Storie di ordinaria magia

Smirne, come tutte le grandi città del passato e del presente, ha la sua personalità inconfondibile: possiede preziosi gioielli che tutte le altre le invidiano e ha un modo di fare che la rende affascinante e irresistibile, specie agli occhi dello straniero.  Ma, come tutte, ha anche i suoi difetti, le sue miserie e le sue sporcizie nascoste.
Non esiste vita privata nei quartieri popolari di Smirne, perché le strade sono così anguste che non consentono di ignorare cosa accada nella casa di fronte. Ma anche perché i confini di ciò che è «casa» sono decisamente aleatori e, forse, più mentali che fisici. Così il quartiere intero diventa spazio abitato e condiviso da tutti. Abbiamo detto “tutti”, ma forse avremmo dovuto dire “tutte” perché al mattino gli uomini vanno a lavorare – sulla barca, nei campi, in bottega – e tra quelle mura e quelle pietre ci restano solo le donne. La casa, e quindi la strada e il quartiere, è il loro regno e in quel regno sono regine incontrastate.

Mara Meimaridi, attraverso lo stratagemma un po’ abusato del manoscritto ritrovato, proietta il lettore nella Smirne di fine Ottocento, città cosmopolita in cui convivono, pacificamente separati dai reciproci pregiudizi, cristiani, musulmani, ebrei, greci, turchi, armeni, genovesi e napoletani in una girandola di migrazioni alla fine della quale nessuno ricorda più chi fosse arrivato per primo.
Le protagoniste di questa storia sono tutte donne; alcune di loro appartengono alla stessa famiglia biologica, altre sono, invece, unite da ben altro tipo di legame: sono o sono state allieve della stessa strega, la madre Attarte.
Ma nelle storie di Eftalia, di sua figlia Katina e poi della figlia adottiva di lei, Eleni, non compaiono mai, o quasi mai, elementi soprannaturali. Il loro approccio alla magia ricorda piuttosto una versione romanzata degli scritti di Ernesto De Martino sulle usanze delle regioni italiane meridionali, dove gli spiriti maligni, ma anche l’invidia o la sfortuna, erano tenuti a bada seguendo precisi rituali.
E, difatti, la formazione di Mara Meimaridi è prettamente antropologica e non letteraria. Se questo aggiunge un interesse quasi storiografico alla sua narrazione, è anche vero che la qualità letteraria della scrittura lascia spesso a desiderare, conservando, dalla prima all’ultima pagina, un certo retrogusto dilettantistico.

Il tesoro di Eftalia e della sua discendenza, dunque, è un corpus di dettagliatissime procedure per addomesticare il destino. Niente bacchette magiche, sparizioni o levitazioni in questa storia: solo erbe, vermi, capelli, peli pubici e sangue mestruale. Il tutto accompagnato dalle giuste invocazioni. E occorre fare la più grande attenzione perché una parola o un’erba sbagliate possono avere effetti disastrosi.
Grazie all’aiuto di Attarte e alle conoscenza delle pratiche magiche, Katina, pur essendo bruttina e un po’ rozza, riesce a conquistare e legare a sé gli uomini più desiderabili della città e a compiere una sorprendente ascesa sociale che la porterà dai bassifondi di Smirne, al palazzo del sultano turco.
Ma intorno a Katina, protagonista assoluta del corposo romanzo, ruota la vita di numerose donne e di tutte – povere e meno povere, semplici e meno semplici – vengono descritte, con divertente leggerezza, le tecniche di sopravvivenza. Quel mondo, infatti, è comandato dagli uomini o, almeno, questo è quello che agli uomini piace pensare. L’obiettivo di una donna saggia, secondo Katina e la sua corte, è quello di trovare l’uomo giusto e di fare, attraverso di lui, ciò che si vuole. E così Katina coccola, lusinga, rimpinza i suoi amanti e i suoi mariti affinché siano pigri e docili e assicura loro un’infuocata vita sessuale affinché non la tradiscano. Se tanto lavoro non dovesse risultare sufficiente, una piccola dose di oppio nel loro piatto preferito potrebbe rivelarsi un valido aiuto.

Pur con tutti i suoi difetti e i numerosi echi di scopiazzatura, la prima parte di questo romanzo si legge molto piacevolmente e quasi sempre con il sorriso sulle labbra. Katina e sua madre Eftalia non conoscono diplomazia né raffinatezza e ricordano, quasi, alcuni personaggi interpretati da Anna Magnani nelle commedie italiane del dopoguerra. Nella seconda parte del libro, invece, la narrazione si fa più lenta e noiosa. L’autrice gioca, senza successo, la carta del viaggio nel tempo e persino quella della possessione spiritica, ottenendo solo qualche sbadiglio e un certo senso di fastidio.
Un romanzo perfetto per un lungo viaggio in treno o per un’interminabile notte insonne che vi lascerà, di certo, un gran desiderio di visitare Smirne dai mille colori. Dopo aver letto l’ultima pagina vi chiederete, probabilmente,  se gli intrugli di Katina fossero davvero efficaci o se non fosse, invece, la certezza di essere invincibile a renderla così affascinante. Ma non è questo il potere delle streghe che gli uomini hanno sempre temuto di più?

Titolo: Le streghe di Smirne
Autore: Mara Meimaridi
Editore: e/o
Dati: ultima ristampa 2009, pp 621, € 9,50

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