La stampa: se non ci fosse non bisognerebbe inventarla, parola di Balzac

“Se la Stampa non esistesse, non bisognerebbe inventarla”: dal tono perentorio si capisce senza possibilità di fraintendimento che la frase non vuole essere un’opinione, ma è un vero e proprio assioma, secondo le precise indicazioni dell’autore. Che non è in ordine di tempo l’ultimo fuoriuscito dal formicaio,  l’ultimo ribelle “antisistema” partorito da qualche attuale divergenza pubblica e privata, il grillo del caso. Chi scrive questa frase, dall’alto della sua grandezza e  delle sue ambasce, fallimenti compresi in qualità di giornalista, stampatore, tipografo, editore, è uno scienziato della realtà. Tale si considera e di fatto lo è stato. È il 1843 quando Honoré de Balzac, in quella fase scrittore affermato e di successo, pubblica un pamphlet dal titolo Monografia della stampa parigina, altrimenti noto con il titolo de I giornalisti.

L’ideatore e realizzatore dell’insuperato affresco da lui denominato Comedie humane, (colossale ciclo di 137 romanzi con circa 2 mila personaggi), studia con occhio da etologo il funzionamento della società e niente e nessuno sfugge al suo sguardo, anche e soprattutto le categorie  a lui più invise, politici e giornalisti. Certo Balzac era uomo ambizioso che non ammetteva le sconfitte, anche megalomane, capace di abbracciare progetti tanto fantasiosi da essere assurdi, compresa l’idea di avviare coltivazioni di ananas nella regione parigina o di avviare lo sfruttamento in Sardegna di miniere d’argento già abbandonate nell’antichità. D’altra parte, Il ritratto che di lui fa Baudelaire, è eloquente: “Il cervello poetico tappezzato di cifre come lo studio di un finanziere. L’uomo dai fallimenti mitologici, dalle imprese iperboliche e fantasmagoriche». E avrà avuto più di qualche sasso da levarsi dalle scarpe, come giornalista, ideatore e direttore di riviste giornalistiche poco riuscite, anzi fallite; avrà accumulato rancori e più di qualche desiderio di vendetta nei confronti di un mondo che in più occasioni gli ha sbarrato le porte e ha tramutato i suoi sogni in insuccessi. Fatto sta che questo pamphlet, troppo poco noto, è di “abominevole” attualità. Passa alla lente della critica tutti i tipi umani e psicologici che affollavano il panorama giornalistico, in base ai criteri della nascente sociologia. Intriso di ideologia positiva, certo, non meno lo è di acido solforico e qualche traccia di cianuro. Sembra una fredda indagine scientifica, se non fosse che l’animus rutilante e corrosivo dello scrittore tiene banco e morde anche là dove sembrerebbe limitarsi a catalogare tipologie umane, fino a restituire un quadro impietoso della Stampa. Più che protagonisti di fatti, i signori del giornalismo lo sono di misfatti. Il libello polemico e mordace merita d’esser ripescato, letto, o riletto, se non fosse che l’edizione italiana in cui l’abbiamo rinvenuto (Abramo, 1993) è avara di note, quando invece occorrerebbero di supporto all’aspetto “datato” del libro: qua e là riferimenti impliciti a fatti, situazioni, personaggi, certo avversari, meriterebbero indicazioni specifiche per apprezzare a pieno l’opera.

Ma vediamoli i signori giornalisti all’opera. Balzac individua due grandi insiemi: “il pubblicista” e il “critico”, come fossero due specie animali finalmente scoperte e catalogate. Nel formicaio parigino di sfrenate ambizioni di successo e ascesa sociale, i giornali in fase d’affermazione durante la monarchia borghese di Luigi Filippo, fanno bene la loro parte e si riempiono di arrampicatori di vario genere. Ecco perché Balzac individua per ogni specie tanti sottogeneri. Nel genere pubblicista rientrano tanto il giornalista che l’uomo di stato (che si dà alla carriera politica), il panflettista, il nientologo, il pubblicista col portafoglio, lo scrittore monobiblico che ha scritto una e una sola opera che ripropone in ogni scritto, il traduttore, l’autore con le certezze. Nel genere critico, rientrano il critico della vecchia guardia, il critico biondo, il grande critico, il feuielletonista, il costellato mondo dei piccoli giornali. La casistica individuata prevede, inoltre, che ogni sottogenere contempli un sottoinsieme di varietà. Il giornalista ne ha cinque: direttore-redattore-capo, proprietario-gestore, tenore, fabbricante di articoli di fondo, factotum, camarillista. Il giornalista uomo di stato sottintende quattro varietà: uomo politico, attaché, attaché-distaccato, politico con gli opuscoli. Non meno articolata la costellazione dei critici. Il critico della vecchia guardia è universitario o mondano. Il giovane critico biondo, può essere negatore, burlone, incensiere. Il grande critico può presentarsi in qualità di giustiziere delle grandi opere, o “eufuista”. Infine il piccolo giornalista si ripartisce in cinque tipi: bravo, buffone, pescatore, anonimo, guerrigliero. In questo universo composito, dunque Balzac individua trentanove tipi che dominano la stampa parigina. Potrebbe esser divertente, un improprio gioco di società, cercare le corrispondenze nella situazione italiana d’oggi. Non si rischierebbe di non trovarle.

Intanto, qualche definizione, più da vicino, per vedere come lavora Balzac. Spesso la caricatura si spinge a tal punto di riprodurre  gli stili degli odiati colleghi,  fare il verso ai loro articoli (ecco perché note di supporto avrebbero agevolato la lettura). Ogni descrizione di un tipo termina con un assioma: feroce stilettata su giornali e giornalisti. Sulla libertà di stampa: “si ucciderà la stampa come si uccide un popolo, dandogli la libertà”. Sugli uomini politici che sono “protettori” in forme più o meno esplicite di un giornale: “Quanto più un uomo politico è una nullità, tanto è migliore per diventare il Dalai Lama di un giornale”. Sulla presenza delle donne nell’ambiente: “Tutti i fogli pubblici hanno per timone una sottogonna in crinolina, assolutamente come la vecchia monarchia”. Sul nientologo, o volgarizzatore, che è “il dio della borghesia attuale, egli è alla sua altezza, è pulito, netto, senza imprevisti”, l’assioma è questo: “meno idee hanno, più ci si eleva”. I volgarizzatori,  sono necessari alle riviste, alcuni sono “beniamini del potere” e “mangiano a molte mangiatoie”.  Come non pensare agli attuali cronisti parlamentari specie televisivi e ai loro pastoni quando lo scienziato Balzac parla dei camarillisti? Costoro sono “redattori-stenografi” che devono “riferire per intero i discorsi dei deputati che appartengono al colore del giornale”, correggendo gli errori di lingua che i parlamentari fanno, quindi devono liquidare in poche righe i discorsi degli avversari politici e sempre in maniera sfavorevole. Il profeta è il “Maometto della stampa”, “nobile vittima di un’illusione generosa”; nel settario invece “la sua passione per il padrone è tale da non fargli concepire ostacoli: devoto fino all’imprudenza, è pronto a pagare di persona come Gesù Cristo per l’umanità (…) Tra la folla della gente della stampa, è una figura tanto sublime quanto rara, è la Fede! Il fenomeno più raro a Parigi”. Vi ricorda qualcuno? (Anche più di qualcuno) Il critico, in generale, si spiega così: “esiste in ogni critico un autore impotente”.  Per cui l’assioma che segue è: “la critica oggi serve a una sola cosa, a far vivere la critica”. L’incensiere, l’addetto alle lodi sperticate, è “un ragazzo senza fiele, benevolo, che fa della critica uno spaccio di latte puro (…) Pesta la rosa nel mortaio e ve la spande con una grazia da profumiere”. Il giustiziere delle grandi opere è “un ragazzo che si annoia e cerca di annoiare gli altri. La sua base è l’invidia; ma egli dà grandi dimensioni alla sua invidia e alla sua noia”.

Prima di citare l’intero libro ed essere giustamente tacciati da Honoré d’essere niente altro che pescatori di frodo, è meglio fermarsi. Quel che è certo è che i sacerdoti di questa divinità moderna sono per Balzac per lo più imbrattacarte di vario ordine e genere. Analisi di cui tener conto, magari da comparare agli studi più recenti (come il volume appena uscito  “La scimmia che vinse il Pulitzer”, di Nicola Bruno e Raffaele Mastrolonardo, Mondadori, che analizza gli attuali scenari dell’informazione mondiale e i suoi personaggi).  Balzac è fermo, il suo assioma conclusivo, come scritto sopra, è: “Se la stampa non esistesse, non bisognerebbe inventarla”. Anche se poi aggiunge: “Di fatto, c’è nelle vicende umane una forza superiore che né la discussione né le chiacchiere dell’uomo, stampate o no, possono ostacolare”.

I giornalisti
di Honoré de Balzac
Abramo – 1993
Prezzo: € 8.27