necessario pagare per sopire certi istinti primordiali.

Una narrazione che incrocia passato e futuro ma che perde il contatto con l’atto colpevole e bestiale che dovrebbe invece ancorarli al presente.  E ci trascina sapientemente in questo gorgo egomaniaco che, a breve termine, ci appiccica addosso un senso di inadeguatezza che ci sorprende e smarrisce, e per questo tanto di cappello a Koch.

Per il resto francamente non comprendiamo (o forse comprendiamo appieno) il motivo del successo di questo romanzo (un caso internazionale che vale 250.000 copie vendute in pochi mesi) che dal ricorrere alla cena e al cliché narrativo del confronto attorno al desco, all’uso e abuso di riferimenti televisivi e webbiani  furbetti ci sembra davvero tanto, troppo, simile a molti altri prodotti, che, come quest’ultimo, complicano la digestione.

Titolo: La cena
Autore: Herman Koch
Editore: Neri Pozza
Dati: 2010, 286 pp., 16,00 €

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