Scrivere è un sogno che inquieta ma porta consiglio

Non c’è una sola cosa al mondo che non sia misteriosa: Jorge Luis Borges  ci avvertì per tempo a noi profani.  Figuriamoci se non lo sia a maggior ragione l’arte in quanto tale che si alimenta solo e soltanto di  “irrealtà visibili” (ancora Borges), la creazione letteraria che infittisce il mistero dando spago all’ignoto il quale agisce non solo girato l’angolo, ma anche dentro casa, di più: dentro la propria anima. Frequentando il genere fantastico si inciampa nell’irrealtà, nell’inconsueto vestiti in abiti d’ordinanza. Frequentando poi il fantastico prodotto in ambito letterario ispano-americano, sorpresa,  s’incappa in una realtà che è insieme irrealtà concreta e iper realtà, miscuglio inestricabile che richiede indagini persino poliziesche. Si legga senza farsi pregare anzi di slancio che ne vale la pena e viva iddio vale la perdita di argini, La piena, raccolta di racconti dell’argentino Carlos Dàmaso Martìnez, saggista e scrittore argentino contemporaneo nonché giornalista e sceneggiatore. Le sue sono composizioni “alterate” ma non altere che senza ombra di dubbio, proprio per la loro capacità di espandere l’Ombra della realtà Borges avrebbe ospitato in quell’Antologia della letteratura fantastica che con l’amico letterato Adolfo Bioy Casares e sua moglie, la poetessa Silvina Ocampo realizzò alla fine degli anni ’30 in base alle predilezioni letterarie condivise. La piena (titolo originale La creciente) è stata pubblicata in Italia dall’intraprendente casa editrice salernitana Arcoiris nella collana diretta da Loris Tassi e a giusto titolo definita ‘Gli eccentrici’ e si gusta nell’apprezzabile traduzione di Francesco Fava e Giulia Failla.

 

Cosa accade dunque in questi racconti? Per sommi capi, salta decisamente il senso delle proporzioni, salta la dimensione spaziotemporale consueta, salta l’identità apparente ma anche presunta, lo straordinario si immette nell’ordinario; si è qualche volta immersi in un lucido delirio onirico, comunque in una nitida dimensione ipnotica (ancora Borges: ‘la letteratura non è altro che un sogno guidato’), salta l’abitudine, la seduzione femminile ha una valenza magica. La piena è il racconto d’apertura che dà il titolo alla raccolta e ci catapulta in un paesaggio argentino in cui all’improvviso si materializza portata dal fiume straripante una gigantesca cavalla bianca morta. “Ombra gigantesca e iperbolica , ‘spazio scuro e sconosciuto’, il carattere sinistro dei fatti, delle persone o degli animali appare caratterizzato dall’enormità”, scrive nella suggestiva introduzione Maria Cecilia Grana. La realtà, non cercate di contenerla in argini, straripa sempre come le acque di un fiume. Ma l’animale fantastico dopo aver spaventato, turbato, incuriosito, dopo essere stato calpestato e visitato, viene “normalizzato” da chi addirittura tenta di utilizzarlo per fini turistici, di sfruttarlo economicamente, di mummificarlo così che sia redditizio per sempre. Damaso Martinez sa mescolare con maestria il fantastico al poliziesco e così l’evento soprannaturale diventa oggetto d’indagine da parte del protagonista del racconto che si muove nella matassa di un sogno che però, malgrado l’indagine, non si sbroglia. Eccetto se non si spieghi tutto risalendo al nome della località da cui viene la gigantesca cavalla trascinata dal fiume, I giganti, o immettendosi in una dimensione meta letteraria: “Non potei fare a meno di pensare a Moby Dick“, dice il protagonista.

Nel mondo di Damaso accade anche che si comunichi l’indicile come nel Resoconto impossibile dove il protagonista intraprende un viaggio nell’al di là per darne notizia ai lettori. Se non che, a parte l’uso simbolico e ricorrente dell’acqua, del bianco, della luce, a parte l’enormità stavolta di una camera d’aria galleggiante e la presenza di corvi sinistri, i limiti si perdono e non si può davvero fare rientrare un’esperienza oltre i limiti quale la morte è in qualche categoria consueta. L’enormità è indizio di una realtà che sfugge ai criteri ordinari. Nel racconto Come una visione un giardino smisurato contiene una gabbia altrettanto eccedente che custodisce un condor: evocatore di qualcosa di straordinario o terribile. Questo bestiario diffuso che sparge inquietudine, paura, discontinuità ha legami di parentela con lo scarafaggio di Kafka, le labrene,le blatte e i lupi mannari di Tommaso Landolfi ma rimanda pure, ancora una volta, al Borges del Manuale di zoologia fantastica. Appartengono alla stessa famiglia e si manifestano in formato extra-large forse per svelare la nostra microscopica radura di vita. Tutto in una cornice in apparenza familiare e conosciuta mentre si è immersi nello svolgimento consueto della vita quotidiana. Negli Incontri velati si palesa la questione dell’identità e del doppio:un uomo vede un suo antico compagno nelle sembianze uguali  a quelle di 18 anni prima, come se il tempo per lui non fosse mia passato. E qui la meta letteratura spiega: “Pedro il giovane, l’eterno, il Dorian Gray di questa storia”.  Tutto sembra un grande equivoco o un sogno. Forse l’amico è un desaparecido perché molti sono i riferimenti alla storia argentina in questi racconti; certo è che il protagonista si ritrova in una casa che per forme e caratteristiche pare visione di un sogno o somma di carte dei tarocchi, popolata da un’umanità equivoca, e viene sedotto dalla moglie dello strano Dorian Gray perché anche lei stenta a riconoscere suo marito e cerca altri piaceri. Tutto può essere solo ‘una perfetta allucinazione’ o un continuo passaggio di stato fino a che non si scivoli da dove si è venuti. Passando da I giorni dell’Eden (racconto che chiude il libro) al ricordo, allo stato di congiunzione di essere e non essere. E scrivere “non è niente più di un sogno che porta consiglio” (Borges).

Titolo: La piena
Autore: Carlos Dámaso Martínez
Editore: Arcoiris
Dati: 2011, 132 pp.,  10.00 €

Acquistalo su Webster.it