La Storia, Steven Spielberg, Abraham Lincoln e gli Stati Uniti d’America

[rating:85/100]

L’attenzione di Steven Spielberg nei confronti della Storia non è una novità né lo è la sua passione per la nazione degli Stati Uniti d’America e quegli ideali di civiltà, giustizia sociale, libertà e democrazia che nell’immaginario collettivo discendono dritti dritti dal mito della rivoluzione americana e dei padri fondatori. È chiaro quindi che un film sulla figura storica di Abraham Lincoln possa rappresentare la summa dell’attuale cinema di Spielberg e ritengo possa anche essere un’operazione importante in questo periodo storico. Il cinema infatti rimane un mass medium di portata immensa e diffusione globale e, specie quando si tratta di un regista affermato e blasonato come Spielberg, può riuscire a spostare l’attenzione di uno spropositato numero di persone su un tema, seppur per un breve momento. E non solo: il cinema (come la televisione), benché abbia da tempo dismesso ogni ambizione di funzioni didattiche o sociali, è anche uno strumento sorprendentemente efficace per affrontare argomenti di importanza sociale e culturale e persino per fini didattici, anche se da decenni lo mortifichiamo riducendolo a futile strumento di intrattenimento e svago.

LINCOLN

Portandomi dietro questo bagaglio di considerazioni capite voi stessi con quale interesse e aspettative io sia andato a vedere Lincoln di Spielberg. Il film racconta sostanzialmente gli eventi dell’inverno del 1865, periodo in cui Lincoln, durante il suo secondo mandato presidenziale e mentre il Paese era sconvolto dalla guerra civile, riuscì abilmente a far passare il celebre tredicesimo emendamento che aboliva la schiavitù e di fatto metteva fine alla guerra. Metto subito in chiaro che Lincoln è un film bello, importante, da vedere e che le mie aspettative sono state assolte, sebbene non in toto. E vado brevemente a spiegarmi.

Punto di forza è certamente il rigore storico, il lavoro sui documenti, il non cedere alla tentazione di spettacolarizzare lasciando invece che la narrazione sia dominata dalla parola: dai dialoghi, o meglio, dai monologhi di Abraham Lincoln, estratti e cesellati con un abile lavoro di taglia e cuci dai documenti originali.  Nella forma si tratta di un film rosselliniano se mai ce n’è stato uno e mi sembra evidente che Steven Spielberg conosca bene il cinema (e la televisione) di Roberto Rossellini e li abbia studiati a fondo durante la realizzazione del suo Lincoln. Il modo di raccontare gli eventi storici riesce ad essere insieme chiaro, convincente ed avvincente come forse solo Spielberg è oggi in grado di fare: la caccia ai voti democratici e repubblicani necessari per far passare l’emendamento, la bravura nel tenere le fila del proprio partito e prendere decisioni coraggiose e impopolari, l’interpretare i momenti storici e diventarne autore diventano i temi di un film hollywoodiano di largo consumo e questo, francamente, ha un che di prodigioso.

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Purtroppo però Spielberg non è stato altrettanto rosselliniano, altrettanto coraggioso, sul piano dei contenuti o sulla costruzione dei personaggi e alla fine il senso stesso dell’opera, inesorabilmente, tende a sfociare nell’insidiosa retorica. Il suo Abraham Lincoln è un personaggio da noi distante anni luce, sovrumano, soprattutto nella sua attività di leader politico: non lo vediamo mai commettere un errore, mai scosso da un dubbio, sempre serafico, impassibile e mai teso o intimorito dal corso dei drammatici eventi che sconvolgono il suo Paese. E valgono a poco poi i momenti di debolezza e umanità nell’ambiente familiare, con la moglie e i figli, che cozzano talmente con la figura pubblica da apparire posticci e superflui, ininfluenti. Un altro problema nella sostanza del film è che, nonostante si parli di una grande conquista civile di cui può gioire l’intera l’umanità, la storia non riesce ad universalizzarsi, a diventare patrimonio comune, e rimane fortemente e indissolubilmente legata agli Stati Uniti d’America e solo a loro. In definitiva Lincoln, a noi spettatori europei, non appare come un film sulla Storia dell’uomo (o dell’Occidente), la nostra Storia, ma sulla Storia Americana, distante da noi quasi come si trattasse di Aragorn che da Minas Tirith riporta pace e giustizia nella Terra di Mezzo.

Spielberg è andato vicino a girare un film di ricerca e analisi storica ma ha finito per deviare verso il sentiero della glorificazione e della retorica. O forse è stato costretto ad andare in quella direzione? Oppure è stato lui a volerlo? Non saprei dirlo, ma per quanto mi riguarda molta della sua forza e del suo significato il film lo ha perso quando ha intrapreso quel sentiero. Nondimeno rimane un bel film, importante, da vedere.

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PS: una postilla da fan di Rossellini: anche io sono convinto che Daniel Day Lewis sia un grande attore ma questa parte non dice nulle sue qualità; ruoli come questi sono facilissimi e l’interpetazione è insignificante, Rossellini li affidava letteralmente a gente presa in mezzo alla strada.

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