La vera svolta in psicoterapia la propone il dottor Buddha: medita che ti passa!

Arnold Toynbee, storico ed economista inglese vissuto tra ‘800 e ‘900, l’aveva intuito (chissà forse proprio meditando), e annunciato nei suoi scritti: l’avvenimento più importante del XX secolo sarebbe stato l’imporsi in Occidente del buddismo, e non già per smania di conquista, ma per autonomo cedimento strutturale di un mondo  fondato sul pensiero logico-razionale, sul dualismo cartesiano e compagnia bella o brutta. Il terzo millennio si apre confermando ad ampio raggio la previsione: la meditazione ‘irrompe’, pacifica ma risoluta, nel setting; marginalizza l’inconscio, l’uso del  linguaggio verbale e di tecniche narrative convenzionali, imponendo una rivoluzione copernicana nella cura psicoterapeutica. Naturale nonché universale, accessibile a tutti, aconfessionale, economica, praticabile da soli o in gruppo, prima e dopo il percorso terapeutico, e a differenza dei farmaci, priva di controindicazioni, la mindfulness, (questo è il termine scientifico), si impone come antidoto al disagio di una ‘civiltà’, per dirla freudianamente, al collasso. Disagio che si traduce in stress, nevrosi, disturbi psicosomatici emozionali e di personalità di ogni sorta; ansia, fobie, panico, depressioni. Tutte forme di sofferenza mentale e psichica accomunate dalla stessa origine: l’essere, specie noi occidentali, scollegati dal cosmo, dalla natura, ancor prima da noi stessi; precipitati nel sottoscala della coscienza; martoriati da quelli che lo scrittore Carlo Emilio Gadda bollava come ‘i pidocchi del pensiero’: gli inganni e le trappole della mente a cui permettiamo di devastarci a ogni istante. Lo sostengono con profonda convinzione interiore e suffragati da oggettivi studi scientifici non già monaci buddisti e neanche santoni yoga (che sarebbe persino un’ovvietà), ma psicoterapeuti cognitivisti e comportamentali. Si sono riuniti a Pescara in occasione del XVI congresso dell’Aiamc, (l’Associazione italiana di analisi e modificazione del comportamento e terapia comportamentale e cognitiva)  incentrato su Benessere e consapevolezza – Nuove tendenze nell’approccio cognitivo e comportamentale.

Sono i rappresentanti della cosiddetta ‘terza generazione’ del cognitivismo comportamentale, all’insegna di un approccio multidisciplinare teso all’integrazione dei saperi, che segna finalmente il punto d’incontro tra buddismo tibetano, buddismo zen, antichissime tecniche di meditazione yoga, e la giovane (e già in crisi) psicologia occidentale: una rivoluzione silenziosa ma dilagante che annuncia nuovi approcci epistemologici e soprattutto un nuovo umanesimo. Ruth Baer, che insegna Psicologia alla University of Kentucky e conduce ricerche sulla mindfulness (in italiano l’editore Cortina ha appena pubblicato il suo studio che raccoglie autorevoli contributi, Come funziona la mindfullness) ha tenuto una lettura magistrale dedicata a Le applicazioni cliniche della Mindfulness: “Il trattamento – ha spiegato – può essere applicato a molti disturbi e problemi, anche in gruppo, non ci sono effetti collaterali; il principale svantaggio al momento è che non ci sono terapeuti addestrati. Il terapeuta per primo dovrebbe iniziare a praticare la meditazione e non tutti sono disposti a farlo”. Gli interventi terapeutici mindfulness-based riguardano principalmente la Mindfulness-Based Stress Reduction (MBSR) e la Mindfulness-Based Cognitive Therapy (MBCT), sviluppata dal medico Jon Kabat-Zinn fin dal 1979 presso il Medical Center della University of Massachusetts dove dirige la clinica dello stress. Il protocollo prevede un addestramento dei pazienti della durata di otto settimane, ma fondamentali sono gli esercizi a casa da fare sempre: sedute quotidiane di 45 minuti di meditazione per osservare scorrere il proprio film mentale in forma di pensieri, sensazioni, emozioni; ascoltare il respiro restando in stato di presenza consapevole, fino a rendersi conto di quanti automatismi, pensieri disfunzionali, emozioni tossiche la mente produce in continuazione. Non sarà la buddità, il samadhi o l’illuminazione, ma i risultati in termini di guarigione sono provati dai tanti studi scientifici elencati dall’esperta. Certo, si procede gradualmente: chi non riesce a stare seduto, si metterà sdraiato; chi non può meditare 45 minuti lo farà per il tempo che gli è possibile; chi non riesce a tenere gli occhi chiusi li lascerà aperti: il fine principale di ogni buon terapeuta, ha ricordato Baer, è non aggravare la condizione del paziente.

Mindfulness è la traduzione in inglese della parola sati in lingua Pali, che significa attenzione consapevole o attenzione nuda. “È un meccanismo di cambiamento – ha spiegato Ruth Baer – ma questo comporta altre domande: si possono imparare i meccanismi di cambiamento? Uno studio di qualche anno fa ha rivelato che più le persone praticano la mindfulness a casa, più le loro capacità risultano ampliate e si riducono i sintomi”. Meccanismi di cambiamento indicati dall’esperta sono il decentramento (“vedere i propri pensieri e le proprie emozioni come eventi mentali che vanno e vengono”), la flessibilità psicologica, la coerenza con i propri valori, l’autocompassione che non è autocommiserazione ma atteggiamento gentile verso se stessi, consapevolezza di essere parte di un’umanità sofferente. L’autocompassione aumenta con l’esercizio di mindfulness e all’aumentare della meditazione aumentano il benessere psicologico e la salute mentale grazie a un approccio non giudicante che si limita all’osservazione e riduce l’evitamento delle esperienze interiori. Il fine di tale pratica non è formare religiosi, devoti, o monaci buddisti ma essere umani capaci di sollevarsi dai propri dolori innalzati a disturbi invalidanti e di ‘usare’ la sofferenza come strumento di cambiamento, se non di elevazione spirituale.

Di queste terapie di terza generazione fa parte anche la ‘neonata’ Act, (Acceptance and Commitment Therapy), ‘sorella’ della mindfulness, fondata dal professore di Psicologia all’università del Nevada ed esperto del linguaggio, Steve Hayes, è basata  sull’accettazione (che è l’inverso dell’evitamento) e sull’impegno. L’ha illustrata il ricercatore Giovanni Miselli: “Si basa sull’accettare ciò che è al di fuori del proprio controllo, l’Act è insegnamento di abilità psicologica da applicare ogni giorno”. Carlo Di Berardino, psicoterapeuta che dirige il Centro di psicologia clinica di Pescara ed è responsabile dell’Unità operativa di Riabilitazione psichiatrica del Centro Diurno e della Casa Famiglia del Dipartimento di Salute Mentale della ASL di Pescara, ha raccontato la sua esperienza in ambito psichiatrico; esperienza nata seguendo un’intuizione o forse anche nel suo caso meditando: “Ero infervorato dalle teorie neuroscientifiche di Damasio e da quelle di Maharischi sullo stato unificato della coscienza in cui pensiero pensante e pensato sono posti sullo stesso asse. Così all’inizio ho applicato la meditazione yoga non conoscendo il protocollo di Kabat Zinn per verificare se poteva avere un significato clinico per i miei pazienti psicotici.  Consapevolezza e corporeità hanno questo trait d’union che Damasio ha individuato nella sensazione. Meditare è ascoltare le proprie sensazioni e ciò porta alla consapevolezza, obiettivo importante della psicoterapia, lavoriamo costantemente sulla consapevolezza del soggetto”. E così 9 pazienti psicotici con una cronicità psicotica media di 10 anni, avviati da Di Berardino alla meditazione, hanno manifestato miglioramenti a livello fisico e psichico (minore reattività, maggiore controllo emotivo e della consapevolezza meta cognitiva).

Fabrizio Didonna, psicoterapeuta, presidente dell’Istituto Italiano per la Mindfulness (Isimind) ha precisato che mindfullness “è uno stato di coscienza, uno stato mentale caratterizzato da attenzione consapevole, libera da giudizio, focalizzata sul presente, non una tecnica. È un costrutto trans-teorico e trans-epistemologico. Non è appannaggio solo della terapia cognitivo-comportamentale”. La Mindfulness anzi “è uno strumento di dialogo finalmente tra le psicoterapie, qualcosa che unifica e che un domani ci potrebbe portare a parlare di psicoterapia con la p maiuscola. Questo perché le tecniche buddiste presentano molti aspetti validanti”. Nella giovane storia della psicologia occidentale, ha ricordato Didonna (è stato appena pubblicato da Franco Angeli il suo esaustivo Manuale clinico di mindfulness) fu Jung negli anni ’20 ad avviare i primi costrutti ricavati dal buddismo, certo da lui coniugati in forma di immaginazione attiva, e non solo. Tendiamo a pensare che la psicologia sia una creazione moderna, frutto del pensiero occidentale, europeo e americano. Invece, tanto per correggere le nostre infinite distorsioni mentali, lo yoga in quanto scienza spirituale integrale ha qualcosa come 7 mila anni; il buddismo è una psicologia antica 2500 anni. “Lo stesso Buddha si definiva uno psicologo – ha precisato Didonna – il suo fine era studiare le cause della sofferenza e trovare una cura”. Dice il Buddha: “Solo questo insegno: la sofferenza e la sua cessazione”. Un po’ come tentano di fare i terapeuti oggi. Ecco allora che, i sistemi concettuali della psicologia contemporanea arrivano in forma strabiliante ad accordarsi con la psicologia più antica del mondo in cui trovano le risposte a questioni fondamentali: quale è la natura della mente, come funziona, quanto dolore ci procura, quali sono i modi per salvaguardare la salute mentale, come trasformare la psiche (tutte cose che gli antichi yoghin sapevano e che il Buddha aveva insegnato proclamando le quattro nobili verità e l’ottuplice sentiero). Ed è un piacere e una gioia ascoltare la trattazione di questi temi a un convegno di psicologia. Rivoluzione nella rivoluzione è il fatto che finalmente si parla di corpo. “Già Spinoza nel ‘600 – ha sintetizzato Didonna – aveva affermato l’unità di corpo e mente. In tempi recenti le neuroscienze con Damasio ci dicono che esiste una connessione tra corpo, strutture cerebrali individuali e alcune componenti della mente come la coscienza, le emozioni, la volontà”. La psicoterapia di terza generazione ha dunque abbandonato l’impronta meccanicistica per cui il criterio era “riparare ciò che veniva considerato guasto”, per cercare invece di cambiare il rapporto con la realtà: “I pensieri compaiono spontaneamente nella mente e senza invito. Noi non siamo i nostri pensieri. Gli stati interiori sono innocui anche se fastidiosi. Cerchiamo non di cambiare la minaccia, ma il rapporto con i contenuti che riteniamo minacciosi con strategie dunque non basate sul linguaggio. Cambia il concetto di sofferenza mentale. C’è un interesse verso la componente spirituale nella vita degli individui”, ha sintetizzato Didonna. Il disturbo di personalità si sviluppa a partire dall’assioma ‘sono ciò che penso’, quindi identificandosi con i propri pensieri.

Se la generazione precedente dei cognitivisti comportamentali asseriva che la sofferenza è un indicatore di patologia, oggi invece il dato fondante è che è una parte dell’esperienza umana; se la convinzione era di poter arrivare attraverso la terapia a controllare le nostre esperienze, oggi invece si ritiene che proprio il voler controllare crei il sintomo o i sintomi. “È auspicabile – ha concluso Didonna – poter utilizzare queste pratiche sempre più precocemente. Tutti possiamo imparare a meditare. Così, contro i nostri stessi interessi, avremo in futuro meno pazienti nei nostri studi”. La scienza ce lo conferma: siamo gli artefici del nostro inquinamento mentale, ma le tossine prodotte possono diventare rose del pensiero se tramutate attraverso la meditazione in stato di presenza consapevole. Dai diamanti non nasce niente, cantava Fabrizio De André, ma Buddha ci insegna che dal letame nascon fiori di loto! La mindfulness come il buddismo, la meditazione yoga e altre discipline spirituali altro non è che una pratica universale di consapevolezza tesa alla guarigione e al risveglio; può caratterizzare un modo di stare al mondo e di affrontare il viaggio della vita. Insegna Thich Nhat Hanh, monaco zen vietnamita: “Se vogliamo essere felici, dobbiamo innaffiare il seme della consapevolezza che è in noi. La consapevolezza è il seme dell’illuminazione, dell’attenzione, della comprensione, della compassione, della liberazione, della trasformazione e della guarigione”.

Titolo: Come funziona la mindfulness. Teoria, ricerca, strumenti
Curatore: Baer R. A., Maffei C.
Editore: Cortina Raffaello (collana Psicologia clinica e psicoterapia)
Dati: 2012,  304 pp. ,  € 31,00

Titolo: Manuale clinico di mindfulness

Autore: Fabrizio Didonna
Editore: Franco Angeli (collana Pratiche comportamentali e cognitive)
Dati: 2012, 688 pp.,  € 48,00

One thought on “La vera svolta in psicoterapia la propone il dottor Buddha: medita che ti passa!

  • Maggio 20, 2013 alle 3:16 pm
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    mi piacerebbe stabilire un contatto

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