Un esempio di come si possa rinascere dalle ceneri

Viscerale. È il primo aggettivo che mi viene in mente quando ripenso a Le ceneri di Angela. Un libro inattaccabile, per la sua sincerità. Com’è possibile, infatti, criticare la storia vera di un’infanzia infelice? In questi casi, lo stile passa in secondo piano: la schiettezza stessa è lo stile. Il buonismo non c’entra nulla e offenderebbe la memoria di McCourt: basta andare su You Tube per rendersi conto dell’energia che il suo volto da bambino (anche in vecchiaia) emana. La storia ha al centro temi forti: povertà, malattie (e morte), emigrazione. A renderli toccanti, il fatto di essere stati vissuti in prima persona e raccontati senza filtri o pudori. Le cose vanno chiamate con il loro nome. Nessun impressionismo di sorta. L’infelicità è infelicità.Il Pulitzer era il minimo che McCourt potesse ottenere: se lo scopo dell’arte è toccare le corde profonde dell’essere umano, provocare anche sentimenti dimenticati da tempo (come la “semplice” pena per un bambino che cerca pezzi di carbone sotto la pioggia), Le ceneri di Angela ha centrato il bersaglio.

Ma è proprio qui il punto: l’autore non voleva raggiungere certo l’immortalità, perché la sua opera è frutto della vecchiaia, momento di bilanci e ricordi. Non ha i virtuosismi tipici di chi fa letteratura da tempo.

Altro aspetto sorprendente del romanzo, è la capacità di rallegrare, di fare dell’ironia su situazioni tutt’altro che risibili. Il titolo è un omaggio alla madre, unico punto di riferimento nell’infanzia dell’autore. Il padre, infatti, era troppo malinconico e dedito all’alcool per prendersi cura della famiglia. Frank era il primogenito; una posizione difficile, figuriamoci per chi vede morire, davanti ai suoi occhi, alcuni dei suoi fratelli. Ed è ai sopravvissuti che lo scrittore dedica il libro. Sullo sfondo delle peripezie di questa sfortunata famiglia (i cui componenti, nel bene o nel male, si sono sinceramente amati), due realtà complementari: gli Stati Uniti dei primi anni di vita dell’autore e l’Irlanda del ritorno in patria. Una nazione amata quanto odiata: l’Irlanda degli anni prima della Guerra era un Paese in cui ancora si poteva morire di fame o di freddo.

A fomentare la rabbia di Mc Court, bambino sensibile e per nulla infantile, le regole della Chiesta cattolica, che non di rado condannava i poveri, costretti, per salvarsi l’anima, a confessare ed espiare anche il peccato più innocente. Gli Stati Uniti rappresentano invece l’altrove, un’eccitante possibilità di altre vite. È lì che l’autore nacque ed è lì che visse, forse, i suoi anni meno duri, nonostante i lutti e la povertà. Il figlio di immigrati irlandesi poteva infatti annusare nell’aria un’atmosfera di promesse, quelle che l’America di allora poteva ancora mantenere. Ed è negli Stati Uniti che il romanzo si chiude, con il definitivo ritorno nel Paese natale, quello del riscatto.

Le ceneri di Angela è un mondo, più che un libro. A fine lettura, l’ho stretto al cuore e, se fosse stato davanti a me, avrei fatto la stessa cosa con Frank.

 

Titolo: Le ceneri di Angela
Autore: Frank McCourt
Editore: Adelphi
Dati: 2000, 378 pp., 11,00 €

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